I DOCUMENTI SU TAGLIACOZZO
NEL CODICE ARAGONESE DI PARIGI*
di Maurizio Anastasi
L’ossessione d’imporre alla Storia un perfetto ritmo pendolare e sincrono, spesso arbitrariamente scelto, è il più delle volte un tentativo per levigare le aporie di una realtà difficile da interpretare, invocando la soporifera illeggibilità degli avvenimenti. Il caso del passaggio della contea di Tagliacozzo dagli Orsini al ducato dei Colonna, spesso descritto dalla storiografia contemporanea come uno sconvolgimento palingenetico, è paradigmatico in tal senso. Lo studio dei documenti del Codice Aragonese di Parigi (1) mostrerà che la scansione del nuovo ordine fu lenta e avvenne, non per una cesura radicale delle antiche alleanze, ma per erosione progressiva del potere precedente (2).
La nascita della contea di Tagliacozzo: dai De Pontibus agli Orsini
La costituzione della contea dei Marsi da parte di Berardus Franciscus nel 926 comprendeva anche il possedimento di Tagliacozzo che rimase sotto questa giurisdizione per oltre duecento anni, sino al 1130 quando Ruggero edificò il regno normanno di Sicilia (3). Nel Catalogus Baronum, redatto tra il 1150 ed il 1152, Bartolomeo de Tallacozzo è investito del feudo a Domino Rege (4) e nel 1173 fu assegnato alla famiglia De Pontibus (5) che lo detenne sino al 1270 con la contessa Risabella (o Isabella) figlia di Bartolomeo De Pontibus e di Maria d’Aquino, sorella di San Tommaso, il più illustre teologo medievale, quasi certamente condividendo la reggenza con altre potenti famiglie locali. Alla sua morte testò a favore del marito Napoleone Orsini figlio di Giacomo (6). Anche gli Orsini, almeno sino alla metà del secolo successivo, dovettero accettare la suddivisione della contea (7); le loro fortune seguirono le alterne vicende dinastiche nel Regno delle Due Sicilie ed erano influenzate dalla capacità della famiglia nel suo complesso, a orientare le decisioni politiche del tempo (8).
Queste linee di distribuzione del potere, già di per se stesse complesse, divennero ancora più problematiche con l’ascesa al Regno delle Due Sicilie di Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona il 27 Giugno 1458 (9). Scaltro, astuto, spietato con i suoi nemici, Pietro Giannone lo definisce “di poca fede, d’animo fiero e crudele” (10), consapevole che la sua incoronazione non è condivisa da tutte le principali famiglie nobili del regno, inaugura una duttile politica di “dividere et impera”: i Caracciolo, i Sanseverino e persino la maggioranza degli Orsini affiancarono il re nella cosiddetta congiura dei Baroni, abbandonando il loro schieramento di origine. Strumento di questa abile diplomazia furono le investiture dei feudi, sapientemente distribuite, a secondo delle esigenze contingenti. La contea di Tagliacozzo non sfuggì a questa regola generale e Ferdinando I ne fece un uso privo di scrupoli, ricorrendo spesso all’arma della doppiezza e del machiavellismo nei confronti delle potenti famiglie Colonna ed Orsini che si disputavano la supremazia nella Marsica centro-occidentale (11). Le scelte operate in quel tempo influenzeranno radicalmente lo sviluppo economico successivo di Tagliacozzo.
La successione a Giovanni Antonio Orsini
Dopo la morte di Giovanni Antonio Orsini (12) avvenuta nel 1456 – privo di eredi diretti – il re di Sicilia, prima di investire nella successione della contea Napoleone e Roberto Orsini, sperimenta le loro capacità di condottieri e manifesta di apprezzare le loro conquiste (13). Solo dopo aver acquisito la certezza che Napoleone Orsini, elevato al grado di consigliere del re e capitano reale, può rendergli utili servigi, il 17 Febbraio 1459, in una nota spedita da Bari lo assicura che sarà il “[…] succedente casu mortis magnifici viri Angeli de Ursinis, sine filiis masculis legitimis […]” (14); contemporaneamente nomina a Tagliacozzo un proprio plenipotenziario Francesco da Tagliacozzo (15) e un segretario Antonio Gaço, (secondo la genealogia redatta da Pompeo Litta, a Giovanni Antonio successe sua sorella Paola) ai quali invia sistematicamente dispacci segreti o espliciti, conservati integralmente nel Codice Parigino (16).
Nel messaggio del 1° Febbraio 1460 Ferdinando I ricorda al suo rappresentante presso gli Orsini che il contenuto “[…] tengate segreto […]; lo reverendissimo Sre Cardinale e S. Napolione e miss. Roberto de Ursinis de sempro so stati e so propicii et amici a la casa nostra, havemo deliberato honorare, magnificare et ajutarli (non altramente che si fossero parenti nostri) et perciò concedereli quisso contato de Tagliecozo, promictendo, che da qui li XV del mese de Jiugno primo da venire ce lo concederemo” (17). Quindi gli impartisce le disposizioni per prendere possesso di “[…] tucti li dicti castelli, torteçe, terre, jurisdiccioni, renditi, obventioni et pertinencii […] et cussi lo castello de Tagliacoço, vengano absolutamente in mano et potere vostra e ve siano assignati liberamente et habiete potestate de constituire et ordinarence castellani et guardie fidati et cussi capitanei et altri officiali, con li quali e come verra visto, tengate et gubernete in tucte cose el dicto Contato” (18). A garanzia dell’impegno contratto, il re di Sicilia ordinava al suo legale rappresentante di consegnare in ostaggio a Napoleone e Roberto Orsini due dei suoi nipoti (19) e spiegava le ragioni di questa sua magnanimità con il fatto che i due cavalieri avrebbero dovuto continuare a servire con i centoquaranta soldati che già disponevano ed eventualmente anche con altre unità che fossero riusciti ad assoldare alla sua causa. Il compito assegnato ai due fratelli germani era duplice: Napoleone Orsini doveva raggiungere il più presto possibile il re di Sicilia attraverso Montecassino (20) mentre Roberto doveva impedire che dalla contea di Celano (21) partissero eventuali soccorsi per la città di Aquila e che: “[…] de le terre de Roma, ne de le bande de Ariete et contato de Spolito non se porta grano, ne altre nexuna grassa […]” (22).
Oltre a questa esigenza di aiuto immediato nella congiura dei Baroni la strategia del re aragonese tendeva anche a ridisegnare la geopolitica dei confini nord-occidentali del regno puntando tutte le sue carte sulla famiglia Orsini; non lesinando sui mezzi e dando mandato al suo segretario Antonio Caço, di consegnare ai due suoi alleati militari anche la contea di Alba e tremila ducati (23). Inoltre, il plenipotenziario veniva incaricato di una missione diplomatica presso Giovan Battista Carrafa affinché: “lo castello e terra de Auricola, siano assignati incontinente et de facto per lui al dicto misser Francisco” (24). Questo accordo doveva rimanere “multo secreto et dissimulato” (25): anche il conte Giacomo Picinino di Aragona aveva delle mire sulla contea di Tagliacozzo e doveva essere blandito in quanto le intenzioni di Ferdinando I erano di “havere lo dicto conte Jacopo a li nostri servitii” (26) e quindi era consigliabile che Francesco de Paganis continuasse a governare la contea e, dopo aver pagato il soldo ai militari posti a guardia dei castelli “responda et paghe secretamente de tucto lo resto ad ipsi dicti Napolione et misser Roberto” (27).
Le lezioni del manoscritto di Parigi
I numerosi documenti relativi a Tagliacozzo contenuti nel Codice Aragonese conservato alla Bibliothèque nationale de France, testimoniano il grande interesse strategico rivestito dalla contea e come l’ingerenza reale fosse particolarmente pressante nei momenti di successione non patrilineari; dimostrano, inoltre, che il re delle Due Sicilie, attentissimo agli equilibri interni, non aveva particolari scrupoli nell’utilizzarla per i suoi disegni di conquista: gli avvenimenti della contea di Tagliacozzo che caratterizzarono il biennio 1458-1460, già contenevano in nuce le evoluzioni che indussero Ferdinando I ad assegnarne la titolarità ai Colonna al termine del suo regno (trasferimento materialmente eseguito da Ferdinando II, nel 1497); che, infine, la longevità della permanenza degli Orsini a Tagliacozzo va ascritta essenzialmente all’abilità militare/diplomatica di molti esponenti della nobile famiglia romana, considerando, comunque, che il governo della contea era sempre condizionato da fattori esterni come il volere regio. Del resto furono questi i tempi che Nicolò Machiavelli prese a modello nella sua opera Il Principe, una sorta di manuale politico per conservare il potere con tutti i mezzi, leciti ed illeciti.
La lezione più moderna che, tuttavia, ci rilascia lo studio di queste note manoscritte è di ordine più generale ed universale: ci descrivono un mondo in profondo cambiamento ed il declino di un’epoca in cui sono già presenti i segni premonitori che annunciano il Rinascimento. E’ la stessa transizione che stanno vivendo le nostre società postmoderne la cui precedente complessità si va sciogliendo in una modernità liquida in cui non esistono più i punti fermi del passato e le manifestazioni collettive sono diventate un souvenir nostalgico: tutto è in rapida trasformazione (28).
Resta quindi in sospeso questo interrogativo: stiamo vivendo la transizione verso un nuovo Rinascimento, come accadde dopo quei primi anni della seconda metà del quattrocento e, che le note relative a Tagliacozzo del Codice Aragonese di Parigi in parte preannunciarono, o ci stiamo avviando verso l’implosione di un mondo che brilla solo dello scintillio dell’omologazione consumistica? (29).
_______________________________
(*) Nell’insurrezione popolare di Napoli del 1627 furono dati alle fiamme tutti i Regesti dei re Aragonesi del Regno ad eccezione dei tre volumi Esterorum che vennero in seguito pubblicati dal direttore degli Archivi di Napoli sotto i Borboni, F. Trinchera Codice Aragonese, 3 voll., Napoli, 1866-1874. Alla Bibliothèque Nationale de France, con la classificazione 103 del fond espagnol (ms. esp. 103 BNF) è presente un manoscritto anch’esso denominato Codice Aragonese, o parigino dal luogo della sua conservazione e, secondo altre fonti anche Codice Ferrandino, pubblicato per la prima volta da A.-A. Messer Le Codice Aragonese, Paris, 1912, che inizia il 1° Luglio 1458, ossia quattro giorni dopo la morte di Alfonso il Magnifico e termina il 20 Febbraio 1460. E’ composto di 358 documenti, che si riducono a 353 escludendo alcune suppliche che, pur contemplando risposte reali, appaiono come atti di volizione esclusiva della Cancelleria. Sono redatti in napoletano (246), in catalano (64) e in latino (34). Altri nove documenti sono scritti in due lingue: 4 in napoletano/catalano, 4 in napoletano/latino, 1 in castigliano/napoletano (A.-A. Messer propone una catalogazione diversa, meno rigorosa, che non contempla l’ipotesi dei documenti bilingue). Questo poliglottismo, che sicuramente si giustificava con il cosmopolitismo dei funzionari che componevano la Cancelleria, secondo G. H. Venetz, Il Codice Aragonese (1458 – 1460), la distribuzione delle tre lingue, Zürich, 2009, p. 277: “dipende da varie condizioni. […] Il latino s’impiega di solito per tutti i documenti ufficiali: donazioni, ordinanze, trasmissioni di diritti o nella corrispondenza con i dignitari ecclesiastici. Così appare evidente che il latino è la lingua giuridica […] che sottolinea l’importanza e la solennità del contenuto. […] La distribuzione del napoletano e del catalano sembra dipendere piuttosto da fattori sociolinguistici”.
1- La riproduzione anastatica (esaurita presso l’editore) è stata curata da D. Giampietro, Un registro Aragonese della Biblioteca Nazionale di Parigi, Forni Editore. Le note su Tagliacozzo sono disposte in ordine cronologico nel manoscritto, con la sola indicazione del foglio; la numerazione qui adottata è quella di a.-a. messer, op. cit.,: 197 (fol. 98 v°-99 v°), 251 (fol. 119 v°), 297 (fol. 140 v°-141), 298 (fol. 141 v°-143), 322 (fol. 159 v°), 323 (fol. 159 v°-160), 324 (fol. 160 v°-163 v°), 327 (fol. 164-164 v°), 328 (fol. 164 v°-165), 329 (fol. 165-166), 330 (fol. 166[7] v°), 332 (fol. 167), 333 (fol. 167 v°), 334 (fol. 168-169), 350 (fol. 182-182 v°) e 353 (fol. 183).
2- In questa vicenda è icasticamente rappresentata la teoria della lunga durata della Storia che era cara a Fernand Braudel e ripresa da P. Boucheron, in: L’Entretemps. Conversation sur l’histoire, Lagrasse, 2012. Nel saggio, di recentissima pubblicazione in francese e non ancora tradotto in italiano, l’autore identifica la sequenza storica tra il xv° e xvi° secolo con il quadro, criptico ed enigmatico, del Giorgione I tre filosofi (1504), conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna: il vecchio barbuto sarebbe Aristotele, rappresentante del pensiero classico; davanti alla caverna, che evoca quella di Platone, il giovane con il compasso e la squadra rappresenterebbe il Rinascimento; il turco con il turbante sarebbe Averroè, il grande poeta andaluso traghettatore del sapere dall’antichità all’età moderna e simboleggerebbe metaforicamente il Medio Evo agonizzante.
3- L’implicazione di molteplici rami dinastici europei nelle successioni al Regno delle Due Sicilie e di Napoli, nonché la frequenza della mancanza di discendenti diretti maschili, hanno comportato più volte scissioni e riunioni del Regno facendo ricorso alle due diverse nomenclature. A.-A. Messer, op. cit., propone a pag. xxv, in nota 1, questo Tableau des réunions et des séparations alternatives des deux Siciles [Quadro delle unificazioni e separazioni successive delle Due Sicilie] fino al 1504:
1ma unificazione: 1130-1282 (l’isola della Sicilia=caput regni):
I. Dinastia franco-normanna: 1130-1194;
II. Dinastia tedesca (Sveva): 1194-1266 (1268);
III. Dinastia franco-angioina: 1266 (1268)-1282 (Vespri siciliani).
1ma separazione: 1282-1435 (1442): (Napoli=caput regni):
I. Parte insulare (Sicilia al di là del Faro o Trinacria): 1282-1435 (1442), viceregno della corona d’Aragona. In realtà dopo i Vespri siciliani la Trinacria continua a far parte dell’Aragona e (a partire dall’unità del 1516) della Spagna.
II. Parte continentale (Sicilia al di qua del Faro o Puglia) [Napoli]: Regno indipendente, prima sotto gli Angiò del ramo principale (sino al 1382), poi sotto gli Angiò collaterali (o Durazzo) sino al 1435. (Interregno: guerra di successione tra la case d’Aragona e d’Angiò/Provenza, 1435-1442).
2da unificazione: 1442 (1435)-1458:
Le Due Sicilie unite al regno d’Aragona (Napoli=caput regni). Semplicemente Alfonso come re d’Aragona; Alfonso Imo come re dei territori ereditati da Giovanna Ima, d’Angiò-Durazzo.
2da separazione: 1458-1504:
Parte insulare (Trinacria) ricade, come parte del patrimonio di Alfonso d’Aragona, nel lotto di Giovanni II, erede universale dei possedimenti della corona d’Aragona.
(1501-1504: guerre di successione tra Francia e Spagna).
3za (e ultima unificazione): 1504: viceregno spagnolo.
4- Nel Catalogus i feudi venivano distinti in: demanium o capite e servitium. I primi erano quelli che si possedevano personalmente e derivavano direttamente dal re. I secondi erano quelli che il feudatario aveva ottenuto in dominium e concessi ad un vassallo soggetto ad oneri e censi. La contea di Tagliacozzo, apparteneva al primo modello e comprendeva anche Castellafiume, la quinta parte di Pereto, la quinta parte di Podio in Marsi (probabilmente l’odierno Poggetello, toponimo da preferire a Poggio Filippo, entrambi attualmente frazioni del comune di Tagliacozzo; cfr. L. Esposito, A. Mari, Podium Bufare, (Poggetello), Roma, 2009, p. 1-2), la quinta parte di Tremonti. Bartolomeo di Tagliacozzo, come si evince dal testamento di Risabella, non è altri che suo padre, da altre fonti individuato con il nome, sicuramente più adeguato, di Bartolomeo De Pontibus.
5- Enciclopedia Treccani online alla voce Tagliacozzo; così come G. Gentile, C. Tumminelli, Enciclopedia italiana di Scienze, Lettere ed Arti, vol. 33, Roma, 1937, p. 181: “Dopo la conquista normanna della Marsica (1142), fu signore di Tagliacozzo Ruggero di Comino, seguito da Bartolomeo di Berardo (1187), entrambi provenienti dai Conti dei Marsi. Quali condomini subentrarono i De Pontibus (1173), ghibellini […]”. Singolare l’ipotesi sul lignaggio dei De Pontibus in, M. Bianchini, Edilizia storica della Marsica occidentale, Roma, 2011, p. 44: “Su questi territori si impose nel corso del duecento il dominio della famiglia dei De Pontibus, discendenti da un ramo dei Conti dei Marsi […]”; più oltre la teoria diventa ancora più inverosimile in quanto si sostiene che: “L’egemonia dei De Pontibus venne presto insidiata dalla famiglia patrizia romana degli Orsini […]” mentre, come è noto, Napoleone Orsini era il coniuge di Risabella De Pontibus, ultima contessa di Tagliacozzo della nobile famiglia, la quale trasferì spontaneamente i suoi beni al marito, cfr. Pergamena in copertina: quindi nessuna insidia ma l’espressione di un’autonoma volontà di testare. Per un più approfondito esame del possesso della contea dal 1130, A. Fiorillo, I primi signori di Tagliacozzo e dei castelli limitrofi, in Aequa, Anno xii, n. 41, Riofreddo, 2010, p. 7-13. Nel testo ci s’interroga ripetutamente sull’eterogeneità dei possessori della contea senza segnalare che era una conseguenza della tradizione franca in materia successoria, adottata dai Conti dei Marsi e che prevedeva la suddivisione della contea tra tutti i fratelli della famiglia comitale anche quando era una realtà territorialmente uniforme. E’ evidente che allorché questa integrità venne meno, la proliferazione degli eredi e, conseguentemente dei loro discendenti, determinò che nelle varie contee (Celano, Alba, Tagliacozzo) più rami della medesima famiglia avessero la titolarità di diritti reali di godimento su possedimenti diversi.
6- Archivio Storico Capitolino, Archivio Orsini, Pergamene, Regesto De Cupis. Segnatura II.A.01,048 catena 23. Il testamento è stato rogato il 9 Marzo 1270 dal notaio Raynerius Mathei Actonis de Fulgineo AS auct. iudex et not. La rendita del castello di Marano fu concessa in usufrutto a Maria d’Aquino. Il documento infirma inequivocabilmente l’ipotesi di G. Pansa, Gli Orsini signori d’Abruzzo, ristampa, Cerchio 2012, esposta a p. 7 e in nota 4, nella quale s’indentifica in Giacomo Orsini il primo Conte di Tagliacozzo. Questo passaggio della contea dalla famiglia De Pontibus agli Orsini non fu indolore, né accettato da tutti: il 7 Ottobre 1286 Riccardo di Tagliacozzo ottenne con una transazione i tre quarti delle terre possedute da Bartolomeo De Pontibus e che erano state incamerate da Napoleone Orsini per eredità. (Archivio Storico Capitolino, Ibidem, Segnatura II.A.02,018 catena 1473). Il dominus sulla contea era sempre soggetto alla conferma regia (ad esempio il 25 Luglio 1329 il re di Sicilia Roberto concesse un diploma d’investitura a Giacomo, figlio di Napoleone Orsini, della metà del castello di Tagliacozzo con l’obbligo di contribuire all’armamento di due uomini e di consentire il pascolo al bestiame regio. Archivio Storico Capitolino, Ibidem, segnatura II.A.03,060 catena 87). Parallelamente gli Orsini acquisivano terre e castelli finitimi a Tagliacozzo: nel 1327 il castello di Colli di Monte Bove (Archivio Storico Capitolino, Ibidem, segnatura II.A.03,055 catena 83); nel 1351 l’altra metà del castello di Tagliacozzo e Rocca di Cerro (Archivio Storico Capitolino, Ibidem, segnatura II.A.05,011 catena 1543); nel 1405 Giacomo Orsini, conte di Tagliacozzo acquistava metà di Pereto da Antonio di Giorgio De Pontibus per 4.000 Fiorini (Archivio Storico Capitolino, Ibidem, Regesto Presutti. Segnatura II.A.11,003 catena 271). Talvolta vennero ottenute investiture che travalicavano i confini dell’odierna Marsica (1380 acquisto di Pescara per 40.000 Ducati. Nella vendita sono comprese le terre, le selve, la dogana, gabelle e saline. Archivio Storico Capitolino, Ibidem, Regesto De Cupis. Segnatura II.A.07,038 catena 2250). Ringrazio Elisabetta Mori, direttore dell’Archivio Orsini, per la grazia con la quale interloquisce con i propri ospiti e Mariarosaria Senofonte, direttore dell’Archivio Storico Capitolino, per aver concesso l’autorizzazione alla riproduzione delle pergamene.
7- D. A. L. Antinori Raccolta di Memorie Istoriche delle tre Province degli Abruzzi, vol. II, Napoli, mdcclxxxxii, p. 160-161, 188. Il 4 Gennaio 1279 il re Carlo I ordinò che tutti i Conti, Baroni e Feudatari del regno registrassero le terre possedute, presso il Regio Giustiziere dell’Abruzzo a Sulmona; per Tagliacozzo sono riportate queste iscrizioni nel Registro: “Berardo delle Celle possessore della quarta parte, valutata per l’ottava parte di un Feudo. Tolomeo di Montagna, e suo Fratello, per la quarta parte (altri possedimenti Fontecchio, Petra di Verrecchi, Cappadocio e Castello di Borempatrio). Rainaldo Gagliardi (altri possedimenti Ortona ne’ Marsi, Carreto, Collepagano e Marsicelli)” in quest’ultimo caso non è specificata la quota di possesso ma si può ragionevolmente supporre che anch’essa fosse di un quarto. Non è presente Napoleone Orsini: le ipotesi possibili di questa assenza sono due: o la sua dichiarazione si trova tra i vari fogli del Registro che lo stesso Antinori confessa di non aver potuto reperire, oppure non si presentò. Supponiamo che questa seconda eventualità sia stata la più probabile per una già parziale autonomia acquisita nei confronti del re delle Due Sicilie per l’aiuto prestato nella battaglia dei Piani Palentini (1268) contro Corradino di Svevia e che trovò successivamente conferma nel Diploma di Carlo II del 6 Marzo 1295, con il quale investì Napoleone Orsini della metà delle terre di Tagliacozzo, accordandogli la giurisdizione, la rocca e il dominio sui vassalli (Archivio Storico Capitolino, Archivio Orsini, Pergamene, Regesto de Cupis, segnatura II.A.02,044 catena 2201).
8- In questa lettera di istruzioni che Ferdinando I inviò al suo Tesoriere apostolico (Nicola de Pistoria), A.-A. Messer, op. cit., p. 466, è allusivamente evocato il beneplacito del Papa sull’attribuzione della contea di Tagliacozzo agli Orsini a conferma del ruolo primario svolto dal Sommo Pontefice: “[…] Quanto a quello (che scrivite) che pare a la sua B[eatitudine] debiamo dare lo contado de Tagliacoczo a li Ursini […]”.
9- Alfonso d’Aragona detto il Magnifico non avendo eredi in linea retta legittimò il 17 Febbraio 1440 Ferdinando I, avuto da una delle sue tante relazioni extraconiugali. Appena salito al trono dovette affrontare l’ostilità del papa Callisto III e la cosiddetta “Rivolta dei Baroni” capeggiata dal principe di Rossano e dal principe Orsini di Taranto. In quell’epoca soltanto un sesto degli oltre millecinquecento centri abitati dipendeva dalla Corona. Estremamente conservatore sul piano politico fu un liberale in campo economico (avvertendo tuttavia che queste aggettivazioni non vanno intese nell’accezione moderna ma riferite al tempo: basti pensare che Ferdinando I spendeva approssimativamente la stessa somma per equipaggiare l’esercito, per le sue riserve di caccia e per coltivare l’arte della falconeria); abolì i cento settantotto “passi” (dogane) riducendoli a ventisei; promosse numerose fiere, favorendo lo sviluppo del commercio nel regno. Morì il 25 Gennaio 1494 a Napoli.
10- P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, 1702, vol. iii. Passim.
11- Tra i molteplici interventi che il re delle Due Sicilie espletò presso le due potenti famiglie romane è significativo e esaustivo il documento del Ms BNF, fonds esp. 103, fol. 5 v°, nel quale Ferdinando I inviò le istruzioni all’Arcivescovo di Manfredonia, ambasciatore presso il cardinale Colonna, affinché: “[…] uno Antoni de Collealto, servitore et recomandato de lo dicto Cardenali, propria auctoritate et de facto, se ha priso uno castellecto in Abruzo, lo quali lo tenia lo Conte de Tagliacozo tempore vite sue […]. Dira lo dicto Archiepiscopo a lo prefato reverendissimo S. Cardenale per parte della prefata Majesta che voglia fare cum lo dicto Antonio, che incontinente torne lo dicto castello, ca per quillo modo may consenteria la dicta Majesta che lo dicto castello pervenisse a lo dicto Antonio”. Nel 1440 i figli di Odoardo Colonna ottennero dal re delle Due Sicilie il riconoscimento dei loro diritti sulla terra dei Marsi, con la conferma della signoria di Alba ed Avezzano. La vittoria dei Malatesta contro i colonnesi, il 22 Agosto 1482 nella battaglia di Campo Morto, vicino Marino, permise al Papa di promuovere un armistizio tra le due famiglie romane che prevedeva la restituzione di Alba agli Orsini. In realtà questo trattato ineguale non fu mai pienamente accettato dalle parti in conflitto e si dovette attendere il 1588 per porre definitivamente fine alle loro contese nel territorio marsicano; cfr. Appendice: P. Colonna, I Colonna dalle origini all’inizio del secolo xix, Roma, mcmxxvii. Ringrazio Paolo Emilio Capaldi per questa ed altre utili segnalazioni bibliografiche. Estremamente semplificando, dando così una rappresentazione piuttosto arida e scheletrica della realtà, gli Orsini si potevano considerare Guelfi ed i Colonna Ghibellini; tuttavia i loro rapporti spesso essere improntati a mutua collaborazione in particolare quando erano da salvaguardare interessi reciproci. Archivio Storico Capitolino, Ibidem, segnatura: II.A.17,028, catena: 2304. “Pergamena contenente tre contratti già stipulati tra Giovanni Andrea, e Giacomo Rodolfo Colonna, e tra Gio. Antonio, conte di Tagliacozzo e Rinaldo Orsini. Nel primo i fratelli Giovanni Andrea e Giacomo Rodolfo de Columna rinunziano a favore dei fratelli Orsini a tutti i diritti sopra i castelli di Montorio, Pozzaglia e loro territorio, Pietraforte, Petescia, Petrella e Vallebona, coi tenimenti, vassalli e privilegi, dichiarando averne ricevuto il prezzo mediante apoche private. Nel secondo i fratelli Giovanni Andrea e Giacomo Rodolfo de Colonna locano per anni 25 a Giovanni Antonio, conte di Tagliacozzo, e Rinaldo Orsini i castelli di Romanello, Roviano, Riofreddo, Vallinfreda, Lagoportico e Montagnano, per le corrisposte di 50 rubbia di grano, e 50 di biada alla raccolta, per 100 fiorini d’oro in settembre, per 20 some di mosto alla vendemmia ed una soma di olio nel mese di dicembre. Nel terzo si dichiara dalle parti suddette di non contraddire ai patti, obbligandosi i Colonna a mantenere pacificamente i fratelli Orsini, e questi ad osservare le obbligazioni assunte.”
12- Per testamento ordinò di essere sepolto: “in cappella S. Mariae, sita in ecclesia S. Petri de castro Vicovarii”, Archivio Storico Capitolino, Ibidem, segnatura II.A.17,011, catena 1858. Attualmente il sepolcro di Giovanni Antonio Orsini si trova nella cappella di S. Giacomo che è posta di fronte alla chiesa di S. Pietro a Vicovaro.
13- Conquista di Rocca di Botte e del castello di Oricola con la collaborazione del commissario del re, Giovan Battista Carrafa. A.-A. Messer, op. cit., p. 23 e 74.
14- Da sottolineare l’imprecisione sul nome del defunto. Ibidem, p. 181
15- In calce al dispaccio Ms BNF fonds esp. 103, fol. 164-164v°, fatto pervenire a Francesco di Tagliacozzo, vi è apposta questa menzione: “Dirigitur Francisco de Paganis, alias de Tagliacoçio”. In un’altra nota, A.-A. Messer, op. cit., p. 417, veniva individuato come Francisco de Paganis de Tagliacoczo. Pertanto, antroponimi diversi corrispondevano al medesimo personaggio e il loro utilizzo indiscriminato nel Codice Aragonese di Parigi non implicava il riferimento ad altri attori.
16- Ibidem, op. cit. I due nuovi rappresentanti del re delle Due Sicilie sostituivano Nicola de Statis, oratore itinerante del re, che aveva dimostrato scarse attitudini nell’incarico che gli era stato conferito.
17- Ibidem, p. 432. In realtà il solo Roberto Orsini verrà nominato conte di Tagliacozzo e Alba all’inizio del 1463, cfr. Archivio Storico Capitolino, Ibidem, segnatura II.A.17,046, catena 483 e nel 1464 i due fratelli Orsini, congiuntamente, otterranno l’investitura del feudo, Ibidem, segnatura II.A.17,072, catena 2305.
18- A.-A. Messer, op. cit., p. 432-433.
19- Ibidem, p. 433: “[…] assignete ad loro dui de vostri niputi (quali ipsi vorrano per hostagii, dando loro supra questo ogni fede de cussi observare et complirelo)”.
20- Lo stesso 1° Febbraio 1460 Ferdinando I scriveva a Fabrizio Carrafa, Ibidem, p. 435 questa nota: “[…] lo magnifico et dilecto secretario Antonio Gaço tene speciale carreco de conducere ad nostri servicii li spectabili et magnifici Napolion[e] et messer Roberto de Ursinis con loro gente d’arme, lequale messer Roberto deve venire in questa abbacia, volemo pertanto e ve comandamo, che, essendo junto lo dicto messer Roberto loco, lo debiate receptare cum sua gente et farele honore et cortesie, como ad conducteri nostri, dando sopre questo et altre cose, che per lo dicto secretario nostro ve seranno referute, plena fede et credencza”.
21- Alla contessa di Celano pervenivano da parte del re queste istruzioni, Ibidem, p. 431: “[…] perche li Aquilani et quissi del suo contato se sonno scoperti cum poco o nulla causa rebelli ed inobedienti ad nui: ve pregamo et incarricamo, che, per vui ne per vostri vassalli, non vogliate haver cum loro nexun commercio, ne permectiate che de quisse contato exano de li grani ne de l[e] altre victuaglie; ma più tosto li consentate et permictate, extrahere per la citate nostra de Sulmona […]”. Indirettamente si confermava l’eccellente produttività delle aree agricole prospicenti il lago di Celano (già Fucino) che non soltanto assicurava l’autosufficienza alimentare della contea ma permetteva di esportare derrate.
22- Ibidem, p.434.
23- Ibidem, p. 429: “[…] concedere anche ad loro lo contato de Albi, cum soi castelli, forteçe, terre, juridictione, renditi et d[i]ricti qualunca […]”. Ibidem, p. 425: Lo pagamento de li dicti tremila du[cati] vui, dicto secretario nostro, farite dare in Roma a li predicti Napolione et Roberto Ursino”. Contemporaneamente ad Antonio Caço veniva richiesto di: “[…] conducendum ad servicia et stipendia nostra, spectabiles et magnificos viros, Neapolionem et Robertum de Ursinis, et utrumque ipsorum […]”, cfr.: Ms BNF, op. cit., fol. 158 v°-159. La prescrizione della segretezza del piano diventava ancora più ferrea nei fol. 160v°-163v° del manoscritto dove si precisava che la contea di Alba si doveva “ritenerla ad mano nostra, per multe consideratione et tanto per non desdignare in tucto la casa Colonna, non, perche habeamo voluntate de darencelo per nexuna via, ma per non toglyrli de speranza”.
24- Francesco di Tagliacozzo. A.-A. Messer, op. cit., p. 424
25- Ibidem., p. 420-421.
26- Ibidem, p. 421. Il disegno del re era di coinvolgere Giacomo Picinino nel controllo della dogana delle pecore della Puglia che alla fine del mese di Febbraio poteva fruttare duecentomila ducati, Ibidem, p. 376. In questo documento si può apprezzare il metodo di governo di Ferdinando I, basato sulla menzogna e sulla scaltrezza: non solo bisognava tenere illusoriamente viva la speranza dei Colonna sulla contea di Alba (già promessa ad una scadenza definita agli Orsini) ma si assicurava a Giacomo Picinino che: “sua Mta era deliberati darla li comtati de Tagliacoço et de Albi in questo Reame, verum per la traversia, che de presente occurre tra Deifebo, figliolo del conte Everso, et Napolione et miss Roberto de Ursinis, liquali si trobano a li mani sopra lo dicto comtato […]” per queste ragioni non poteva accedere alla sua richiesta sulle due contee marsicane ed in compenso gli proponeva quindicimila ducati derivanti dai profitti dell’eventuale conquista della dogana delle pecore in Puglia.
27- Ibidem p. 421. In un post scriptum del medesimo documento, a p. 425, si viene a conoscenza che il castellano della fortezza di Tagliacozzo si chiamava Gasparo Capila e che gli venivano riconosciuti per il suo servizio “cccc du[cati]”.
28- Z. Bauman, Liquid Modernity, Malden, 2000. Per il ricercatore polacco essere escluso socialmente non significa più essere stato espulso dal mercato produttivo o non potersi assicurare la sussistenza, ma è non poter più consumare per sentirsi partecipe della modernità e uniformarsi così al parossismo mercantilistico del gruppo di appartenenza. Si sta profilando all’orizzonte una nuova forma di governo, l’onocrazia? È prossimo l’avvento di società costituite da pecore belanti che desiderano la gregarietà o stiamo tutti diventando questi Greci di Roma, uomini colti ma pur sempre schiavi, di cui scriveva, già nel secolo scorso, il sociologo Alain Touraine? Chi oggi vive nell’agiatezza è alla perenne ricerca di esperienze nuove, di vivere mondi virtuali, di assumere altre identità nei social networks, dove i gates keepers (guardiani dei cancelli) sono diventati i providers che garantiscono la disponibilità illimitata della Rete, le televisioni pay per view o comunque chiunque offra qualche entertainment. Va, però, anche rilevato che l’economia globalizzata libera infinite opportunità per chi sappia coniugare propensione all’innovazione e sapere; l’accesso alla cultura è praticamente diventato illimitato; la E-Democracy è in pieno sviluppo.
29- P. P. Pasolini, L’articolo delle lucciole, in Scritti Corsari, Milano, 1999. Saggio apparso originariamente sul Corriere della Sera del 1° Febbraio 1975 col titolo Il vuoto del potere in Italia.