A ROCCA CANTERANO TUTTO IL PAESE IN FESTA PER LE CORNA.
AD ARSOLI, INVECE, SI VA IN TRASFERTA
di Artemio Tacchia *
Strano destino quello del soldato romano di Tours, Martino, molto venerato in Francia, e non solo, a partire dal 397 e finito, nell’ultimo secolo, per essere ricordato appena, l’11 di novembre, come “il santo dei cornuti” . In questo giorno, scriveva Giggi Zanazzo all’inizio del ‘900, “guasi tutti li cornuti contenti de Roma, se trovaveno le porte de la casa de loro infiorate de mortella, de fiori, de nastri, de corna, de sonetti, e dde ‘rena ggialla sparsa per tera… Come saperete tutti, San Martino è er protettore de li sordati e dde li cornuti. De li sordati, perché ppuro quer santo è stato sordato; de li cornuti poi nun ve lo so a ddi’: armeno che anche lui nun ciavessi avuto moje!” (1)
La risposta al dubbio di Zanazzo la si può scoprire ancora nei paesini montani della Provincia, a Roviano o a Rocca Canterano, ad esempio, dove la memoria di arzille vecchiette non falla. Pure se, come chiarisce A. M. Di Nola, il San Martino in questione è un eremita calabrese che, nella cultura popolare del centro-sud, s’è sovrapposto e spesso confuso con quello francese (2) e, della leggenda, se ne conosce una versione abruzzese più ricca che, conclusasi con San Martino che “battendosi la fronte si sentì pungere le mani” diede inizio ad una serie di “peripezie miracolose” del Santo (3).
Secondo la leggenda raccontata a Roviano, S. Martino, dopo la morte della mamma, era rimasto solo con la sorella, della quale era molto geloso. Di lei, però, s’era innamorato un giovanotto che si dannava l’anima per poterla incontrare. Ma Martino era molto vigile e pure quando andava a cavallo se la portava sempre dietro ”a cavalletto”.
Un giorno, la sorella e il giovane spasimante organizzarono l’inganno. Durante uno dei soliti viaggi, questa disse a Martino che doveva assolutamente fermarsi perché aveva necessità di fare un bisogno. Appartatasi poco lontano dietro un cespuglio, si congiunse finalmente con l’amato giovanotto che stava lì ad aspettarla. Quindi tornò da Martino, che non aveva avuto sospetti e né mai scoprì nulla, restando, così, cornificato. (4)
Con qualche variante, anche la leggenda, molto più simile a quella abruzzese, che si narra a Rocca Canterano mostra le stesse seguenze. Qui, invece che a cavallo, Martino portava la sorella “sempre ‘ngojju” (sulle spalle) e la faceva scendere solo per i bisogni corporali, ma a condizione che dal cespuglio prescelto volasse un uccello (segno che non c’era nessun umano). Preparato l’accordo col giovanotto, nel sito stabilito, questa chiese di scendere. Martino lanciò un sasso nel “frattone” e, svolazzando, fuggì un “cillittu”, quello che “tenea pronto pe’ l’occasione ju birbone ‘e ju ragazzu”. (5) Dunque, nell’immaginario popolare, San Martino, che non aveva moglie, diventa ugualmente cornuto per colpa della sorella, tanto che a Rocca Canterano dicono, proprio:- “Più sorelle té, più corna porti!”.
In realtà San Martino, nato intorno al 316 in Pannonia, seguì il padre nell’esercito romano fin da giovinetto. A 38 anni lo abbandonò e fondò il monastero a Ligugé. Divenne vescovo e famoso taumaturgo, tanto che in Ciociaria si credeva capace di guarire le persone dal mal di pancia (6). Morì nel 397 e la sua figura venne ingigantita da numerosissime leggende, la più famosa delle quali è quella della divisione del mantello.
Il suo culto venne favorito dalla Chiesa per soppiantare quello più arcaico delle popolazioni celtiche verso il “dio cavaliere”, il trionfatore del mondo infero, colui che batteva la morte e ridava la vita . Un condottiero invincibile che indossava una corta mantellina nera e cavalcava un cavallo anch’esso nero. Con Martino il cavallo diventa bianco e la negatività della discesa negli Inferi viene sostituita con le battaglie terrene col diavolo (7).
Pure Cattabiani si domanda, non senza stupore, come S. Martino possa essere diventato il patrono dei cornuti (8), cosa testimoniata da molti proverbi e manifestazioni burlesche che, in maniera generalizzata, si tenevano fino ad una quarantina d’anni fa in molte regioni d’Italia e che, oggi, si svolgono solo in pochi centri, tra i quali, come vedremo, Rocca Canterano e Arsoli.
Al di là delle leggende popolari che abbiamo letto sopra, pare che il fatto si debba associare alle fiere di animali con le corna che si tenevano, soprattutto nel Nord, proprio il giorno della festa del santo. Ora si sa che fiera deriva dall’antica feria-ae dei romani e che queste erano giorni di sospensione delle attività lavorative in onore degli dei. E nei secoli scorsi, questi momenti d’incontro collettivo procuravano agli audaci, tra feste, baldorie, compravendite, trasgressioni, in particolare sotto gli effetti del vino novello ( De San Martinu, ropi la otte e caccia lo vinu, dice un noto proverbio della Valle dell’Aniene), occasioni ghiotte per cornificare quanti più mariti possibili, in particolare vecchi e gelosi. (9)
Perciò il ritorno dalle fiere era tutta una caccia al cornuto, un crescendo di pettegolezzi, di battute ironiche e sarcasti-che, di scherzi volgari e…naturalmente, di botte e coltellate.
Secondo G. Pansa, invece, l’essere cornuto deriva dall’aspetto animalesco che avevano i guerrieri longobardi, i quali vestivano pelli di caprone , sulla testa portavano un elmo adorno di corni ed avevano come “santo nazionale” proprio San Martino. (10)
In una società contadina e maschilista, essere “becco” significava, comunque, “debolezza dell’uomo, incapacità a controllare la consorte, colpa grave” (11). Da qui, il prendere di mira, ancora oggi, i cornuti che, tuttavia, proprio perché portano le corna , vengono tuttavia reputati fortunati, come se esse fungessero da amuleto. Non per niente, ad Arsoli, gli appartenenti al Club dei Cornuti si considerano “meno cornuti degli altri” (12).
Nella Valle dell’Aniene, fino agli anni ‘50, il giorno di San Martino era giorno di festa, non solo religiosa. Il vino aveva ormai cessato di bollire e le case erano piene di castagne. Nelle cantine i contadini usavano “schiurà” tutte le botti: di ognuna riempivano un fiasco e lo assaggiavano, spesso girovagando da cantina a cantina fino a che la libagione non diventava sbornia collettiva. I più avari permettevano solo l’assaggio sotto la “caula” e da bere servivano un vinello più leggero chiamato, a Roviano, “fischiotto”. Qui, come in molti altri centri, i giovanotti la sera giravano, con la giacca infilata alla rovescia, per le strade del paese ed attaccavano fiocchi di stoffa colorati o corna d’animale sulle porte “segnate”, cioè dove risiedevano mariti notoriamente cornuti.
Nella vicina Ciociaria, a Torrice, oltre a indossare le giacche a rovescio, i cornuti venivano invitati a partecipare alla processione “segreta” con lettere anonime o per mezzo de “glie muttiglie”, un grosso imbuto colorato di rosso. Questo attrezzo, stranamente, lo abbiamo ritrovato il 12 novembre 1994 in mano al poeta Tosello Picconi, declamatore dei cornuti di Rocca Canterano, durante la straordinaria processione per i vicoli e le caratteristiche piazzette ben tenute di questo minuscolo paesino abbarbicato sui monti Ruffi. E’ qui che forse, come in nessun’altra parte d’Italia, la festa di San Martino viene organizzata con la partecipazione attiva di gran parte della popolazione.
Strano paese, la Rocca, che si deve affrontare tutto in salita: il piatto più caratteristico si chiama “cecamariti” e, nel passato, era famoso perché vi abitavano le streghe. Sugli usci delle case, dove ancora si possono lasciare le chiavi nelle toppe, si leggono numerose memorie di morti “per la Patria” stridenti con i bei portali e gli archi e le antiche edicolette sacre “rencriccate” sulle pareti delle case.
Il corteo burlesco parte da Piazza della Corte, il punto più elevato del paese, dove i cornuti, nascosti in un vicoletto cieco, si vestono con un saio bianco, con tanto di stemma comunale sul petto e il logo della festa sulla schiena, sopra una tuta rossa, un cordoncino alla vita e un bel paio di corna bianche in testa. Nello stesso punto montano due pesanti corna in cemento armato sopra una macchina processionale, verniciate di bianco con punte nere ed alte circa 2 metri. Su un trono sormontato da due corna di montone viene fatto sedere il poeta vestito tutto di rosso, con una ghirlanda d’alloro in testa e un enorme imbuto rosso in mano. Entrambe le macchine vengono portate ciascuna faticosamente a spalla da quattro “confratelli”. Partecipano uomini e bambini di ogni età, ma nel corteo la precedenza ce l’ha l’anziano Francesco Cerini che porta un grande fiasco di vino in mano e a gran voce annuncia alla folla stretta lungo le stradine l’arrivo della “pridissiò”. A fianco gli procede un arzillo signore che suona l’organetto e, subito dopo, “Ziu” con la statuina del Santo con due vistose corna rosse che, a chi vuole, fa baciare. “In queste processioni profane – scrive A. Cattabiani – molti portano come trofeo e si passano l’un l’altro in un rito apotropaico le corna che devono scongiurarne altre “ (13).
Si procede tra schiamazzi, grida, risate, battute feroci, ironie…Il poeta declama per ore, instancabile, attraverso l’imbuto:- Viva viva San Martino / protettore egli cornuti / tutti quanti convenuti / questa sera a festeggiar… che ricorda vagamente il motivo che cantano i pellegrini alla Trinità di Vallepietra. Sfotte tutti, amici, politici, giornalisti, gli stessi cornuti che lo portano a spalla:- Prima o poi tanto ce caschi / siate voi femmine che maschi / alti o bassi / magri o grassi / ricchi o poveri / belli o brutti / gran cornuti ci siam tutti… Fatale.
La gente applaude, commenta, si diverte e partecipa quasi volesse così esorcizzare la paura, il sospetto d’essere becco; dai balconi giovani e donne anziane sbattono violentemente i coperchi delle pentole; altri “confratelli” suonano raganelle, campanelli, tamburi, trombe, piatti: un po’ come succedeva quando, nel passato, risposava un vedovo.
Ma nel corteo compare anche una stanga con due enormi grappoli di “zazicchie”, probabilmente con alcun significato specifico se non quello di esibire la carne, come in altri luoghi e tempi l’oca, che al termine della processione verrà cotta e mangiata tutti insieme.
Dal 1994 la Festa dei cornuti , a seguito del grande afflusso di curiosi, è stata “sdoppiata”, nel senso che la processione profana la sera del sabato scende dalla Rocca alla piazza del paese e la sera della Domenica compie il percorso inverso. Inoltre, è stata abbinata alla Sagra della rola: castagne arrostite su una rete metallica.
E’ dunque una festa con un inconscio carattere liberatorio quella che, da oltre otto anni, in questa forma, organizzano
gli aderenti alla Pro-Loco roccatana e che ha ormai soppiantato, con la sua spettacolarità e teatralità, quella antica che anche qui, segretamente, si faceva rivoltandosi la giacca.
Ma alla gente sembra piacere questa invenzione che fa giungere a Rocca Canterano centinaia di turisti accolti all’ingresso del paese da uno striscione con su scritto: – Alla Rocca benvenuti, voi grandissimi cornuti! e poi subito invitati a bere direttamente sotto la botte, sormontata da due enormi corna di vacca, nella piazzetta battuta dal freddo vento ed aperta ad un panorama suggestivo di montagne e strette vallate, di estesi boschi e pugni di casette grigie appollaiate sui cucuzzoli delle colline.
Ad Arsoli, invece, esiste da circa sette anni il Club dei cornuti, presieduto da Giuseppe Amici, che il giorno di San Martino, o il sabato più vicino, si riunisce in trattoria con a centro tavola delle corna di bue e nomina, oltre al presidente, altri due amministratori col compito di raccogliere mensilmente le quote ed organizzare due gite l’anno: una al mare, per abboffarsi di pesce, ed una in montagna, per degustare specialità alla carne. Sono circa 38 iscritti e il giorno della trasferta si scatenano in motteggi, stornelli, affissione di ironici manifesti. Sul pulman attaccano molte paia di corna e “facciamo tutto col solo intento di divertirci”, dichiarano.
E’ un Club al quale si può iscrivere chiunque, anche se molti affermano che ai nuovi adepti viene richiesto un permesso firmato dalla moglie. Vi fanno parte, prevalentemente, pensionati e quarantenni.
L’idea di mettere su un’associazione venne a 7-8 amici durante l’ultima procesione per il paese, quando ancora si facevano gli scherzi più o meno accettati.
Note:
1- G. Zanazzo, Tradizioni popolari romane, ristampa anastatica del 1907, Forni editore.
2- A. M. Di Nola, Lo specchio e l’olio, ed. Laterza, 1994. Cfr. , G. Pansa, Leggende medievali abruzzesi, A. Polla ed., 1988, dove si afferma con certezza che il protettore di Atessa è un “solitario della Calabria arrivato in Abruzzo sotto il Pontificato di Eugenio IV e condusse vita ascetica e contemplativa in una località chiamata Plata”.
3- A. De Nino, Sacre leggende d’Abruzzo, ristampa anastatica del 1883, A. Polla, Avezzano.
4- La leggenda mi è stata raccontata da Onorina Maturi il 9 novembre 1983.
5- M. Orlandi, C’è chi festeggia i cornuti. A Rocca Canterano nel week end di San Martino, Hinterland, n.42 del 10 novembre 1994.
6- Gruppo di lavoro “il Ponte”, Etnografia rurale del frusinate, Sora, 1980.
7- A. Cattabiani, Calendario, Ed. Rusconi, 1989.
8- A. Cattabiani, Lunario, A. Mondatori, 1994.
9- Pansa, nell’opera citata, riferisce che contro i vedovi “la scampanacciata o lo charivari è uso quasi generale nella festa di San Martino” (pg. 100). Sull’argomento, vedi in altra parte del libro il mio articolo sul matrimonio. Cfr., infine, J. C. Schmitt, Medioevo superstizioso, pp. 176-79, ed. Laterza, 1992.
10- G. Pansa, op. cit.
11- A. Cattabiani, op. cit.
12- Dal colloquio con il sig. Amici, presidente del Club per molti anni, dal quale ho avuto le informazioni sulla festa il 4 gennaio 1994.
13- A. Cattabiani, op. cit.
* Il testo è tratto dal libro di A. Tacchia, Il passato e il presente. Riti, feste e tradizioni popolari nella Valle dell’Aniene, pp. 94-97, 1996 Tivoli, Ed. Tendenze. Foto di A. Tacchia, 1994.