La Cartamoneta Italiana, Corpus Notarum Pecuniarum Italiae

G. CRAPANZANO, E. GIULIANINI. La Cartamoneta Italiana, Corpus Notarum Pecuniarum Italiae
Volume II, Edizioni Unificato, 2010, pp. 798, € 34.

Il poderoso e policromatico testo, fattoci dono dal giovane collezionista della provincia di Caserta Gerardo Vendemia, allievo di Guido Crapanzano, uno degli autori del testo, «non è solamente un catalogo elaborato per i collezionisti di cartamoneta […] ma anche un saggio che si propone di colmare un vuoto culturale fornendo una panoramica storica organica della circolazione cartacea negli Antichi Stati». Nell’agile parte introduttiva, si trovano indicazioni sia sulla classificazione della rarità e reperibilità della cartamoneta (da un CC che equivale a “molto comune” a un R5 “della massima rarità, introvabile”, sino ad un U che sta per “Unico, un solo esemplare conosciuto”) sia una guida dello stato della sua conservazione (da FDS, ovvero Fior di stampa, “biglietto perfettamente conservato” a MB, molto bello, significante che il biglietto mostra “numerosi evidenti segni di circolazione”). Il volume è diviso in tanti capitoli per quanti sono gli Stati che hanno messo in circolazione la moneta cartacea. Si va alle circa cento pagine dedicate al Regno di Sardegna alle circa trecento d’approfondimento sullo Stato Pontificio alle sole quattro pagine dedicate al Principato di Lucca e Piombino, per un arco temporale che abbraccia orientativamente dalla metà del 1700 alla fine dell’Ottocento. Proprio all’interno della sezione dello Stato Pontificio si trovano le due pagine (la 533 e la 534) dedicate al Comune di Arsoli. Gli autori raccontano – ma già lo aveva fatto il nostro W. Pulcini nel 1967 – che, come accaduto in molti territori amministrati dalla Repubblica Romana (1849), anche ad Arsoli il commercio era divenuto difficoltoso per la mancanza della moneta metallica. Su iniziativa del Priore Giuseppe Poggi, il 17 maggio 1849 si pose all’ordine del giorno del consiglio comunale i provvedimenti per “frenare la ingordigia d’indiscreti speculatori e a danno dei poveri”. La risoluzione consiliare prevedeva l’emissione di boni divisionali da 5 e 10 bajocchi, per un ammontare di 75 scudi (quelli da tre e cinque baj aventi dimensione di 16 x 11 cm e di carta colore azzurro con stampa nera). Un mese dopo, quando i boni erano stati stampati ed emessi, fu deciso di introdurre anche il valore di 3 bajocchi ma, dovendo rimanere nel limite dei 75 scudi (uno scudo equivaleva a cento baj), si decise di procedere ad una correzione a mano di un certo quantitativo di boni da 5 baj, trasformando la cifra 5 in 3 e modificando l’importo in lettere in un tre manoscritto. I boni ebbero validità sino al 15 agosto 1849. Le tre tipologie di baj (da tre, cinque e dieci), per i collezionisti, sono stati classificati nel catalogo con rarità R5. (A. D’Angiò)