SAXULA, UN’ANTICA CITTÀ EQUA TRA MITO E POESIA

di Mario Giagnori

Il paese di San Gregorio da Sassola una volta era conosciuto semplicemente come San Gregorio e doveva il suo nome al fatto che un tempo la terra dove sorge apparteneva a papa Gregorio Magno. In seguito all’Unità d’Italia, per distinguerlo da altri paesi aventi lo stesso nome, il 4 agosto 1872 una deliberazione comunale propose di aggiungere la dizione “da Sassola” al Comune, nella convinzione che nell’antichità sul suo territorio vi fosse Saxula, una città degli Equi poi passata sotto il controllo di Tibur (Tivoli), e infine conquistata dai Romani. Ci si rifaceva, peraltro, a quanto aveva affermato padre Atanasio Kircher, il famoso gesuita, nei primi anni della seconda metà del Seicento. Come raccontò egli stesso, in un lungo viaggio di esplorazione nella regione intorno a Roma, fatto con l’intento di raccogliere materiali e notizie per la compilazione di un saggio sul Lazio antico, dopo essersi quasi perso in mezzo a fitti boschi gli apparve all’improvviso il paese di San Gregorio, che si ergeva su uno sperone tufaceo incassato tra le montagne, cosa che gli fece dire: “Noi, da varie congetture e dalla diligente ispezione dei luoghi, abbiamo concluso che Sassula non potesse trovarsi in altro luogo che in quello dove ora sorge il paese di San Gregorio, sotto la giurisdizione dell’eminentissimo Cardinal Pio (1)”. L’autore suffragò la sua tesi con una pianta pubblicata sullo stesso volume. Visti gli atti, il 1° settembre dell’anno 1872, re Vittorio Emanuele II, con Regio Decreto n. 983, autorizzò il comune di San Gregorio ad assumere la denominazione definitiva di “San Gregorio da Sassola”.

C’è da rammaricarsi che ai tempi le notizie non corressero altrettanto veloci come accade oggi, perché altrimenti i consiglieri comunali di San Gregorio forse avrebbero saputo che già nel 1739 Diego Revillas (2) aveva smentito la tesi di Kircher, con la pubblicazione di una carta dell’agro tiburtino in cui collocava Saxula nella Valle Empolitana, sopra Tivoli, dando così inizio a un tira e molla che durò un paio di secoli.

Infatti, nel 1755, Alberto Cassio, noto archeologo e gesuita anch’egli, mentre andava rintracciando il corso degli antichi acquedotti che convogliavano l’acqua a Roma, smentì sia Kircher che Revillas. “A trovare il vero delle antiche cose è necessario il vederle; ma talvolta nemmeno ciò basta. Se è possibile conviene sentire chi può averne notizia. Penso che il dotto padre Kircher nel visitar que’ monti andasse da solo, o non si valesse di buona guida. Se lo avesse richiesto, gli avrebbero mostrato le potenti macerie, a due miglia distanti da Castel Sangregorio, sulla punta del sassoso monte in veduta di Roma. Quel non usata da lui ricerca ha fatto correre molti posteriori accreditati scrittori Oltremontani ed Italiani sullo stesso sentiere; mentre il vero sito suddimostrato di Sassola tiene il nome di Civitate, vocabolo che anco a dire del celebre Signor Petrilli, significa vestigio d’antiche città distrutte (3) ”. Insomma, il Cassio collocava Saxula nel territorio di San Gregorio, ma a differenza di quanto affermava Kircher non sul sito dove sorge il paese ma nella località ancor oggi detta “Civita”, e suffragava la sua ipotesi con le parole del Signor Petrilli, peraltro a noi illustre sconosciuto. Ma la sua supposizione era tutt’altro che vera, poiché oggi è ampiamente accertato che a Civita vi sono i resti di una villa romana e non di un’antica città.

Nel 1836, arrivò Giuseppe Marocco (4) a rovesciare la frittata, collocando Saxula dove aveva pensato che fosse Atanasio Kircher. Non passarono che pochi anni, e Gaetano Moroni nella sua opera monumentale di 103 volumi (5), tornò a ripassare la palla ad Alberto Cassio e posizionò Saxula sul sito di Civita. Qualche anno dopo apparve Antonio Nibby (6), che dall’alto del suo prestigio cercò di chiudere la questione: Saxula era nella Valle Empolitana, inutile cercarla da altre parti! Ai primi del Novecento, Thomas Ashby cercò di mettere una pietra tombale su tutta la storia. “L’identificazione con Sassula, da cui l’adozione del suo presente nome ufficiale di San Gregorio da Sassola, è certamente erronea, fondata com’è sull’opinione di Kircher (7) ”. Gli abitanti di San Gregorio da Sassola fecero comunque orecchie da mercante e il nome del paese rimase lo stesso.

Ma forse i consiglieri comunali di San Gregorio nel 1872 non erano così sprovveduti da non sapere quanto nel corso dei secoli gli studiosi avevano via via discettato, e preferirono invece dar retta a ciò che essi ritenevano per certo, magari per tradizione orale o forse per qualche antica memoria oggi dispersa: e cioè che Saxula era sul territorio di San Gregorio.

C’è un particolare che tende a supportare questa ipotesi. Bisogna risalire al 1819, anno in cui Maria Graham, scrittrice e viaggiatrice inglese, andò a trascorrere tre mesi sulle montagne nei dintorni di Roma, insieme a suo marito e a un amico. I tre si stabilirono a Poli, un paese non lontano da San Gregorio, ed ebbero un soggiorno piuttosto movimentato. I briganti che stazionavano su Monte Guadagnolo, venuti a sapere della presenza degli inglesi a Poli, tentarono in tutti i modi di rapirli per ottenerne poi un riscatto. Prima che i tre malcapitati si dessero a una fuga precipitosa verso la più sicura Tivoli, fecero comunque in tempo a visitare alcuni ponti di acquedotti e rovine che si trovavano sul territorio di San Gregorio. Ecco cosa scrisse Maria Graham di quella escursione: “Il Ponte detto degli Arci ha una doppia fila di portici tutti uguali, ma non può servire da ponte perché uno degli archi è crollato, e noi fummo obbligati ad arrampicarci sulle rocce, attraversare un’altra spianata, per vedere gli acquedotti che ancora rimangono in questa zona. Dopo aver camminato mezzo miglio in direzione nord, arrivammo nei pressi di alcune rovine molto vaste, dove si ergeva una grande torre che sembrava essere costruita come roccaforte nel Medioevo. Ma gli archi e le volte di muratura reticolata, i blocchi di peperino sparsi qui e là, e soprattutto il nome di Sassula, che gli danno i contadini, sono buoni motivi per ritenere che in questo sito sorgesse l’antica Sassula (8).”

I luoghi sono chiaramente riconoscibili: si tratta del Ponte degli Arci nella Valle della Mola, e della Torre dei Lauri sul Colle Faustiniano, che ancora oggi, seppure ridotta a un moncone spuntato, si erge verso il cielo. Le rovine di cui parla Maria Graham sono i resti di Castel Faustiniano, un villaggio abbandonato nel corso del XIII secolo, e le murature reticolate sparse tutt’intorno, tuttora visibili, sono i ruderi della villa dell’imperatrice Faustina, moglie di Marco Aurelio. I contadini davano a quel luogo il nome di Sassula.

È probabile che nessuno degli autori successivi che s’interessarono di Saxula lesse quanto scrisse la Graham, vuoi perché il libro non fu mai tradotto in italiano, vuoi – forse più fondatamente – perché scritto da una donna. Dopotutto eravamo in un’epoca in cui i pregiudizi nei confronti del mondo femminile erano forti, e studiosi tanto prestigiosi non potevano dar retta a quanto lei aveva riportato.

Invece avrebbero dovuto prestarle maggiore attenzione. Maria Graham era un’attenta osservatrice, curiosa di ogni cosa, esperta d’arte e d’archeologia, e sempre molto attenta nelle cose che veniva a conoscere, che riportava con estrema precisione. Nonostante fosse rimasta afflitta fin dalla giovane età da una malattia invalidante, agli inizi dell’Ottocento la donna andò in Cile e in Brasile, paesi dove oggi è considerata una specie di eroina nazionale per essere stata la prima donna, nonché il primo scrittore in assoluto, a parlare della loro indipendenza appena conquistata nei confronti della Spagna e del Portogallo; si recò in India, visitò tutta l’Europa, e tornò per due volte in Italia, soggiornandovi ogni volta un anno. Di ogni viaggio fece lunghi resoconti particolareggiati. Fu insomma una donna decisamente fuori dagli schemi preconfezionati del mondo femminile. Se lei scrisse d’aver sentito i contadini chiamare quel posto Sassula, c’è da crederle.

Comunque, per concludere definitivamente in merito a tutte le supposizioni sul fatto che Saxula fosse invece nella Valle dell’Aniene, nel 1966 il professor Fulvio Cairoli Giuliani, che condusse uno studio su Empulum e Saxula, giunse alla conclusione che “la collocazione di Empulum e Saxula nella Valle Empolitana è completamente errata (9).” Chiuso quindi il discorso sul fatto che fosse su quel versante della Valle dell’Aniene.

I contadini di San Gregorio chiamavano Sassula le rovine sul Colle Faustiniano, una collina sul versante dei Monti Prenestini che guarda verso Roma, ma c’è da dire che alcuni degli studiosi di cui si è già parlato sul colle non vi collocavano Saxula, bensì Aefula, altra antica città equa. Sembrerebbe un altro vicolo cieco, sennonché un recente studio pubblicato sulla rivista Aequa (10) ha mostrato con ampia documentazione che Aefula non si trovava sul Colle Faustiniano, ma sul versante dei monti che guarda la Valle dell’Aniene. Per la precisione, sull’attuale Colle Lungo, all’inizio della Valle Lungherina, al confine tra Tivoli e San Gregorio da Sassola, un posto ideale per controllare il Passo dello Stonio, punto di transito obbligato per scendere alla campagna romana dalla Valle dell’Aniene. Saxula controllava invece il passo sull’altro versante.

Possiamo perciò mettere una mano sul fuoco che Saxula si trovasse sul Colle Faustiniano? No, non c’è nessun documento storico che lo attesti, niente prove, nessuno scavo archeologico. Per metterci sulle tracce di Saxula, non resta che affidarci mani e piedi alla mitologia. Qualche indizio, infatti, si può trovare ripercorrendo la leggenda della sua fondazione.

Chi non conosce le gesta di Achille o le peregrinazioni di Ulisse? A qualcuno è forse sconosciuta la leggenda di Romolo e Remo? Nati e diffusi oralmente nel mondo antico, tali racconti sono ormai patrimonio della nostra cultura. A ben vedere, spesso più si va avanti nella ricerca e più si riscontrano elementi che mostrano un fondo di realtà in quelle leggende. Ma anche altre storie furono narrate e dai pochi frammenti che ci sono rimasti affiorano segni su cui è possibile intrecciare relazioni che ci svelino un passato che sembrava per sempre sepolto. È il caso di Saxula.

Le uniche notizie che sappiamo per certe su questa antica città scomparsa sono riportate da Tito Livio e poi riprese nel 1836 da Giuseppe Marocco. Saxula era una città di una certa grandezza e fortificata, una delle città più importanti che gravitavano nell’orbita di Tivoli. “I Sassulani in forma di repubblica erano diretti, ma quando Roma fattosi grande coll’astuzia e con la forza delle armi voleva stendere l’orgoglioso suo dominio, Tibur, Empulum e Saxula si scossero impugnando coraggiosamente le armi. Il senato romano, primamente Tivoli domò, ma i cittadini di Empulum e Saxula ribelli a Roma si dichiararono. Il console romano Valerio Publicola riuscì a sottomettere Empulum, e ciò avvenne nell’anno 400 dalla fondazione di Roma. Saxula a onta di questo non si arrese, anzi fattosi capo delle ostilità rintuzzò gli attacchi dei consoli Marco Fabio Ambusto e Marco Popilio Lena, volendo piuttosto essere saccomessa che cedere vilmente alla forze (11)”. Tuttavia, nonostante l’ostinata resistenza, nell’anno 353 a. C., l’antica città degli Equi fu infine conquistata. “Duo bella eo anno prospere gesta: cum Tarquiniensibus Tiburtibusque ad deditionem pugnatum. Sassula ex his urbs capta; ceteraque oppida eandem fortunam habuissent, ni universa gens positis armis in fidem consulis venisset. Triumphatum de Tiburtibus; alioquin mitis victoria fuit (12)”. Dopo di che più nulla per l’eternità.

Per saperne qualcosa di più, facciamo allora un grande balzo all’indietro nel regno del mito. Ritorniamo a quattro secoli prima della fondazione di Roma, tempo in cui una spedizione di Argivi prese la via dell’Italia. Racconta Erodoto: “Anfirao, indovino valentissimo, prese per moglie Erifile, sorella di Adrasto, re di Argo, e da lei ebbe tre figlioli: Anfiloco, Almeone e Catillo I. Anfiloco morì senza lasciare discendenti, Almeone uccise la propria madre ed ebbe infelice fine, e Catillo I passò dalla Grecia all’Italia, dove generò anch’esso tre figlioli, cioè Tiburno, Corace e Catillo II (13) ”. Baldi e forti giovani Argivi. “I tre figli di Catillo I, nati in Italia, tolsero Siculeto ai Siculi, che sconfitti si ritirarono in quella terra da allora chiamata Sicilia. Siculeto, dal nome del fratello maggiore Tiburno, fu allora chiamata Tibur; Corace, il secondo, fondò Cora, vicino alla città di Velletri, e Catillo II fondò Saxula”. L’occasione gli fa data da Ercole, durante una delle sue dodici fatiche, la decima, che prende il titolo “I buoi del gigante Gerione”. Mentre l’eroe sostava con uno straordinario bottino di bestie presso le foci del Rodano, in Gallia, fu assalito da uno stuolo di nemici guidati da Albione e Gerione in una pianura tutta coperta di “sassi grossi, tondi et di varie foggie”. Essendo molto forti e superiori di numero, Ercole finì presto le frecce e fu sopraffatto. Coperto di ferite e in procinto di essere ucciso, decise di affidarsi all’aiuto di suo padre Giove, che lo difese con una “pioggia di sassi”, che in poco tempo sterminò i Galli. Tornato vittorioso in Italia, Ercole fu venerato come un dio, e in suo onore vennero innalzati altari e templi. Per non essere da meno, Catillo II, l’Argivo, fondò la città di Saxula per ricordare la sua vittoria ottenuta con i sassi del padre Giove. Tutto il racconto mitologico sulla battaglia di Ercole e sulla fondazioni dei figli di Catillo li troviamo affrescati nelle sale di Villa d’Este, a Tivoli.

Antonio del Re, storico tiburtino, mise in relazione Saxula con il tempio detto di Ercole Sassano in Tivoli, nell’odierna zona della cattedrale di San Lorenzo, e affermò che quello fu il luogo dove Catillo II edificò la città, spinto probabilmente da un’iscrizione che si trovava in un’antica aula absidale. Un guazzabuglio poi sbrogliato da Gioacchino Mancini (14) e da Fulvio Cairoli Giuliani (15), che nel corso dei loro studi giunsero alla conclusione che la dedica a Ercole Sassano del tempio tiburtino era puramente di fantasia. L’attributo Saxanus era invece da collegare alla divinità a cui i cavatori del travertino si rivolgevano per ottenere forza e protezione.

Dov’era quindi in realtà Saxula? La mitologia antica ci dice che la fondazione di Saxula fu opera di Catillo II, uno degli Argivi. Maria Graham, la scrittrice inglese, testimoniò nell’Ottocento che gli abitanti di San Gregorio chiamavano “Sassula” le rovine di Colle Faustiniano, sotto cui, oggi è certo, vi era una villa di Faustina. Ma cosa ne pensa la poesia? Marco Valerio Marziale, vissuto nel primo secolo dopo Cristo e considerato uno dei più importanti epigrammisti in lingua latina, scrisse: “Tu colis Argivi regnum, Faustine, Coloni, quo te bis decimus ducit ab Urbe lapis (16)”. In sostanza, dice Marziale, a venti miglia da Roma, sulle fondazioni degli Argivi c’è la villa di Faustina.

I racconti mitologici e la poesia svelano, talvolta, le origini delle cose, quando queste si perdono nella notte dei tempi. E quindi per il momento nessuno ci vieta di pensare, fino a prova contraria, che Saxula non sia proprio là dove il mito, un poeta e una scrittrice la collocarono. E cioè su Colle Faustiniano, giusto a venti miglia da Roma.

1 – KIRCHER A, Latium: id est, nova & parallela Latii tum veteris tum novi descriptio – Amsterdam, 1671. “Nos variis conjecturis sedula ex hujusmodi locorum inspectione Sassulam alibi non fuisse sitam, quam ubi modo consistit oppidum S. Gregorii, sub jurisdictione Eminentissimi Cardinalis Pii, qui non solum montibus in vias deplanatis oppidum undique & undique pervium fecit, sed & suburbio magnificentia prorsus regia extructo mirum in modum, ampliavit. Sassulam dictam putem a scopuloso clivo, cui impositum est.

2 – REVILLAS D., Diocesis et Agri Tiburtini Topographia – Roma, 1739.

3 – CASSIO A., Memorie istoriche della vita di Santa Silvia - Roma, 1755; Corso dell’acque antiche portate sopra XIV aquidotti da lontane contrade nelle XIV regioni dentro Roma – Roma, 1757.

4 – MAROCCO G., Monumenti dello Stato Pontificio e relazione topografica di ogni paese – Roma 1836.

5 – MORONI G., Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni – Venezia, 1840.

6 – NIBBY A., Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de’ dintorni di Roma – Roma, 1849.

7 – ASHBY T., La Via Tiburtina, in Società Tiburtina di Storia e Arte, “Atti e memorie, 1923.

8 – GRAHAM M., Three Months Passed in the Mountains East of Rome, during the year 1819 – London, 1820.

9 – GIULIANI F. C., Tibur, in Formae Italie, Regio I, vol. III, pars II – Roma, 1966.

10 – GIAGNORI M., Sulle tracce di Aefula, una città scomparsa – Aequa, Rivista trimestrale di studi e ricerche, Anno XV, n. 55, 2013, p.4.

11 – MAROCCO G., op. cit.

12 – TITO LIVIO, Ab Urbe conditaLibro 7.

13 – ERODOTO DI ALICARNASSO, Storie, Libro Primo, Clio.

14 – MANCINI G., Inscriptiones Italiae, IV,1,Tibur – Roma, 1952.

15 – GIULIANI F. C., op cit.

16 – Marziale M.V., Libro IV, Componimento LVII.