ASPETTI DELLA COMUNITÀ DI AFFILE NEL SECOLO XVIII
di Antonio Tantari
Presso l’Archivio di Stato di Roma è conservato un interessante documento. Si tratta della Tabella di entrata e di uscita compilata il 3 luglio 1784, con cui la comunità di Affile presentava il bilancio per l’anno precedente (1). L’estensore della Tabella fu il Contestabile Domenico Serafini, che era in carica in quell’anno e che avrebbe poi provveduto ad inviarla alla Congregazione del Buon Consiglio per l’approvazione (2).
Tra le voci di entrata è interessante notare che il comune di Affile, come la gran parte delle altre comunità dell’Abbazia di Subiaco, godeva della privativa sulla confezione del pane commerciale, sui generi di pizzicheria, sulle carni vaccine, sul pollame, sull’osteria per la vendita del vino. Di tali prodotti il comune curava l’indicazione del prezzo e le modalità di vendita per la soddisfazione e il sostentamento della popolazione, che in quel tempo sfiorava le 1500 unità.
Inoltre venivano aggiudicati in appalto il frantoio, la gestione dell’archivio comunale, la riscossione del danno dato, cioè delle multe per gli sconfinamenti del bestiame sopra i terreni altrui; altri introiti erano poi assicurati dall’affitto dei pascoli di Rotugnano e di Radimonte, nonché dalla vendita del taglio della macchia di Caprola. A giudicare i contravventori alle disposizioni sancite nei capitoli di appalto dei proventi comunitativi era chiamato il podestà locale (3).
Le quote di queste entrate non erano costanti poiché gli appalti o gli affitti venivano concessi al miglior offerente con il metodo detto “ad estinzione di candela”: dovendosi fare un nuovo affitto, veniva pubblicato dal comune un bando, col quale si informavano i cittadini dell’asta pubblica e venivano quindi invitati gli interessati ad avanzare le loro offerte. L’appalto andava a chi avesse fatto l’offerta più vantaggiosa per la comunità a giudizio del consiglio, avesse possedimenti idonei a garantire il pagamento e avesse presentato la sua offerta in tempo utile, cioè prima dell’estinzione della candela, accesa in pubblico all’atto della pubblicazione del bando. La stipula degli atti di appalto o di affitto dei proventi comunitativi era riservata al Contestabile e i contratti erano compilati dal notaio comunale.
Vediamo ora più in dettaglio, a titolo di esempio, alcune delle rendite della comunità di Affile.
I forni
Nel secolo XVIII vi erano funzionanti ben tre forni: quello del pane venale, quello detto del Pozzico e quello chiamato della Torre, questi ultimi due denominati “forni a saccio”.
Per la comunità di Affile l’efficienza dei forni comunitativi era di vitale importanza perché da essa dipendeva il sostentamento della popolazione, non essendo permesso ad alcuno, se non agli affittuari, di confezionare pane per la vendita al pubblico.
Nell’istrumento di affitto veniva stabilito che l’affittuario doveva fornire alla comunità il pane al prezzo e soprattutto al peso stabiliti dal consiglio senza ricorrere a mezzi che potessero alterare l’uno o l’altro. è evidente che chi appaltasse il forno dovesse essere per forza un benestante, se non addirittura un ricco possidente. Oppure più persone si associavano per far fronte alle spese. è questo forse il caso dell’episodio testimoniatoci da un documento conservato nell’archivio di Santa Scolastica di Subiaco che riguarda il forno della Torre. Il 17 luglio 1710, quando la privativa del pane per questo forno era tenuta da Apollonia, vedova di Orazio Ricci, insieme con Pieruccia di Sante Romani e Maria moglie di Tranquillo Mosetti, la prima venne percossa da Elisabetta moglie di Marco Felici alla quale aveva richiesto il pagamento del focatico (4).
Il 27 giugno 1753 il consiglio decise che a “principiare il primo ottobre per il popolo di Afile” il prezzo del pane venne fissato in “un bajocco per 9 once di pane bianco oppure per 12 once di pane bruno di buona qualità” (5).
La privativa del forno generalmente rendeva bene, ma poteva anche succedere che, per la mancanza di frumento e il conseguente aumento del prezzo, l’affittuario non si trovasse più con il prezzo e il peso stabiliti dal consiglio. E’ quanto avvenne nel 1764 e nel 1767, anni in cui Affile e tutto il circondario furono afflitti da una terribile carestia; anche più tardi dovettero presentarsi situazioni simili; infatti, nel 1783 un documento indica che “li particolari della terra di Afile .per alimentarsi deggiono tutt’ora spropriarsi del loro avere, e vivere stentatamente” (6).
I danni dati
Da sempre l’economia di Affile si è basata, sulla produzione di olio e di vino; anche il Moroni afferma che ai suoi tempi il territorio affilano era “fertile, posto parte in piano, producente un eccellente vino, simile all’aleatico, olio, grano e granturco e altro; oltre ai pascoli” (7). E quanto fosse tenuta in particolare considerazione la produzione di tali derrate, è dimostrato da una serie di documenti.
Il 7 luglio 1759, il consiglio, con in testa il Contestabile Benedetto Felici, emanò il divieto di pascolo negli uliveti che affittati procuravano un’entrata che variava dai 18 ai 20 scudi (8). Ugualmente nel 1782, per l’alto numero di danni causati “nelle vigne di questo territorio, che sono l’unico capitale di questa terra”, il Contestabile Benedetto Enea propose al consiglio che accettò che “la pena per i proprietari del bestiame che invade le vigne dopo la vendemmia da 7 bajocchi e mezzo” passasse “a 30 bajocchi” (9).
La difesa del patrimonio sia privato che pubblico era, quindi, una preoccupazione costante degli amministratori della comunità di Affile, tanto che, come testimoniato dai documenti citati, essi avevano ritenuto necessario preservare l’incolumità della proprietà con l’istituzione di precise ammende da infliggere a coloro che si rendevano responsabili di determinate infrazioni e di violazione della proprietà altrui. Cercavano di preservare così ogni cosa, dalle chiuse agli uliveti, dai prati all’erba tra il grano, agli orti, agli alberi da frutto ecc…
A tale scopo veniva eletto un responsabile del Danno Dato, cioè procurato, coadiuvato da guardiani (10). Le pene vennero istituite non tanto per regolare il comportamento dei Possidenti o dei Benestanti, perchè ad essi non difettavano certo terreni e pascoli nei quali far pascolare le loro bestie; quanto per impedire la violazione dei loro beni ad opera di quanti, spesso per necessità, erano costretti a mancare di riguardo alla proprietà altrui.
Alcune volte, gli stessi guardiani preposti al controllo e alla soppressione dei soprusi rendevano spesso la vita difficile ai possidenti, a tal punto da provocare una loro reazione come accadde nel 1766 quando una supplica venne rivolta al Contestabile Giuseppe Bonanni “per riparare i continui e considerevoli danni, che si commettono nel territorio da parte dei guardiani” (11).
Il consiglio, in alcuni momenti particolari nella vita della comunità, deliberò di sospendere il divieto di violazione dei terreni, ma tali decisioni causarono la reazione dei possidenti, i quali si fecero promotori di petizioni scritte rivolte al Contestabile. Come nel caso di quella presentata nel 1794 contro l’abolizione della difesa degli oliveti: tale richiesta venne accolta il 20 luglio dello stesso anno e la proibizione venne ristabilita (12). Oppure come accadde l’anno successivo, quando di nuovo i possidenti diedero vita ad una seconda petizione contro il permesso di pascolare negli oliveti (13).
1 – ASR, Buon Governo, serie II, Affile, busta 41
2 – Il Contestabile di ogni castello dell’Abbazia di S. Scolastica fungeva da capo del consiglio ed esigeva i proventi della comunità. Nella Bolla di Clemente VIII, “De Bono Regimine” era stabilito infatti, che ogni anno entro trenta giorni, dovevano compilarsi in ogni comunità le tabelle delle entrate e delle uscite del comune in doppia copia. Queste, vistate dal Podestà locale, dovevano essere spedite a Roma.
3 – Il podestà era un giudice, subalterno al Governatore generale di Subiaco, che amministrava la giustizia civile e penale.
4 – Archivio Santa Scolastica, Affile, Atti Criminali I.
5 – ASR, Buon Governo, serie II , Affile, busta 40.
6 – ASR, Buon Governo, serie II, Affile, busta 41.
7 – G. Moroni, Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica, Venezia, Tipografia Emiliana, 1857, vol. LXX, pp. 211-213. Già nel XVII secolo il poeta affilano Rutilio Scotti magnificava la fertilità della terra affilana tanto adatta alla coltivazione della vite da rendere «per ciascheduna opera di zappa sei et anco otto some di mosto». Cfr. Scotti Rutilio Affilano, Descrittione et historia della Abbadia di Subiaco, anno 1615, Biblioteca Vaticana.
8 – ASR, Buon Governo, serie II, Affile, busta 40.
9 – ASR, Buon Governo, serie II, Affile, busta 41.
10 – Nel 1760 venne nominato dal Consiglio guardiano delle vigne Domenico Antonio Tantari, figlio di Silvestro. Cfr. ASR, Buon Governo, serie II, Affile, busta 40.
11 – ASR, Buon Governo, serie II, Affile, busta 41.
12 – ASR, Buon Governo, serie II, Affile, busta 42.
13 – Idem.