Anticoli Corrado è famoso per aver ospitato centinaia di pittori importanti, per aver prestato modelle e modelli per secoli, per i suoni delle zampogne zoppe…
Vent’anni fa vi fece ritorno per l’ultima volta anche il grande poeta spagnolo Rafael Alberti.
Ri-pubblichiano sul nostro sito la cronaca di quella giornata e altri articoli sui suoi 90 anni e sull’indimenticabile M. T. Leon. (ar. ta.)
RAFAEL ALBERTI, RITORNO AD ANTICOLI
di Artemio Tacchia
Dopo dieci anni è tornato «il poeta en la calle» nella sua Anticoli, ed ha già promesso che tornerà «per vedere ancora questi amici». L’ha promesso a tutti durante il breve saluto nella cerimonia di presentazione del libro «Un paese immaginario: Anticoli Corrado», sabato 30 marzo, nella grigia piazzetta di S. Vittoria, sotto un abete maestoso ed un sole dilagante sui monti circostanti. A Rafael Alberti non si può non voler bene. E non solo perché è una tra le più alte voci della poesia del nostro secolo! Quando, al mattino, è spuntato solitario e avvolto in un enorme scialle nero chiazzato di fiori viola nella piazza, un applauso spontaneo, fragoroso l’ha sommerso e, forse, sorpreso.
«Como va?», ha detto, stringendo la mano a tutti con un enorme sorriso. «Veramente io sono molto commosso di ritornare a questo bellissimo paese dove sono stato dipingendo e scrivendo quasi dieci anni – ha esordito, avvertendo tutti dell’italiano diventato un po’ incerto -. Per me sono dei ricordi anche tristi perché hanno «disparito» in questo tempo, l’ultimo è stato il sindaco e Parricchi, un pittore come Inlander, un pittore come Mariano Laguereula e «ha disparito» Sergio Selva». Qualcuno, però, ha ritrovato vivo in Anticoli, il pittore Enrico Gaudenzi, «grande amico mio». Rafael Alberti era arrivato ad Anticoli e nella valle dell’Aniene negli anni ‘60, proveniente dal lungo esilio in Argentina iniziato nel 1939 con la fine della Repubblica spagnola e l’avvento del franchismo. Ed anche lui rimase irretito dai luoghi. Lo ha ricordato nel suo intervento, dove ha abbozzato anche un giudizio quasi «sconsolato» sull’arte moderna. «Questo paese ha una tradizione veramente culturale meravigliosa… di conoscenza dell’arte figurativa. Oggi l’arte è così tutta mezza astratta, mezza non figurativa… E questo è accaduto anche un po’ nella mia breve storia, ma è stato un momento differente». Ad Anticoli nascerà anche la poesia «più matura» di Alberti: una poesia alimentata dal suo «sguardo da pittore» che, come scrive Otello Lottini, «vive tra il passato – immaginato e il presente sognato – irrealizzato». Un giudizio sul quale, come si vedrà dall’intervista, non trova d’accordo lo stesso poeta.
Comunque, la Valle dell’Aniene, con il suo fiume, con il suo ambiente, la sua gente segnerà un momento «alto» del suo impegno politico e creativo. Anni indimenticabili. Basta scorrere la «Canciones del alto Valle del Aniene». Tanto affascinante era la piazza ricolma di gente, tanto si prestava lo scenario fatto di «veri» monumenti che Rafael ha preferito variare il programma ufficiale (come possono i poeti!) e, invece di recitare nell’umido e tetro teatrino parrocchiale, scegliere di restare «all’aria».
Il vento leggero che s’era alzato nel pomeriggio muoveva i bianchi e lunghi capelli del poeta, malgrado il basco nero. Ma la voce, quella sì calda e ferma, dura e alta, irriverente e sferzante, non tremava, malgrado gli 83 anni. Il recital è stato un vero successo. Alberti ha iniziato con poche notizie autobiografiche: «La prima vocazione è stata la pittura… quasi mai andavo a scuola… mi mancava la parola… allora cominciai a scrivere poesie». Poi, insieme alla sua segretaria Beatrice, nera e spagnola, ha iniziato a recitare, una dietro l’altra, «canzoni azzurre e chiare» dal libro «Marinaio a terra». Quindi (non poteva mancare) l’omaggio al suo caro amico Federico Garcia Lorca, ucciso nell’agosto del 1936 dai fascisti, poesie dell’impegno civile con la toccante ballata del partigiano, della moglie e del figlioletto massacrati dai franchisti. A Roma Rafael Alberti è rimasto undici anni. Ha una casa in Trastevere e qui «ho imparato a torear il traffico», ha detto. Per questa città ha scritto un libro, «Roma, pericolo per i viandanti», da dove ha letto alcune spassosissime poesie: «E’ proibito pisciare» e «Basilica di S. Pietro», oltre che la delicata «Notturno». In un crescendo, il recital è andato avanti con Alberti e Beatrice che si alternavano nello spagnolo e nell’italiano, toccando gli altri temi cari al poeta: l’amicizia con Picasso e Gaudenzi, «il pericolo d’una possibile guerra nucleare, dopo la quale l’unico generale superstite non potrà morire neppure più come un cane», l’esilio e, naturalmente, la Valle dell’Aniene. Con orgoglioso silenzio, i presenti hanno ascoltato e lungamente applaudito due canzoni: «Questa valle…» e «Roviano mi guarda sempre…». Così si concludeva un grande recital, con il sole che spirava dietro la chiesa di Santa Vittoria (1).
Intervista
CONCLUSO il recital, ho avvicinato Rafael Alberti che, con la consueta cortesia, ha risposto ad alcune domande.
Che significa, per lei, questo ritorno ad Anticoli?
«Io ho sempre pensato di tornare ad Anticoli tante volte perché io abito in Ispagna da dopo la morte di Franco. In questo giorno m’ha invitato Anticoli Corrado e dicevano che mi volevano dare la cittadinanza d’onore. Però è morto Bertoletti e… Questo è uguale per me. E’ un onore fantastico essere qui. Per questa ragione io sono qui molto contento. Abbiamo fatto un recital qui all’aria con grande successo».
Come ha trovato la Valle? Come dieci anni fa?
«La Valle è una meraviglia, por que m’avevano detto che avevano fatto un’autostrada, non so che cosa, in mezzo alla Valle e non l’ho visto!».
Devono fare un nuovo ponte sull’Aniene…
«Questo io non lo so… Bisogna difenderlo perché questo paese è molto sacro».
Otello Lottini ha scritto nel libro su Anticoli che la sua è «una poesia dell’inquietudine esistenziale sospesa tra la realtà e il sogno, tra il desiderio e il fantasma». Perché?
«C’è troppa gente… Perché non so che cosa dice. Io sono un poeta molto svegliato, che fa delle cose per la strada. Io sono un poeta rivoluzionario, guarda. Questa è la parola!».
Perché «tra il fantasma e il desiderio?»
«Fantasma? Io non ho fatto «tra il fantasma». Guarda che il mio libro da Anticoli è molto diretto, tutto di canzoni che si possono palpare, che non sono misteriose. E’ la realtà di Anticoli».
Non concorda, allora?
«Non si concorda in certa cosa che parla di altra poesia mia, non di quella di Anticoli».
La folla ci sommerge. Tutti stendono un libro al poeta per una dedica. Alberti, che non sembra stanco, è costretto ad interrompere la conversazione. Resterà ancora molto a tracciare delicati segni e colombe sul libro di Anticoli.
Note
1- La manifestazione culturale si è tenuta in Anticoli Corrado il 30 marzo 1985. Gli articoli con la cronaca della giornata e l’intervista a Rafael Alberti sono stati pubblicati su Tendenze n. 7 del 13 aprile 1985.
Roviano me mira…
Roviano me mira siempre / serio, en la mitad del monte. / Dime algo. / Tu también me mira siempre. /Nos miramos. /Dime algo / ¿Que puedo decirle yo / desde Anticoli Corrado?
Rafael Alberti
(Roviano mi guarda sempre / serio, sulla costa del monte. / Dimmi qualcosa. /Anche tu mi guardi sempre. / Ci guardiamo. / Dimmi qualcosa. / Che posso dirgli io / da Anticoli Corrado?)
(Dal volume « Disprezzo e Meraviglia », pg. 107, Ed. Riuniti, 1972)
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LE SCULTURE NEL CIELO DI RAFAEL ALBERTI
di Artemio Tacchia
L’orgoglio di aver conosciuto Rafael Alberti, di avegli stretto la mano, di avergli prestato, nel 1973, il braccio per passeggiare divertito nel dedalo grigio e scorticato di viuzze di Roviano. Di aver tremato parlandogli tra le malve e gli ulivi del giardino della sua casa, «lirica e universale», di Anticoli Corrado; di averlo avuto in casa mia nell’agosto del 1974, insieme alla sua indimenticabile Maria Teresa Leòn, per un recital delle sue poesie organizzato dall’Arci. Oggi Alberti compie 90 anni (1). E tanti anni dopo è ancora in attesa che Anticoli, Cervara di Roma, quel pugno di calce e pietra come «scultura nel cielo», e perché non metterci anche l’ingrato Roviano?, gli consegnino le promesse cittadinanze onorarie. Certo che questa Valle lui, esule, ma mai solitario – deve averla amata molto: «Questa Valle – in cui scorre nascosto – l’Aniene – dove salici e pioppi – col mormorio dell’acqua – dàn suoni d’ arie tristi – e di lontane pastorali… » (2). Lo aiutava a superare la malinconia che spesso lo vinceva pure se, un giorno, tenne a precisare che la sua era «malinconia costruttiva, come superamento e non sensazione distruttiva di una visione di vita. Io sono malinconico e triste – aggiunse – perché lontano dalla Spagna, ma ottimista. Se no che ne sarebbe dell’uomo?» (3). Quando chiacchierava con gli amici – ma lo stesso con noi giovani ammiratori – seduto al bar di «Ciccu» ad Anticoli o di «Giggetto Mì» a Roviano, sorseggiando sempre vino rosso, si abbandonava in lunghi discorsi, volando su mille argomenti, svelando piccoli segreti e leggere amarezze o paure. Dopo vent’anni si può raccontare la sua rabbia per quanto l’Unità scrisse in occasione dei suoi 70 anni e, in particolare, sulla sua presunta appartenenza al Comitato centrale del partito comunista spagnolo. «Così non si deve fare -disse il 1° luglio del 1973 -, mi è dispiaciuto. Non è vero che io faccio parte del Comitato centrale. Dire questo non è buono. Oggi, al di là di ogni intenzione di partito, c’è l’unità antifranchista che bisogna portare avanti». Era preoccupato, Alberti, che queste notizie venissero strumentalizzate dal regime fascista per minare una unità che in Spagna andava rafforzandosi. E lui, in Italia, faceva salti mortali per trovare «amicizie» che contavano, come Fanfani, ad esempio, che scrisse, in qualità di presidente del Senato, sollecitato da Alberti, una missiva al governo spagnolo a favore di un critico d’arte condannato a 5 anni di carcere per un articolo sulla pittura di Picasso. A 90 anni Alberti è ancora un vigoroso «poeta en la calle», proprio uguale al titolo di un suo libro che raccomandava di leggere perché «molto importante» e sul quale mi disegnò sopra una bandiera con falce e martello e una colomba di pace (4). Perché è anche pittore, Alberti, e persona generosa, trasparente come il suo mare, sempre disponibile a disegnare qualcosa (un animale, un abbozzo di paesaggio, una barca stilizzata) a chi gliene faceva richiesta. Al Museo civico d’arte modema di Anticoli Corrado, prima di tornare in Spagna, ha lasciato un suo quadro: «Composizione» dipinto nel 1967. E’ un intreccio di fili di ferro con terminali sferici luminosi sui quali campeggia una falce di luna bianca e tutt’intorno un’esplosione inquietante. Il suo sguardo di pittore non si posava, però, solo su Anticoli, dove l’estate «si riempiva d’aria i polmoni e la vita»: spaziava su tutta la Valle, ora fissando un elemento inconsueto ora divertente, come il treno sfrecciante di luci a mezza costa delle montagne nere di Roviano, di fronte alla sua casa, sempre, comunque, alla ricerca di uno scorcio, di un angolo che trasportasse alla sua Andalusia. Così ogni paesino, oggi, fa a gara nel vantarsi dell’attenzione ricevuta da parte del grande poeta spagnolo e spuntano poesie scritte sulle pareti delle case, come a Cervara «la visionaria», o sui pieghevoli turistici di ogni genere, dove Saracinesco è «aria, altare perduto» e Roccagiovine una «divinità nascosta». Più di tutti però ha amato la Valle nella sua globalità, con quel «piccolo fiume che va felice, pieno di trote / e di granchi, animando nei suoi cristalli / un finissimo paesaggio di snelli pioppi / sul punto di cantare illuminati di foglie» (5). A novant’anni lo rivedo ancora, Alberti, con i suoi lunghi capelli bianchi e il fazzoletto chiazzato di policromi fiori sulle spalle, accarezzare il legno «duro e buono», diceva, dei portoni massicci delle vecchie case di Roviano e mi piace pensare che lui resiste ancora come gli ulivi del suo giardino e il legno di quei portoni: «duro e buono», appunto.
Note
1- L’articolo e stato pubblicato su l’Unità del 16 dicembre 1992.
2- R. Alberti, Canciones del Alto Valle del Aniene, inserite nel volume Disprezzo e Meraviglia, Poesie civili, 1972,Ed. Riuniti.
3- Dal colloquio con Alberti del 1° luglio 1973, nella sua casa in Anticoli Corrado.
4- R. Alberti, ll poeta nella strada, 1969, A. Mondadori.
5- R. Alberti, Canciones…
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BRILLA SU ANTICOLI UN’ALTRA STELLA,
MARIA TERESA LEON
di Artemio Tacchia
Se ne è andata in silenzio, come in silenzio, in questi ultimi anni, era uscita dalla vita pubblica di suo marito. Maria Teresa Leòn, moglie di Rafael Alberti, a metà dicembre è morta in una clinica madrilena dove, da diverso tempo, era ricoverata. In Italia, e soprattutto in quesa Valle dell’Aniene, quasi nessuno se n’è accorto (1). Eppure, proprio all’Italia lei aveva chiesto l’ultima carezza: «Es Italia que me toca la frente. Descansa, dice. Yyo obedezco» (E’ l’Italia che mi bacia la fronte. Riposa dice. E io obbedisco) (2). Anticoli Corrado ha visto così spegnersi, nel suo pezzo di cielo, un’altra stella, meno tempestata da esplosioni di fuoco e di violenti bagliori, come quelle di altri artisti, ma sempre viva di luce, di una propria luce malgrado Rafael, che ha illuminato Anticoli e molti altri piccoli e sconosciuti paesi della Valle dell’Aniene.
Conservo, di Maria Teresa Leòn, un chiaro ricordo. La conobbi nel 1973, in una calda giornata d’inizio luglio ad Anticoli. Insieme a Lello Toppi eravamo andati a trovare Rafael Alberti e fu lei ad accoglierci per prima, sorridente ed allegra, come l’ho sempre vista in seguito, pure quando parlava di cose serie, di ricordi terribili, della «guerra civile» spagnola, delle tristezze dell’esilio. Ci venne incontro nel giardino pieno di verde e di fiori, minuta e leggera, con un largo fazzoletto ricco di colori sulle spalle. Ci mise subito a nostro agio, iniziando a parlare con consueta naturalezza della loro vita.
«Ci alziamo tutte le mattine alle sei – ci confessò – e lavoriamo fino alle 17. Poi Rafael è stanco e vuole andare in giro». Più tardi, come fossimo in quel giardino da sempre, ci fece assistere, con estrema franchezza, alla consueta «battaglia» contro Rafael per il pranzo.
«Io voglio due pomodori più verdi che rossi, dell’ insalata, del pesce e, se vuoi, una bistecca e basta. L’uovo ce l’ho!», ordinò infine Rafael, allungando 1.500 lire per la spesa.
Nelle discussioni, Maria Teresa Leòn era presente da vera protagonista. Anzi, riusciva ad anticipare Rafael Alberti quasi ogni volta che si parlava della «guerra civile»: «Io ero la capitana! Io ho salvato il Museo del Prado! », ci disse piena d’orgoglio, con gli occhi che saettavano luce tutt’intorno.
Quegli avvenimenti e quelle gesta eroiche, ormai, sono consegnati alla storia della Spagna e del mondo intero, ma sia Alberti che Maria Teresa Leòn non potevano fare a meno di parlarne perché è a seguito di quei fatti che furono costretti all’esilio per 38 anni: prima in Francia, aiutati da Pablo Neruda, poi in Argentina ed infine, dal 1963 al 1977, in Italia, con abitazioni a Roma ed in Anticoli. A loro, del resto, facevano riferimento molti intellettuali e politici spagnoli, esuli anch’essi, e la loro iniziativa in tutto il mondo, per il ritorno della libertà e della democrazia nella Spagna fascista, era nota, continua e decisa.
Maria Teresa Leòn la ricordo viva, cordiale, piena d’allegria, ancora bella malgrado gli anni e la folta, canuta capigliatura.
«Io mi interesso di tutto – mi disse ancora, in quel luglio del 1973, mentre salivamo verso la piazza delle Ville -, voglio sapere. Per questo sono comunista. Più si sa, più posso dire alla gente: ecco, questo è così perché prima era successa questa cosa».
Aveva conosciuto Rafael Alberti nel 1930 («Quando tu mi apparisti / io penavo nelle viscere più fonde / d ‘una caverna senz’aria e senz’uscita… », scriverà in una poesia a lei dedicata lo stesso poeta), aiutandolo a superare una grave crisi.
Si sposarono presto, nel 1931, e dalla loro unione nacque, nel 1941, una figlia, Aitana, che vive ancora in Argentina. Erano anni di lotta e di speranza, in Spagna; gli anni della riscossa delle masse contadine ed operaie e la nascita della Repubblica. Maria Teresa Leòn era impegnata totalmente da questi eventi rivoluzionari e, in particolare, dagli sforzi per il rinnovamento culturale del Paese.
Scrittrice, attrice teatrale, animatrice culturale, in quegli anni, insieme ad Alberti, fondò le riveste «Octubre» e «El mono azul». Organizzò «le guerriglie del teatro» (Il teatro de Urgencia), diresse il «Teatro de Arte y Propaganda», fece parte della «Alianza de Intelectuales Antifascistas». Insieme al marito girò tutta l’Europa per studiare la situazione del teatro delle diverse Nazioni, grazie ad una borsa di studio concessa dalla Junta de Ampliacion de Estudios. A Mosca conobbe Pasternak, Solochov, Aragon. Nel 1935 andò a New York e a Cuba, poi ancora a Parigi e a Mosca.
«Con Maria Teresa passavo le ore lavorando su alcune poesie oppure aiutandola a correggere un libro di racconti che stava preparando – scrive nel suo «Albereto perduto» Rafael Alberti -. Lei era molto coraggiosa, come se il suo cognome, Leòn, la difendesse, dandole maggiore decisione».
Ha scritto diverse opere teatrali e romanzi: «Entre viento y marèa» (1939); « Juego limpio» (1959), racconti fantastici: «Rosa-frìa, patinadora de la luna» (1973), biografie, un libro di ricordi: «Memoria de la melancolia» (1970).
«Non capisco – mi disse nell’incontro ad Anticoli, dopo avermi fatto vedere l’ultima sua opera e la ristampa della prima con i disegnini di Alberti – perché fanno sempre ristampe a questo libro. L’ho scritto a 16 anni! »
Insieme al marito, oltre a partecipare ai recital di poesie (ne tenne uno a Roviano, presso la sede dell’Arci in via Montessori 30, il 25 agosto del 1974, con grande successo), a conferenze e viaggi, scrisse un libro: «Sonrie China» (1958), sul soggiorno avvenuto qualche anno prima in Cina. Maria Teresa Leòn produsse molto in Anticoli, in quella casa oggi disabitata. «Lavorava nella grande stanza la cui finestra, superata la valle, sembrava aprirsi direttamente sui monti sulle cui cime e pendici, sospesi fra cielo e terra, antichi paesi dai nomi musicali, rompevano la solitudine del paesaggio: Oricola, Roviano, Cervara, Canterano… (3).
Questi paesi e questa Valle la affascinavano: «Voglio visitare Roviano e gli altri paesi – mi disse- perché voglio scrivere un libro su di essi». Ma non ne ebbe il tempo. Roviano, comunque, venne a visitarlo, esattamente il 10 luglio 1973, insieme a Rafael Alberti e a Lello, improvvisatosi autista. Erano entusiasti di questa Valle e di questi paesi che gli ricordavano l’Andalusia.
«Mira Rafael, mira che bello!», ripeteva in continuazione MariaTeresa Leòn dalle finestre del castello Brancaccio che si aprivano, all’orizzonte, sui Monti Lucretili. «Mira che verde. Pare velluto», riferendosi alla vallata sottostante e aggiungendo che mai aveva visto un’estate bella come quell’anno.
Visitammo tutto il centro storico e, leggera sotto il mio braccio, Maria Teresa mi parlò dell’opportunità di fare un piccolo museo per non disperdere le testimonianze storiche di Roviano e per il piano superiore del Montano, sognò un grande studio di pittura. In via Porta Scaramuccia, da un’aiuola raccolse una grande margherita: «Faccio la ladra – disse sorridendo -, questo fiore lo metterò in mezzo alla tavola dove io e Rafael mangiamo. Amo i fiori e la natura – aggiunse -, l’uomo deve essere a contatto con la natura per vivere meglio».
E certo di ricordi, in quel momento, ne corsero nella mente di Maria Teresa: immagini di luce e colori, di pace e passione giovanile degli «albereti perduti», soprattutto quello dei boschi di Castelar, vicino Buenos Aires, dove avevano piantato la loro dimora argentina.
Andai a trovarla di nuovo l’estate successiva, per concordare il recital di Alberti a Roviano. Poi gli avvenimenti in Spagna, la morte di Franco, il ritorno trionfale nell’aprile del 1977: «Adesso parto dall’Italia – disse alla stampa Alberti -, partiremo tanto Maria Teresa quanto io, con la convinzione di aver trovato qui una patria che (…) ci ha sempre trattato con vero amore, considerandoci quasi come suoi figli» (4).
Quando Alberti tornò ad Anticoli nel 1985, lei era già malata e in clinica. Ma era come se i vicoli antichi, la piazzetta di Santa Vittoria, la vecchia casa («luogo così lirico e sereno, riservato e universale», la definì Delogu), la piazza delle Ville e il bar di «Ciccu» l’avessero ancora tra di loro. Allora come oggi, che non c’è più. Ma, come una luminosa cometa, ha lasciato su questa Valle polvere dorata: «Sono le pagine di un diario scritto in punta di penna, delicato e realistico, proprio di una donna intelligente e informata, attenta alle vicende umane, che legge in trasparenza sui vecchi muri o raccoglie dalla viva voce degli anticolani» (5).
Note
1- L’articolo è uscito su hinterland, n. 1 del 14 gennaio 1989.
2 – Da «Memoria della melanconia», nel libro Un paese immaginario: Anticoli Corrado, a cura di U. Parricchi, Istituto Poligrafico dello Stato, pg. 303, Roma 1984.
3 -I. Delogu,in Un paese immaginario…, pg. 304.
4 – Paese Sera del 7 aprile 1977.
5 -U. Parricchi, op. cit.
QUI TUTTO E’ PACE
«Odo il fischio del treno che viene dall’Adriatico. La nostra terrazza dà sulla Valle dell’Aniene. Nella sua fuga egli taglia la montagna che ci sta di fronte. Mi piace pensare che nel secolo venturo nessuno sentirà il soffio di questo vento (…) Tutto è pace. Ha le proporzioni esatte di un paesaggio. (…) Ci hanno messo di fronte tre paeselli. Devono averli costruiti le capre. Oricola segna la fine del Lazio e di notte è una coroncina di stelle. Roviano ha disposto le sue case a mezza montagna, giusto di fronte al nostro giardino. A destra c’è Cervara, pura roccia scolpita silenziosamente non sappiamo da chi. Le strade avvolgono di nastri il paesaggio. (…) Questo è il paese che guardiamo, il paese nel quale viviamo. Si raccontano aneddoti e storie. Un piacevole vecchio pittore che porta a spasso la sua nostalgia per la piazza, scioglie la sua fantasia. (…) La piazzetta è sempre la stessa (…) Passa il parroco. Don Vittorio è un don Camillo che trova divertente che i comunisti gli reggano i bastoni del baldacchino quando c’è la processione. (…) Ancora ci salutavano donne vestite con le loro gonne a pieghe, vecchie che portavano collane di coralli. Ricordano i vecchi tempi quando i pittori venivano a cercare la loro bellezza. (…) Gli occhi guardavano attentamente le ragazze che conducevano i muli, quelle che filavano, tessevano, lavavano alla fonte comunale, cantando. Loro lo sapevano e civettavano perché qualche pittore in agguato probabilmente le stava osservando. Come sono vecchiette, oggi! (…) Oggi Anticoli riceve sempre forestieri. Si sentono – ci sentiamo – attirati da quelle case gagliarde contro il cielo (…) Ci sentiamo felici in questo paradiso di discordie, che non portano sangue al fiume ma tutti alla processione o al comizio».
Maria Teresa León
da «Memoria della melanconia»