LA GROTTA COLA DI CAPPADOCIA
di Alessandro Fiorillo
Una caratteristica peculiare del territorio abruzzese e appenninico è la presenza delle cosiddette grotte santuario, assai numerose e sempre interessanti da studiare e analizzare in quanto custodi di testimonianze importanti soprattutto dell’età preistorica, ma anche della successiva, fino all’epoca medievale. Queste grotte vengono appunto dette santuario in quanto vi si praticavano diversi riti e culti con tanto di sacrifici animali e in alcuni casi persino umani. I culti erano soprattutto legati alla fertilità e la grotta era interpretata come il luogo mitico che consentiva un contatto più vicino con la terra, con il suo “grembo”. Il sacrificio animale era uno dei rituali certi di questo culto, come si può evincere dai numerosi ritrovamenti di frammenti e di ossa intere di animali all’interno di esse. Altro culto noto che si effettuava nelle grotte era quello legato alle acque. Piuttosto conosciute, tra le grotte santuario d’Abruzzo (1), sono la grotta Continenza nei pressi di Trasacco, le grotte di Ortucchio e la grotta di Ciccio Felice vicino ad Avezzano.
Anche la grotta Cola usata come santuario?
Gli studi più importanti effettuati all’interno della grotta Cola possono riferirsi agli scavi condotti da Giustiniano Nicolucci sul finire del XIX secolo, le cui conclusioni sono riportate nella pubblicazione La Grotta Cola di Petrella di Cappadocia, 1877, e quelle condotte negli anni attorno alla metà del XX secolo da Radmilli e Tempesta, sfociate nella pubblicazione Storia dell’Abruzzo dalle origini all’età del bronzo, pp. 314-315, 1957.
All’interno di queste pubblicazioni si fa riferimento agli oggetti preistorici ritrovati, in particolare crani ed ossa dell’ursus spelaeus, frammenti di stoviglie, un’ascia di pietra verde neolitica (2) e, come evidenzia il Radmilli, anche la presenza di un focolare all’imboccatura della grotta, la cui cosa testimonia l’uso della stessa come riparo o abitazione da parte degli uomini dell’età del Bronzo.
I recenti ritrovamenti (3) da parte dello staff di ricercatori dell’Associazione Culturale Nuovo Mondo (4) sembrerebbero evidenziare un uso della grotta in epoche diverse, uso finora non considerato nel corso degli studi precedenti. Infatti, all’interno della stessa sono stati ritrovati diversi frammenti ossei di natura animale, alcuni dei quali di dimensioni interessanti e altri evidentemente fossilizzati, che sembrerebbero suggerire l’utilizzo della grotta stessa come santuario. Qui, come tutti i luoghi carichi di significato simbolico, venivano praticati dei sacrifici propiziatori di animali, legati ai vari culti della fertilità o delle acque. Infatti, questi frammenti ossei sono stati ritrovati all’interno di quello che sembrerebbe essere una sorta di pozzetto di raccolta circoscritto in un preciso ambito della grotta, caratteristica tipica riscontrata nelle già note grotte santuario d’Abruzzo (5).
La presenza di una probabile grotta santuario in questa porzione di territorio marsicano (la Valle di Nerfa), indicherebbe, con molta probabilità, che già in epoca preistorica ( o ocres equo?) nelle immediate vicinanze vi era un villaggio abitato, quasi certamente di agricoltori. La cosa è interessante in quanto non vi sono prove certe dell’esistenza di centri abitati o villaggi in epoca preistorica o protostorica. L’origine degli attuali paesi di Petrella Liri, Cappadocia o Castellafiume, se facciamo riferimento ai più antichi documenti (6) che citano questi borghi, risale agli anni intorno al X-XI secolo d.C. Ma sono accertate presenze di strutture d’epoca romana, che indicano quindi che la valle era frequentata e probabilmente abitata già in quel periodo.
La leggenda del serpente e del tesoro della grotta Cola
E’ probabile che questi rituali siano stati praticati in epoche diverse, probabilmente dalla preistoria fino al medioevo, considerato che accanto ai frammenti ossei sono stati rinvenuti anche numerosi pezzi di ceramiche quasi certamente d’epoca medievale. L’eco di questi antichi rituali sopravvive sottoforma di leggenda raccontata ancora da alcuni anziani nei paesi della valle.
Una di queste narra di un tesoro dei briganti sotterrato nella grotta, la cui custodia è tutt’oggi affidata ad un famelico serpente costretto da tempo immemorabile a fare la guardia al prezioso bottino. Colui che, temerario, coraggioso e incurante della paura del serpente, ardisca di ritrovare e riportare alla luce il tesoro, non dovrà far altro che raggiungere l’ingresso della grotta a mezzanotte. Lì dovrà invocare il serpente, gridando: “Esci Portogallo che sono solo!” (7). Quindi inizierà la prova a cui il temerario dovrà sottoporsi: il serpente striscerà dall’interno della grotta, raggiungerà il coraggioso, lo avvinghierà e inizierà a risalirne il suo corpo per fermarsi soltanto all’altezza del volto. Qui, dopo averlo fissato un istante, si avvicinerà ancora alla testa per baciarlo in fronte. Se il coraggioso avrà superato questa prova, se sarà riuscito a mantenere la calma senza fuggire alla sola vista del serpente, allora sarà degno di dissotterrare il tesoro dei briganti. Infatti, dopo aver baciata la fronte dell’ardito ricercatore, il serpente ridiscenderà a terra e inizierà a strisciare dentro la grotta fino a fermarsi nel punto preciso dove è sotterrato il tesoro. Il coraggioso protagonista della prova inizierà quindi a scavare fino a ritrovare, finalmente, il tesoro dei briganti. Nel preciso istante che il tesoro sarà accarezzato dalla pur flebile luce della luna di mezzanotte, l’anima dannata prigioniera del serpente sarà liberata e il malefico prodigio sarà sciolto (8).
Questo sembra uno dei tanti banali racconti che gli anziani delle nostre terre amano narrare a tavola, spesso dinanzi ad abbondanti bicchieri di vino, per spaventare gli ascoltatori, soprattutto se bambini. Ma, se analizziamo attentamente l’essenza del racconto e della leggenda, ritroveremo interessanti riferimenti alla storia e alle vicende arcaiche della terra abruzzese. Tanto per cominciare: la figura principale è quella del serpente, il cui richiamo evidente è al culto della divinità marsa incantatrice dei serpenti, la dea Angitia. La grotta, poi, è un ulteriore elemento non casuale, in quanto, come detto prima, probabilmente all’interno della stessa si praticavano sacrifici animali legati ad antichi culti della popolazione marsa. La vicenda dei briganti è un ulteriore, tardo elemento, che va ad innestarsi sulle vicende più antiche, in quanto sappiamo bene come il brigantaggio abbia caratterizzato un momento importante della storia recente delle nostre zone.
La leggenda del serpente di grotta Cola è uno dei tanti riferimenti magici di una terra come la nostra che, ad onta dei cambiamenti globali della nostra epoca tesi ad omologare e a far perdere le tracce della cultura popolare, resiste e continua a conservare quei tratti caratteristici delle genti che per millenni hanno abitato le selvagge e sincere montagne della magica e affascinante regione marsicana.
1-Nel caso delle grotte santuario il cristianesimo piuttosto che contrapporsi nettamente a queste antiche usanze e riti ha preferito “cristianizzare” gli antichi culti. Così, ad esempio, sono nati i culti per San Michele Arcangelo e, solo per citare la provincia dell’Aquila, piuttosto numerose sono le grotte dedicate a lui e a Sant’Angelo, come quelle di Sant’Angelo a Balsorano, San Michele a Pescocostanzo, Sant’Angelo in Vetulis nei pressi di Sulmona, Sant’Angelo a Bominaco, San Michele a San Vittorino.
2-Oggetti ritrovati dal Nicolucci.
3-Cfr, A. Fiorillo, in Aequa n. 20, gennaio 2005.
4-Sito internet: www.nuovomondo.too.it
5-Questi frammenti ossei sono stati rinvenuti nella parte più profonda della grotta, nel punto più distante rispetto alla sua apertura. E, infatti, i riti venivano praticati nel punto più interno della grotta, quello che si credeva fosse il più vicino al centro della terra. Essi sono stati prelevati per evitarne la dispersione o il trafugamento e sono conservati dall’Associazione, la quale spera che possano essere valorizzati ed esposti in un museo della Valle di Nerfa, da realizzarsi probabilmente a Cappadocia. La grotta è frequentata assiduamente da parte di numerosi escursionisti; non è da escludere, quindi, che gli stessi reperti che abbiamo trovato e raccolto siano affiorati in superficie a seguito di scavi clandestini. Questi reperti, chiaramente, sono a disposizione della Soprintendenza dell’Aquila. Per eventuali contatti: alekxandros@tin.it .
6- Cfr. il Catalogus Baronum, il Chronicons Cassinensis e la Bolla Papale di Clemente III del 1187.
7- Portogallo, nel dialetto locale, significa arancio. Il serpente si chiama Portogallo perché ha due occhi grandi come due arance.
8-Esistono, però, diverse versioni della leggenda. Ad esempio, a Petrella Liri si racconta che il luogo che si deve raggiungere per incontrare il serpente non è la grotta Cola, bensì la cosiddetta “Fonte dei ladri”, una piccola sorgente che si trova sul Monte Arunzo. Questa versione vuole che, per impossessarsi del tesoro protetto dal serpente, bisogna vendere a quest’ultimo, che rappresenta il diavolo, la propria anima.