ANTICHE LEGGENDE DI ANTICOLI CORRADO
di Giovambattista Grifoni
I miti e le leggende non sono pure e semplici curiosità per un lontano passato, ma antichi racconti che posseggono contenuti poetici ancora vivi ed interessanti. Le leggende si riallacciano spesso a fatti reali. L’argomento è in genere religioso o eroico e i personaggi sono presi dalla storia e collegati a luoghi del paese. Anche se molto diverse tra loro, le leggende hanno alcuni caratteri comuni a tutta l’Europa e, come scrive Patrice De La Tour Du Pim, “Tous les pays qui n’ont plus de legende seront condamnés à mourir de froid” (I paesi che non hanno più la leggenda saranno destinati a morire di freddo).
Le storie di briganti e di tesori nascosti, di fantasmi e spiriti, di streghe, la paura dei serpenti, i soprusi dei signorotti hanno da sempre acceso le fantasie popolari e alimentato leggende. Alcune di queste vevivano narrate vicino al focolare, fino a qualche decennio fa, anche ad Anticoli Corrado dai nonni ai loro nipoti nelle lunghe sere d’inverno e, spesso, nascondono insegnamenti morali o miravano ad impaurirli per non farli allontanare dai luoghi di lavoro o gironzolare in luoghi pericolosi. Ne ho raccolte alcune che penso valga la pena far conoscere.
Il tesoro del bandito Paluntu
Vicinu a ju Casa Corte, un vasto appezzamento di terra una volta ricoperto da dorate distese di grano ed ora non più coltivato, si trova un terreno chiamato Fossa ‘ella Corte che apparteneva alla famiglia dei Pompei. Un giorno c’era un contadino ad arare con i buoi ed improvvisamente, come apparso dal nulla, si presentò un signorotto, come all’epoca venivano chiamati i capi briganti. Questo gli disse:
- Vuoi venire con me?
Dove mi porti? Rispose il contadino.
Dove, ti ci porto io. Però se vieni, ti devo bendare gli occhi.
Il contadino accettò ed il brigante così fece. Ji fece lassà perde i boi, ju fece fermà e ji mésse un fazzulittu a j’occhi. Se lo mise sotto il braccio e lo portò ‘n faccia alla macchia a Peschitu Galeone, che si trova tra la Fonte Cardinale e ju Casarcagnu. Sempre con gli occhi bendati, lo fece entrare in una grotta. Una volta dentro, gli tolse il fazzoletto dagli occhi e, con enorme stupore, il contadino si trovò davanti un immenso tesoro, bottino di tanti anni di brigantaggio della banda del malvivente Paluntu.
Dopo alcuni minuti, mentre ancora meravigliato il contadino ammirava il tesoro, gli si fece vicino il brigante e, con dire beffardo, sicuro che intanto non avrebbe mai ritrovato il nascondiglio, gli disse:
Mo, io te cce so portatu ecco, però, se io te faccio reescì, tu non ci arranduini!
Rimise la benda sugli occhi del contadino e lo riportò vicino ai buoi. Dopo un breve saluto, il signore brigante scomparve nel nulla come dal nulla era venuto.
Il contadino, affatto scoraggiato dall’avvertimento del brigante, subito si mise alla ricerca della grotta e del tesoro. Ma perse gran parte della sua vita nella vana ricerca.
Si racconta che anche i figli dei figli dei figli di questo vaccaro cercarono per anni e anni la grotta del tesoro, ma nessuno riuscì mai a trovarla. Quel tesoro giace ancora nascosto nel buio.
Ju Regolo
Nelle calde giornate della mietitura, spesso i contadini più anziani, per tenere buoni i bambini e non farli allontanare, gli raccontavano di uno strano e pericoloso animale, il Regolo.
Questo era un serpente corto e un po’ tozzo, dai colori molto vivaci ed aveva una grande stella bianca in testa. L’animale emetteva sibili acutissimi, attirando a sé tutti i serpenti della zona pronti ad ingoiare le persone che incontravano, soprattutto bambini soli.
Questa specie di grosso ramarro era come l’araba fenice, ma Mario Toppi raccontava che era nato da un serpente africano portato in Italia dalla nave che condusse Attilio Regolo da Cartagine a Roma.
La casa degli spiriti
Camminando per via Olivella, ci si imbatte in un antico palazzetto semidiroccato, con un portale sormontato da un bellissimo stemma gentilizio, in un punto del paese quasi abbandonato, tetro e di notte quasi tutto al buio. La gente racconta che quella casa è abitata dagli spiriti e perciò nessuno si decide a ristrutturarla.
Un vecchio anticolano, J’Africanu, narra che quel posto era usato prima come prigione e poi come sede per torturare e giustiziare tutte quelle persone che si erano macchiate di qualche reato verso il signore di Anticoli. All’interno vi era una stanza detta dei “coltellacci” sui quali venivano infilzati i condannati. Questi venivano condotti sulle due botole situate vicino alla strada e quindi fatti scivolare giù, dove restavano uccisi e abbandonati a marcire.
Nell’immediato dopoguerra, l’edificio, tuttavia, era abitato da una certa Perinella. Un giorno, i vicini, insospettiti che dalla casa non si udivano più rumori e neppure si vedeva la padrona, con grande paura decisero di entrare per vedere cosa fosse successo. Vicino al focolare ormai freddo, trovarono la povera vecchia che sembrava dormire. Tutti pensarono che fosse stata rapita dalle anime dannate che ancora oggi vagano nei sotterranei e nelle cantine in cerca di pace.
Mattia, Mattiaccio e il Carnevale
I vecchi raccontano di un carnevale di molti anni fa quando, il giorno di S. Mattia (24 febbraio), gli anticolani fecero un grosso pupazzo di paglia e cominciarono a trascinarlo per le vie del paese percuotendolo con grossi bastoni. Ridevano, scherzavano e gridavano:
Mattia, Mattiaccio,
nun ci vien più Carnevalaccio!
Tutti si divertivano nel colpire selvaggiamente il fantoccio, ma improvvisamente qualcuno vide per terra delle macchie rosse di sangue. Era il sangue che usciva dal Carnevale e tutti si sentirono responsabili. Grande fu lo stupore e il dolore dei presenti che decisero di non celebrare più in quel modo il carnevale. Anzi, il parroco impose una tributo annuo come riparazione del misfatto (1).
Le streghe
I vecchi raccontano storie raccapriccianti di bambini sfuggiti miracolosamente dalle mani delle streghe, di infanti gettati dalla finestra e raccolti da gente che durante la notte si recava in chiesa, di piccoli lasciati addormentati nelle loro culle e ritrovati vicino al focolare nel quale sarebbero stati gettati dalle streghe se non fossero tornate in tempo le mamme. Perciò, per impedire alle streghe di entrare in casa, si usava inchiodare un cardo sulla porta d’ingresso. La strega poteva entrare solo se sarebbe riuscita a contare tutti i filamenti del cardo selvatico. Ma c’erano altri mezzi: mettere nella toppa la stoppa o dietro la porta una scopa o una croce benedetta (2).
Valle Signore
Nell’agro anticolano esiste una località chiamata Valle Signore che deriva il suo nome dalla seguente leggenda.
Sui monti Ruffi, in posizione dominante rispetto Anticoli, esisteva la Rocca Surici (3), abitata da un prepotente signore che tirannemente infieriva sui poveri vassalli pretendendo la castità dalle loro donne fino al giorno delle nozze, quando prima dovevano assolvere con lui all’obbligo dello jus primae nocti. Il popolo, stanco degli abusi dell’odiato feudatario, volle vendicarsi.
Durante una festa carnavalesca, alcuni contadini si mascherarono da donne e, danzando e cantando, circondarono il signore invitandolo alla baldoria. Il malvagio cadde nel laccio e, ad un segno convenuto, gli uomini si tolsero la maschera e piombarono su di lui, legandolo ed imbavagliandolo. Le donne di Anticoli, allora, accorsero alla rocca ed inferocite gridavano: – A valle i signore! Gli uomini rinchiusero in una botte piena di pugnali il feudatario e la fecero ruzzolare dalla cima del monte alla valle sottostante. Da allora la località si chiama “Valle Signore”.
1 – Sul Carnevale mi è stata raccontata anche questa ormai desueta tradizione. Durante il carnevale ad Anticoli era vietato il lavoro. Nella piazza del paese si istituiva un tribunale a cui venivano portati tutti i paesani che erano stati scoperti al lavoro. I processi terminavano con i rei condannati ad offrire vino a tutto il popolo. Quando i rintocchi della campana della chiesa annunciavano l’agonia e la morte del Carnevale, i presenti nella piazza, tutti naturalmente ubriachi, piangendo cantavano: “E’ morto Carnevale! Chi lo piangerà? / Lo piangeremo noi con tutta la società”.
2 – Ad Anticoli, ancora oggi ci sono delle donne che curano alcune malattie con erbe selvatiche e che per questo vengono definite “ultime streghe”. Io stesso, non più di venti anni fa, fui ben curato ad alcune cicatrici profonde che m’ero procurato sul viso da una di queste. Per diverse settimane, tutti i giorni, mi sono recato in casa di questa vecchia donna. Mi sedevo al buio vicino al focolare e lei, dopo aver preso “l’olio santo” che mischiava con una poltiglia verdastra di erbe, mi si rivolgeva chiedendomi la fede, l’anello nuziale di una sorella di mia madre alla quale era morto il marito. Quindi bisbigliava per alcuni minuti delle strane parole, che non sono mai riuscito a capire, e poi cominciava a spalmare quella preziosa pozione sulla parte ferita del mio viso.
3 – Intorno al 1073-1085 l’abate di Subiaco, Giovanni V, attaccò Anticoli e fece prigioniero suo nipote Crescenzio, figlio di Oddone. Sopra al paese costruì la torre Suricum, la leggendaria Rocca Surici. Intervenne papa Gregorio VII che sconfisse l’abate e donò la Rocca ad Oddone (cfr. P. Carosi, Discendenti del Barbarossa. Signori (1240-1430) di Anticoli Corrado, Subiaco, 1983). Molti anni più tardi, Rocca Surici divenne il rifugio di uno dei più acerrimi nemici del papato, Corrado D’Antiochia, nipote di Federico II. Da questo luogo inespugnabile organizzava continui agguati e assalti improvvisi contro i castelli e le rocche avvervarie (cfr. A. Meriggi, Corrado I D’Antiochia. Un principe ghibellino nelle vicende della seconda metà del XIII secolo). Oggi rimangono poche rovine della Rocca, posta un tempo vicino al confine con Saracinesco.