UN’ISPEZIONE DI GIUSEPPE PRESUTTI
A VICOVARO E PAESI VICINI
di Giuseppe Aldo Rossi
In data 16 agosto 1920 la Regia Soprintendenza alle Gallerie e Musei medioevali e moderni comunicava per lettera al prof. Giuseppe Presutti (1), residente in Roma, via dei Gracchi n. 56, la sua nomina a R. Ispettore onorario dei monumenti e degli oggetti di antichità e arte per i comuni di Vicovaro, San Polo dei Cavalieri, Castel Madama, Sambuci e Ciciliano. Contestualmente lo si invitava a compiere un accurato sopralluogo nel territorio compreso entro i comuni della sua giurisdizione e di riferire sullo stato di conservazione del relativo patrimonio.
Debbo alla cortesia di Benedetto Vasselli se ho potuto rinvenire nel suo ampio archivio, riguardante Riofreddo e paesi circonvicini, la lunga relazione inviata, con meritoria sollecitudine, dal Presutti alla Soprintendenza il 25 aprile 1921 e che qui di seguito trascrivo nella sua interezza.
ALL’ILLMO. SOPRINTENDENTE DELLE GALLERIE E OGGETTI D’ARTE DEL LAZIO E DEGLI ABBRUZZI [sic]
In seguito all’onorifica mia nomina d’Ispettore Onorario dei Monumenti e Oggetti d’Arte per i Comuni di Vicovaro, S. Polo dei Cavalieri, Castel Madama, Sambuci e Ciciliano, mi feci un dovere d’accedere ai medesimi luoghi; e primamente a VICOVARO. Qui visitai il tempietto dedicato a S. Giacomo, protetto dalla cancellata di ferro per cura del Ministero della P.I. onde non si ebbero a deplorare nuovi danni e furti, come quello di una statuina asportata parecchi anni addietro.
Sarebbe ovvio tornare a discutere circa l’epoca precisa e lo stile dell’Oratorio, dopo gli studi del Marchesi e le pagine scritte con intelletto d’amore dal nostro Colasanti; ma rimane ancora largo campo ad ulteriori indagini e più concrete intuizioni. Egli è evidente l’opera di due artisti eclettici della scuola del Brunelleschi e dei grandi contemporanei; ma bisogna notare che il vescovo di Trani il quale fece condurre a termine l’elegante costruzione fu Giovanni Orsini e non Giacomo; che il ripetersi delle rose decorative anziché alla maniera di Giovanni Dalmata o di Domenico di Capodistria è dovuto in grazia dei signori patroni che accampano la rosa nell’arma gentilizia.
Con tale stemma si vedono ancora segnati gli architravi delle case quattrocentesche circostanti al monumento; e merita tutta l’attenzione quella sotto la piazza, cioè la Corta o Curia baronale.
Del vecchio Castello, ora Cenci Bolognetti, e degli oggetti antichi ed artistici ivi conservati, come pure della Chiesa primaria di S. Pietro nulla m’è occorso dal notare, all’infuori del risaputo.
A breve distanza dal paese per una via frastagliata da ruderi di qualche villa romana, a cui vanno riferite le belle colonne di corallina che adornano la vicina Chiesa di S. Antonio, mi recai volentieri al Convento dei SS. Cosma e Damiano, volgarmente S. Cosimato. Qui la natura sembra in fiera contesa con l’arte che timidamente si scopre ed incomincia ormai ad avere il sopravvento in questa penisoletta incantata, irta di scogli rosi ai fianchi dalle onde dell’Aniene e di fronte ai monoliti del ponte che sorreggeva l’acquedotto di Claudio: tanto è deplorevole lo stato selvaggio d’abbandono dello storico e leggendario cenobio, che ricorda il Luminare del monachismo occidentale e della civiltà cristiana.
Per colmo d’oltraggio, i tecnici della trazione elettrica minarono con i lavori fin sotto le radici della scogliera, e quindi il terremoto d’Avezzano concorse a danneggiare l’intero edificio che servì durante la guerra di caserma a soldati e prigionieri, i quali non potevano rendersi conto delle involontarie manomissioni, atteso l’impellente bisogno dell’ora.
Appresi da quei Padri Francescani che avevano invano avanzate reiterate istanze al Fondo Culto e alla Direzione delle Belle Arti per la riparazione del Sacro recesso che mostra larghe falde nelle mura laterali e nella volta, mentre converrebbe provvedere d’urgenza, dove si mantengono discretamente le due cappelle degli Orsini ai lati dell’altar Maggiore. Quella che rimane a destra dell’entrata conserva nel muro il ritratto di Giulia Orsini del ramo di Mignano, moglie di Roberto signore di Licenza e Roccagiovine, sepolta presso la tomba del marito, come narra l’epigrafe ivi apposta alla sua bisava nell’anno 1628 da Mario Orsini figlio di Roberto Giuniore quando era vescovo di Tivoli (già di Bisignano dal 1611 al 1624).
La Cappella sinistra ha le pareti ornate di affreschi fine del quattrocento, bistrattati dallo scialbo e dal salnitro e che rappresentano l’Adorazione dei Magi, la Vergine, in Viaggio al Calvario, con la figura ben distinta del Cireneo e traccia di ricostruzione a matita.
L’una e l’altra cappella celano sotto gli intonachi la modanatura architettonica della detta epoca, e potrebbero richiamare alla mente gli artisti che operarono nell’Oratorio di S. Giacomo, se riapparissero esse alla luce del giorno.
Di minore importanza gli affreschi secenteschi del portico, riproducenti episodi dell’O. Francescano e le gesta dei Paladini di Carlo Magno contro i Saraceni; dal fatto anacronistico, che quei barbari, al tempo di Giovanni VIII si spinsero oltre Tivoli, incalzati dalla cavalleria Romana.
Le pitture poi che adornano le grotte o meglio la vecchia chiesa, co’ Miracoli di S. Benedetto ed altre leggende, se anteriori alle prime, esse pure appartengono al secolo XVI, ma tendono ormai a sparire sotto lo stillicidio delle acque e l’impeto delle correnti aeree.
Sole rimangono le caratteristiche celle incavate nella pietra da rubesti anacoreti, riluttanti alla regola della penitenza e dell’amore, che tesero insidia al Gran Patriarca e lo costrinsero a ricercare i propinqui monti Simbruini.
Non è qui il caso di accennare alle vestigia dell’antica Varia, che appariscono ad ogni pie’ sospinto in contrada Quarto del Piano donde il superbo sarcofago Ottati del Museo Capitolino che incoreggerebbe ad eseguire degli scavi razionali con esito fruttuoso.
Incombe intanto al Governo, in virtù d’una stessa legge, di salvaguardare il paesaggio oraziano della deliziosa valle dell’Aniene, alle cui bellezze naturali seppe ispirarsi il più grande lirico del Mondo Antico, e quanti artisti e poeti ebbero la ventura di rifarsi quivi alle fonti vive del bello e del vero.
SAMBUCI. Chiuso in una gola di montagna, non presenta di rimarchevole che alcune mura castellane all’ingresso del paese e simili casupole dell’antico fabbricato ai tempi dei padroni locali, i Corrado D’Antiochia.
Altri scrisse che nella parrocchiale di S. Michele Arcangelo esistevano le tombe dei medesimi signori, però non mi è riuscito di riscontrarne pure una traccia o memoria. So che il marchese Teodoli abbia raccolto nel Castello parecchi frammenti e busti di statue romane provenienti dai dintorni, e che io non potei vedere.
La detta chiesa offre di particolare la volta che riproduce un’altra chiesa con bello effetto di luci e d’ombre; e merita anzi d’essere restaturata sia in rapporto all’arte (sembrando quei dipinti della Scuola degli Zuccari, se non proprio di loro mano), sia in rapporto ai buoni parrocchiani esposti alla pioggia e al vento: poiché le tele hanno piegato sotto l’infiltramento delle acque e nel centro si sono addirittura squarciate. Il vecchio servo di Dio invoca l’aiuto di cotesta Direzione e del Fondo Culto insieme che – sono sue parole – dovrebbero una buona volta mettersi d’accordo da buoni cristiani.
CASTEL MADAMA – Nel Castello Baronale di questo ameno ed industre luogo, si conservano parecchie iscrizioni antiche murate nel cortile, dove figura il medaglione in tufo col bassorilievo d’una testa di giovine uomo dalle chiome scomposte ed in cui volle altri ravvisare la testa di Apollo di greco scalpello.
Da quanto potei leggere a rispettiva distanza, l’iscrizione intorno alla cornice si riferisce a Poncello Orsini (1308) che aveva preso possesso del Castrum Ampollonii o Ampiglioni, di cui si affermava signore.
Non m’indugiai sui raffronti dei quadri esistenti nella Chiesa di S. Michele che quell’Arciprete mi assicurò essere stati tutti inventariati d’ufficio e mantenuti nel medesimo stato. Altri ancora volle ravvisare nel mediocre quadro di S. Francesco di Paola un S. Francesco Saverio d’inestimabile lavoro. Viceversa, la Madonna di Loreto con la caratteristica degli Angeli sorreggenti candelabri accesi, mi convincono che l’opera debba attribuirsi a Gherardo dalle Notti; come pure all’Agricola il S. Filippo Neri.
Di molto pregio poi parmi la testa presa sul letto di morte d’Ignazio di Lojola che in questo luogo predicò la pace coi Tiburtini.
Il paliotto in pietre dure e madreperla dagli ornati e figure mitologiche dovette provenire dalla Corte Medicea, grazie alla parentela con Margherita di Parma signora di Castel Madama, dopo aver servito ad uso di mobile elegante stile cinquecento.
CICILIANO – Gli affreschi della vicina chiesa di Santa Restituta dei quali si occupò il Di Pietro se non erro, meritano anch’essi di essere restaurati e preservati dall’umidità, sia per l’epoca a cui rimontano cioè allo scorcio del secolo XV, sia per il valore intrinseco, da quel che ho potuto rilevare dalle sole pareti laterali della piccola abside; poiché la frontale rimane nascosta dalla macchina della Santa che io consigliai a rimuovere. Ma ci vuole altro!
Le figure sono sgorbiate da parecchi graffiti, uno di quale dell’anno 1556 di certo Vincentius Sebastiani.
Delle antiche case dei Colonna signori locali, si offrono subito allo sguardo di chi giunge due magnifiche bifore con la colonna; essendo le altre state rimosse e tenute dai privati.
Qui come nei circonvicini luoghi, ad esempio a Vicovaro, esistono pietre di mura ciclopiche in contrada S. Valerio e Casa Rotonda e fino al paese.
S. POLO DEI CAVALIERI – Unicamente resti di antichità romane, specie presso la stazione, nulla da conservare e preservare pel momento, se altro non vien fuori.
Richiamo infine l’attenzione della S.V.I. sulla conservazione e preservazione dei monumenti nei piccoli centri che lascia tutto a desiderare da parte dei municipi e dai custodi da burla, i quali ultimi, privi d’una pur minima mercede, appariscono all’arrivo di qualche visitatore, non certo generoso. Donde l’apatia e l’indifferenza loro. Dovetti per ciò convincermi alla presenza del Segretario Comunale delle ragioni addotte dal guardiano del Tempietto di Vicovaro, tal Lucantonio Moltoni, che si raccomandò per un tenue assegnamento mensile presso codesta Direzione Ministeriale; ed il medesimo potrei dire del custode dell’Annunziata di Riofreddo, per la sola carità del natio loco.
Esortai, del resto, le autorità locali a fare il proprio dovere, di mettersi meco in corrispondenza per ciò che riguarda i conosciuti monumenti e quelli di nuova scoperta, nel comune interesse dello Stato e dei Comuni.
A un mese di distanza, il Soprintendente scrisse al Presutti una lettera di elogio “per la diffusa, dotta, precisa relazione” intorno alle cose d’arte contenute in quei cinque comuni, che si impegnava a visitare per l’avvio dei lavori di manutenzione più urgenti.
La nomina del Presutti fu reiterata, ogni volta per un triennio, nel 1923, nel 1927, nel 1930 e nel 1934. In quest’ultima occasione il territorio assegnatogli fu “per ragioni di opportunità pratica” ridotto ai comuni di Castel Madama, Ciciliano e Sambuci, mentre Vicovaro e S. Polo dei Cavalieri venivano affidati al cav. Isidoro Ziantoni.
Il soprintendente (Federico Hermanin), nel dare comunicazione all’interessato dell’avvenuta riduzione del territorio sottoposto alla sua giurisdizione, si premurò di aggiungere: “La prego di non vedere in ciò nulla che possa menomare il Suo prestigio, né che possa attenuare lo zelo ch’Ella ha sempre dimostrato nell’esplicazione del Suo incarico”.
Non si ha purtroppo notizia della reazione del Presutti a tale provvedimento, che, se non proprio come una menomazione, poteva apparirgli come un mancato riconoscimento alla diligenza e competenza con cui egli aveva espletato l’iniziale incarico.
Non meno grave risulta la mancanza di ulteriori documenti relativi alla sua carica di Ispettore onorario, mantenuta presumibilmente fino al 1943, anno della sua morte. Una precisa documentazione sarebbe essenziale per rivelare compiutamente l’opera di questo illustre personaggio riofreddano al difuori della più che trentennale attività da lui svolta come archivista presso l’Archivio Segreto Vaticano.
1 – Vincenzo Federici, nel Necrologio pubblicato sull’Archivio della Società Romana di Storia Patria, illustra brevemente la figura di questo illustre studioso: “Nato a Riofreddo il 6 giugno 1857, si spense a Roma l’11 dicembre 1943. Fu socio ordinario della reale Società Romana di Storia Patria e collaborò ai lavori della Società illustrando per l’Archivio (vol. XXXII, 395; XXXIII, 313; XXXV, 101) le origini del Castello di Riofreddo e i Colonna di Riofreddo (secoli XIII e XIV). Negli ultimi anni di vita (dal 15 marzo 1937) fu anche ascoltato Membro del Consiglio della sezione Tiburtina della nostra Deputazione. Educato all’erudizione storica dall’esempio del Cardinal Di Pietro suo zio materno, dette per 33 anni (1895-1927) la sua attività scientifica all’ordinamento delle collezioni storiche dell’Archivio Segreto Vaticano, di cui fu scrittore e dove rimangono di lui anche gli schedari degli Istrumenta Miscellanea dal n° 1 al n° 6564. Sono noti di lui anche i due volumi sulla storia di Vivaro e su quella di Cave. Interessante anche lo studio storico-critico sulla Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio. Membro della Pontificia Accademia di Religione Cattolica dal 1913, Ispettore onorario dei monumenti di Riofreddo, tutta la sua vita operosa spese all’incremento dei suoi studi prediletti”. Su Presutti vedi anche Ricerche Studi Informazioni, bollettino della Società riofreddana di storia arte cultura, n. 17, Riofreddo, 1992, p. 3.