PER UNA DEFINIZIONE STORICO-GEOGRAFICA DEL TERRITORIO DEGLI EQUI CON PARTICOLARI RIFERIMENTI ALLA MEDIA VALLE DELL’ANIENE

di Piero Sebastiani Del Grande

Analisi storica

Le culture “appenniniche” dell’età del Bronzo sono comunemente caratterizzate da siti temporanei, sia all’aperto sia in grotte, e da alcuni villaggi stabili. Ritrovamenti di ceramica attribuibile al Bronzo medio-recente sono stati rinvenuti in località “Vigna della Foresta”, (1) nel comune di Pereto, in una sezione per l’apertura di una strada locale – i frammenti hanno decorazioni tipiche della cultura Appenninica – ed in località “S. Silvestro” (2) durante la costruzione del campo sportivo; in località “Casaletto”, nel comune di Rocca di Botte ed in località “Colle Morico”, (3) nel Comune di Oricola, in cui è stata riscontrata la presenza di schegge con tracce di lavorazione. Il Ceruleo (4) riferisce di aver rinvenuto, in località “Grotta di Santo Benitto”, a circa cento metri dalla menzionata località “Vigna della Foresta”, davanti all’ingresso della grotta, alcuni frammenti di ceramica, priva di decorazioni, attribuibile all’età del Bronzo, così come lungo la sezione della strada della già citata cava in contrada “Minicuccio” . (5)

La transumanza praticata da queste popolazioni, attraverso i valichi appenninici, determinerà contatti culturali tra i due versanti, documentati dai repertori delle forme e decorazioni dei vasi d’impasto. I ritrovamenti provano che l’occupazione della zona ha carattere di continuità a partire dalla tarda civiltà del bronzo appenninica, e precisamente dalle cosiddette fasi “subappenninica” e “protovillanoviana”. Nel periodo durante il quale si sviluppano le facies suddette, assistiamo alla riorganizzazione agricola e quindi ad un nuovo antagonismo economico e culturale, sebbene questo possa sembrare poco verosimile in una zona scarsamente adatta ad un tipo di agricoltura arcaica.

Infatti, di contro a quanto normalmente rilevato in Italia -riguardo al subappenninico ed al protovillanoviano- la quasi totalità dei resti di queste fasi sono da collocarsi negli Abruzzi in zone fortemente inadatte all’agricoltura. E’ evidente quindi che gli elementi subappenninici e protovillanoviani, sopraggiunti in Abruzzo, non hanno necessariamente determinato in queste zone la prevalenza dell’agricoltura rispetto alle altre forme d’attività produttiva.

Possiamo perciò ipotizzare, per questo periodo, un ruolo secondario dell’agricoltura caratterizzato da colture cerealicole con incidenza di leguminose e soprattutto di fave, anche se, per le zone montane, si è indotti a pensare che la pastorizia fosse l’attività prevalente è, in ogni caso, molto probabile che si sia trattato di un’economia mista.

Il progressivo impoverimento dei pascoli a bassa quota durante i mesi estivi, dovuto all’inaridimento del clima cui si assiste in quest’epoca, favorisce, secondo Pacciarelli, (6) la pratica della transumanza stagionale.

Il processo di stabilizzazione dell’insediamento, che in altre aree – soprattutto verso l’Adriatico – sembrerebbe avere inizio con la media età del Bronzo, qui parrebbe attestarsi nella fase finale ed il suo sviluppo sembra essere dettato da necessità di carattere strategico, quali l’arrivo nella zona di nuovi gruppi. Nell’area centromeridionale, il modello di insediamento prevalente fin dall’età del Bronzo è quello su altura munita. Secondo alcuni autori (7) questa tendenza ad occupare le alture della fascia appenninica avrebbe contribuito a rendere stabili e costanti gli insediamenti. Per Peroni (8) infatti, già in questo momento, si è avuta “un’evoluzione dell’insediamento nel senso di una crescente stabilizzazione e di un adeguamento alle sempre più imperiose necessità difensive ed all’aumento demografico, sia globale sia delle singole comunità“; Peroni crede però “che tal evoluzione non abbia conosciuto grossi sbalzi prima dell’inizio della età del Ferro”. Prevalgono, infatti, stanziamenti su sommità, dettati da esigenze di sicurezza e di controllo del territorio, spesso posti su alture difese naturalmente dalla ripidità delle pendici, come quello di “Colle Capretta” (9) e quello ipotizzabile di “Monte S. Elia”. (10) Per quanto riguarda i siti su altura munita – da muri a secco e palizzate lignee – che, come abbiamo detto, sembrerebbero attestarsi sin dal Bronzo finale, ricordiamo le alture di “Colle Cacione”, (11) “Colle Belmonte”, (12) “Casal Civitella” , (13) “Monte Croce”, (14) “Colle San Vito” (15) e “Colle Orsini”. (16) Riguardo a “Colle Cacione”, “Colle Belmonte” e “Monte Croce”, questi non sembrano presentare strutture abitative e “Colle San Vito” sembra avere più una funzione di avvistamento e di avamposto per il controllo del fondovalle e dei valichi di passaggio.

Viceversa, stanziamenti del Bronzo finale, rinvenuti entrambi su pianori alle falde di un monte ed in leggero declivio verso la pianura ed il fosso prospiciente, sono quello in località “Forma di Testa” o “I Colli” (17) e quello di “Col Farolo”, (18) forse attribuibile alla prima età del Ferro. I siti non su altura (Col Farolo, Forma di Testa e Colle Morico) e quelli su altura non munita naturalmente (Colle Capretta) sembrerebbero non sopravvivere all’età del Ferro. Per quanto riguarda gli scambi, come il commercio di ambra e pasta vitrea, questi sono esplicitamente attestati dalla posizione degli insediamenti lungo le vie di comunicazione naturali; ricordiamo tra l’altro che l’ambra fu materiale di scambio comune nel Piceno, dove il controllo della sua distribuzione ebbe punte di floridezza a partire dall’VIII sec. a.C. (19)

La piana di Carsioli è attraversata da percorsi di transumanza e di comunicazione che qui hanno il loro fulcro; questo quindi non e’ un nodo di arrivo o di partenza ma solo un punto di passaggio obbligato. Da qui, infatti, si può raggiungere a Nord la conca reatina, attraverso tre percorsi, uno montano che passa per i Monti Carseolani, un altro che segue la valle del Turano ed il terzo che, raggiungendo la valle del Salto, arriva a Rieti; una strada va verso Orvinio e da qui verso l’Etruria tagliando la Salaria e passando per Toffia. Ad ovest per Eretum attraverso la valle del Licenza e Palombara Sabina; a Sud-ovest verso Tivoli attraverso la valle dell’Aniene; a Sud per Alatri attraverso la valle dell’Aniene ed i monti Ernici; a Sud-est poi due tracciati seguono il percorso montano attraverso i monti Simbruini giungendo uno a Sud verso Veroli e Boville Ernica, l’altro verso Civita D’Antino e da qui per la vallata del Liri fino a Sora; a est si arriva alla conca del Fucino in direzione dell’Adriatico; a Nord-est verso Nesce e da qui verso Amiterno e la vallata del fiume Aterno.

Nell’età del Ferro si cominciano a delineare le differenze esistenti tra le varie culture dell’Italia antica e si riescono a disegnare confini etnico-linguistici più precisi. Si attestano ulteriormente i siti su altura munita ed il nostro territorio sembrerebbe non subire sostanziali cambiamenti.

Il passaggio dall’età del Ferro all’età Arcaica non sembra portare a sostanziali cesure nella continuità dei siti esaminati, anche se questi, come vedremo, si modificheranno dal punto di vista dello sviluppo strutturale ed organizzativo degli insediamenti. E’ molto probabile che in questo momento, per un processo iniziato già nell’età del Ferro, gli Italici abbiano assunto la loro configurazione territoriale, politica e culturale, che potremmo definire safinas tutas, dalla quale è derivata anche la popolazione degli Aequi, che nell’area qui esaminata aveva il suo confine.

Dopo i primi tentativi di sfondare nella pianura laziale compiuti dagli Equi già dal VII sec. a.C., nel V secolo questi, probabilmente a causa del progressivo incremento demografico delle zone montane, il cui rimedio risiedeva forse anche per loro nel Ver Sacrum, attraversarono l’Aniene e si spinsero in direzione del confine tiburtino, quindi, aggirandolo in direzione sud-ovest, raggiunsero l’Algido e poi Tusculo, passando per Preneste, che molto probabilmente era caduta sotto il loro controllo dopo che gli Etruschi si erano ritirati. Dalla metà del V secolo agli inizi del IV e, quindi, in poco più di cinquant’anni, gli Aequi furono respinti dai Romani nel loro territorio. Comincia così in questo periodo la crisi della safinas tutas che porterà alla fine del regime monarchico (20) ed alla creazione delle repubbliche rette dal meddis tùtiks, eponimo che durava in carica un solo anno e che risiedeva nel centro principale, mentre i ceturii (censori) amministravano gli altri centri distrettuali. I nomi di questi oppida distrettuali si ricavano dalla lista dei popoli equicoli, così ormai chiamati dai romani tramandataci da Plinio. (21) La svolta urbana del V secolo porta alla nascita di grossi centri fortificati ed il più delle volte i piccoli centri d’”età regia”, come potrebbe essere quello di “Casal Civitella”, sono racchiusi in più cinte in cui il nucleo primitivo è forse utilizzato come arx. E’ in questo periodo (fine VI – prima metà V sec. a.C.) che sulle alture già menzionate, quali “Colle Cacione”, “Monte S. Elia”, “Colle di Belmonte”, “Colle S. Vito”, “Monte Croce”, “Casal Civitella” e “Colle Orsini”, sono sviluppate ed accentuate le difese con mura in opera poligonale e fossati.

L’unica testimonianza di luogo di culto, per l’età arcaica (VI-V sec. a.C.), ci è data dalla stipe votiva (22) rinvenuta nel 1904 – oggetto di approfondite indagini solo fra il 1950 ed 1951 – a circa tre chilometri dall’antica Carsioli. Il materiale rinvenuto abbraccia comunque un periodo molto ampio che va dal VI al II sec. a.C.

Se cerchiamo di ricostruire la viabilità più antica, sovrapponendo una carta della viabilità moderna ad una carta degli insediamenti fin qui descritti, non potremmo far altro che ricercare, tra queste, possibili direttrici e quindi riscontrare una loro probabile continuazione in determinati tracciati o percorsi. La direttrice principale di comunicazione e probabile via di transumanza è quella che, in periodo storico, sarà la Via Valeria.

Comunque, fino agli inizi del V secolo i grandi oppida distrettuali erano ancora retti da un regime monarchico e solo pochi verranno in seguito scelti dai Romani quali sedi di colonie. E’ il caso di Alba Fucens e di Carsioli, quest’ultima collocata su di un pianoro nel mezzo della piana carseolana, delle quali solo oggi sembrano potersi individuare due centri equi, tanto che per Carsioli si è rilevata la presenza di materiale arcaico quale frammenti d’impasto, di bucchero e d’intonaco di capanna. (23) Per Alba, il Letta (24) propone l’identificazione con il castellum ad Lacum Fucinum, menzionato nel passo di Livio (25) e riferito alla fine del V sec. a.C. (anno 408), in occasione della guerra contro Equi e Volsci. In questo periodo gli Equi sono organizzati in “società” di tipo oppido-vicano, in cui non sono da escludere fattorie isolate in pianura o pedemontane, sorte probabilmente con l’adozione, anche nell’Italia Centrale, dell’agricoltura in forma intensiva tra il V ed il IV sec. a.C. A questo contesto sembrerebbero riferirsi sicuramente due stanziamenti: uno in pianura, in prossimità del Fosso Bagnatore (26) e l’altro, in località San Giorgio, a ridosso del Monte Pisciato, (27) dove in una sezione lungo la strada che conduce a Riofreddo si notava intonaco di capanna ed alcuni frammenti di materiale di impasto grezzo tornito di color giallastro. E’ quindi probabile che nel V sec. “fattorie” isolate sorgessero per l’impulso dato dalla nuova economia in prossimità dei centri fortificati, come abbiamo detto, sia in pianura sia in posizione di mezzacosta o pedemontana.

La tradizione liviana vuole l’assoggettamento degli Aequi al termine della seconda guerra sannitica nel 304: secondo Livio [LIV.IX,45] infatti i consoli romani, nel termine di cinquanta giorni, erano riusciti a conquistare trentuno oppida, laddove Diodoro [DIOD. SIC. XX, 101] parla di quarantuno. Sempre secondo la cronologia liviana si fa risalire la fondazione delle colonie di Alba Fucens e di Carsioli rispettivamente al 303/302 e 302/301/300 o 298. (28)

Queste sono le date comunemente accettate, tuttavia Livio parla due volte della fondazione di Carsioli: la prima volta riferisce la deduzione della colonia al 302 a.C., nel territorio dei Marsi [LIV. X, 3, 1], all’epoca della venuta di Cleonimo (29) in Italia, la seconda al 298 a.C., nel territorio degli Aequicoli [LIV. X, 13, 1], all’epoca dell’alleanza romano-lucana. Questi due diversi riferimenti liviani hanno aperto diverse polemiche sulla fondazione di Carsioli sia sotto l’aspetto cronologico sia sotto quello della duplicazione, in relazione alla tradizione storiografica del IV sec. a.C. (30)

Livio ci informa che a Carsioli furono inviati 4000 coloni. (31) Sappiamo dalle fonti [LIV. X, 9] che questo territorio fu assegnato alla tribù Aniense ed il punto su cui tutti gli Autori (32) sono concordi è che la tribus Aniensis [LIV. X, 9; LIV. XXIV 7, 12; CIL IX 4061, 4064, 4075, 4084, 4085, 4095, 4096, 4101.] sia stata costituita nel territorio equo contemporaneamente alla Terentina, come dice Livio, nel 299 a.C., e che dovesse accogliere i cives romani insediati nella valle dell’Aniene. Secondo il Kubitschek (33) il territorio dell’Aniense era formato dalla parte settentrionale delle terre erniche, nella valle superiore dell’Aniene, mentre secondo la Taylor (34) comprendeva le terre prese agli Aequi. Nel 303 a.C., una parte del territorio equo, cioè quello di Trebula Suffenas (35), fu annesso a Roma sine suffragio (36) e forse anche quello di Afilae, di cui comunque è incerta l’appartenenza all’Aniensis, e quello di Treba ebbero lo stesso trattamento. Si può quindi ipotizzare che questa parte del territorio equo cadde definitivamente sotto il controllo romano alla fine del IV sec. a.C., quando il console C. Giunio Bruto annientò gli Aequi sbaragliando, in cinquanta giorni, secondo le fonti, gli oppida in questa zona e che furono fondate le colonie di Alba Fucens e di Carsioli.

E’ probabile che alcuni dei siti individuati come d’età repubblicana ed in connessione con l’impianto della colonia latina di Carsioli, possano essere invece preromani in quanto la ceramica rinvenuta in molti di questi siti è composta solitamente da tegole di impasto sabbioso chiaro, da ceramica d’impasto grezzo tornito di color rosso-bruno ed impasto sabbiato chiaro e da ceramica depurata acroma. Poiché questo tipo di materiale fittile abbraccia in maniera differenziata un arco di tempo compreso tra la metà del VI secolo ed il I sec. a.C. si è deciso, non potendo distinguerlo, di redigere la carta delle presenze d’età repubblicana distinguendo questi siti da quelli prettamente “romani”, soprattutto per la presenza di ceramica a vernice nera, nel nostro caso unico elemento datante. Dei pochi frammenti rinvenuti di ceramica a vernice nera possiamo osservare che il tipo è semplice, senza sovradipinture, di vernice brillante oppure opaca; l’argilla è di color arancio-giallognola o nocciola e databile genericamente tra la fine del IV ed il I sec. a.C.

Con l’impianto della colonia latina di Carsioli il territorio subì un forte processo di romanizzazione con il completo abbandono degli abitati equi d’altura e la probabile migrazione di gran parte della popolazione agricolo-pastorale equa verso il cicolano, dove si costituirà la res publica Aequicolanorum. La frammentariazione del territorio ed il sorgere delle ville rustiche comportò l’abbandono degli oppida a favore dei villaggi (vici) di pianura.

 

Il territorio

Come abbiamo detto, una sicura unità “regionale” potrà essere facilmente riscontrata nell’ambito di quell’area tradizionalmente definita come “Cicolano”. Inoltre sarà interessante delinearne i legami con i territori definiti in ambito storico “Carseolano” ed ”Albense”.

Proficue e frequenti indicazioni in questo senso si registrano chiaramente nel settore storico-archeologico a partire dagli inizi del XIX secolo con autori quali il Fatteschi (37), il Colucci (38), lo Hulsen (39) etc., per arrivare agli articoli della Reggiani (40) e della Tomei. (41)

In secondo luogo ricordiamo che le fonti antiche a nostra disposizione definiscono il territorio degli Equi come la zona compresa fra le terre dei Sabini, dei Marsi (42), degli Ernici, dei Volsci e dei Latini. (43) Livio parla delle città eque di Algidum (44) , Corbio (45), Ad Columen (46), Bolae (47), Vitellia (48), Alba (49)  e Carsioli. (50) Bola, nella Valle del Sacco, e Labico, forse l’odierna Montecompatri, sembrano aver fatto parte del territorio degli Aequi nel V sec. a.C. (51) Con l’occupazione romana il territorio fu assegnato per la parte maggiore alle colonie di Alba Fucens e Carsioli. Plinio [PLIN., N.H. III, 106] e Tolomeo [PTOLOM. III, 1, 49] citano, come appartenenti ancora agli Aequi, Carsioli e Cliternia. Il distretto di Alba Fucens, anch’essa città di origine equa, viene però da Plinio attribuito agli Albenses, che erano un gruppo autonomo. (52) Nelle fonti il territorio è sempre definito Aequiculanus ma, almeno finora, non si è riusciti a stabilire con chiarezza il rapporto fra questa denominazione e quelle di Aequi ed Aequicoli, per di più non e’ chiaro il significato del termine Aequicoli. A questo proposito, si hanno ben tre opinioni: 1) gli Aequicoli sarebbero una popolazione più arretrata rispetto a quella degli Aequi; (53) 2) Aequicoli sarebbe stato un termine dispregiativo per designare gli Aequi decaduti; (54) 3) il termine Aequicoli, trarrebbe origine dalla città, o agglomerato di villaggi, designata con l’espressione Res Publica Aequicolanorum e situata nella valle del Salto in quella zona che da sempre è definita Cicolano. (55)

Volendo quindi formulare un’ipotesi sull’estensione ed i limiti del territorio di cui ci occuperemo, bisogna tener fermi i seguenti punti:

- a Nord la città di Cliternia, l’attuale Capradosso, di cui parla Plinio, (56) al confine con il territorio sabino; quindi la valle dell’Himella Salto, le alture occidentali del Monte Nuria, di Rascino verso il monte S. Rocco ed il monte Velino;

- a Est il bacino del Lago Fucino ed il Monte Sirente, confine con i Marsi. In questo tratto di territorio si potrebbe delineare il confine, con buona approssimazione, facendolo passare per le alture di Corcumello, sotto il monte di Girifalco, sulle quali sorgevano tre oppida, (57) poi per i Piani Palentini, lungo il corso del fiume Imele fino a Monte San Felice, dove, in località “Ruola”, sorgeva un oppidum equo, per le “Grotte di San Felice”, dove si rinvengono anche qui, in località “Monte San Nicola”, i resti di un castelliere ed altri centri fortificati sono da identificarsi sopra Magliano de’Marsi e Corona, in località “Colle Castellano” e “Monte La Difensola”, poi per Alba verso Ovindoli. Il Cianfarani (58) attribuisce agli Aequi il centro di Superaequum a testimonianza di una “loro scorreria nella finitima conca adagiata alle pendici nord-orientali del Sirente, prima che vi si insediassero i Peligni“;

- a Ovest la valle del Turano verso Orvinio e ripiegando per i monti sabini verso Mandela e Cineto;

- a Sud-ovest lungo la linea dei monti prenestini fino a Genazzano ;

- a Sud al confine con gli Ernici, dagli altipiani di Arcinazzo, lungo la valle dell’Aniene verso Trevi e   Filettino;

- a Sud-est il confine lungo la Valle di Nerfa doveva passare per “Monte Viperella”, “Serra S.Michele”, “Campo Ceraso”, “Cesa Cotta”, “Rocca Morbano”, la “Forcella di Colle Secco”, Petrella Liri, “M. Valminiera”, “S. Sebastiano” e seguire infine il corso dell’Imele fino al “Colle S. Pietro”.

Bola, nella Valle del Sacco, e Labico, forse l’odierna Montecompatri, sembrano aver fatto parte del territorio degli Aequi nel V sec. a.C. (59)

Possiamo finora riscontrare in territorio Aequo ben 39 centri fortificati.

Carta del territorio e dei suoi centri fortificati:

1. “Monte Ara dei Sorci”

q. 1414

STAFFOLI DI PETRELLA SALTO

2. “Monte Castiglione”

q. 1163 PAGLIARA DI BORGOROSE

3. PESCOROCCHIANO

q. 730

4. “Monte Frontino”

q. 1167 CORVARO DI BORGOROSE

5. “Colle Civita”

q. 951 SPEDINO DI BORGOROSE

6. “Castelluccio”

q. 932 VILLEROSE DI BORGOROSE

7. “Colle Soglia” o “Latuschio”

q. 851 TORANO DI BORGOROSE

8. “Monte della Nebbia”

q. 1288 GROTTI DI BORGOROSE

9. “Monte Valoce”

q. 1271 CARTORE DI BORGOROSE

10.”Monte la Difensola”

q. 1326 MASSA D’ALBE

11.”Colle Castellano”

q. 1003 MASSA D’ALBE

12. MAGLIANO DEI MARSI

q. 747

13.”Monte S. Nicola”

q. 1078 SCURCOLA MARSICANA

15. TAGLIACOZZO

q. 998

16.”Colle Civitella “

q. 1016 SANTE MARIE

17.”Monte Guardia d’Orlando”

q. 1353 COLLI DI MONTEBOVE

18. PIETRASECCA

q. 908 CARSOLI

19.”Colle S. Vito”

q. 688 ROCCA DI BOTTE

20.CIVITA D’ORICOLA

q. 617 ORICOLA

21. ORICOLA

q. 810

22.”Monte S. Fabrizio”

q. 1018 ROCCA DI BOTTE

23.”Colle Orsini”

q. 802 RIOFREDDO

24.”Colle di Belmonte”

q. 565 ARSOLI

25.”Monte S. Elia”

q. 990 RIOFREDDO

26. ROVIANO

q. 530

27.”Casal Civitella”

q. 773 RIOFREDDO-CINETO ROMANO

28.”Colle Cacione”

q. 836 RIOFREDDO – CINETO ROMANO

29.”Monte Croce

q. 838 ANTICOLI Corrado -SARACINESCO

30. CICILIANO

q. 619

31. CANTERANO

q. 530

32. BELLEGRA

q. 791

33. OLEVANO ROMANO

q. 573

34.”Monte Scalambra”

q. 1420 ROIATE

35. TREVI NEL LAZIO

q. 787

36.”Colle Ruola”

q. 726 TAGLIACOZZO

37.”Colle S. Nicola”

q. 1022 MASSA D’ALBE

38. ROCCA DI MEZZO

q. 1322
39. VICOVARO q. 304

 

I Castellieri

Livio, come abbiamo già ricordato, riferisce che gli Equi riparassero in caso di pericolo sulla sommità delle montagne in luoghi più o meno fortificati naturalmente. Questi insediamenti sono oggi definiti castellieri usando la denominazione latina di oppidum o castellum oppure da parte di alcuni studiosi quella greca di ocres.

I castellieri sono attestati, come abbiamo detto, sin dal bronzo finale su alture munite da muri a secco e da palizzate lignee, si svilupparono in età Arcaica (fine VI- prima metà V sec. a.C.) accentuando le difese con mura in opera poligonale e fossati.

Questi insediamenti che abbiamo definito con il nome generico di castellieri potrebbero appunto essere catalogati, con più precisione, usando le denominazioni latine di oppidum e di castellum. Riservando all’oppidum la completa accezione di vero e proprio centro abitato fortificato, di piccole e medie dimensioni, ed al castellum quella di osservatorio e di difesa, oppure in alcuni casi, come vedremo, di santuario di altura.

Tali difese costituivano, sin dall’età del Bronzo, una rete di percorsi, di avvistamenti e relazioni visive, che permetteva l’uso di segnali a distanza in caso di necessità, quindi si trattava di veri e propri osservatori fortificati come quelli di “Monte Croce”, “Colle Cacione”, “Colle Belmonte” e “Colle San Vito”; altri, di dimensioni maggiori e con tracce di abitazioni, come “Casal Civitella” e “Colle Orsini”, devono essere serviti oltre a questa funzione anche a quella di ricovero, per uomini ed animali, in caso di pericolo. Caratteristica essenziale è la loro interdipendenza visiva che permetteva appunto l’uso di segnali a distanza e quindi il controllo dell’area circostante, come l’accesso a pascoli interni e montani, delle vie di comunicazione e degli eserciti nemici. Il controllo dei pascoli interni e montani si spiega necessariamente quando la transumanza è limitata ad un ambito territoriale relativamente ristretto.

La loro posizione va da un minimo di 565 m. dal livello del mare ad un massimo di 1018 m.

Esaminando le cinte in questione possiamo osservare che esse sono generalmente a pianta circolare o ellittica e, comunque, che questa è determinata dall’orografia dei luoghi. La muratura è a secco di pietrame calcareo, con molte zeppe e riconducibile alla I o II maniera dell’opera poligonale. (60) Il muro poggia direttamente su un gradino artificiale, tagliato sul fianco del monte, come nel caso di “Colle Belmonte”, e forse di “Monte Croce” oppure è accompagnato da un fossato (61) difensivo sul lato meno difeso, come per “Colle Cacione”. Dove è possibile si fortifica solo il lato più esposto, sfruttando le difese naturali, costituite da ripidi cigli e burroni, come per “Colle Orsini” e “Casal Civitella”: in quest’ultimo, sembra notarsi una seconda cinta, che costituisce forse un ampliamento posteriore. Nel caso di “Colle San Vito” abbiamo una cinta muraria, in opera poligonale di prima maniera ed un fossato anulare scavato nel pendio ed ora parzialmente riempito dal crollo della cinta stessa.

In complesso possiamo quindi distinguere due tipi di castellieri:

1.     apicale;

2.     apicale e di pendio:

Nel primo caso la cinta fortifica la sommità correndo lungo il ciglio tattico vedi “Colle Cacione”, “Monte S. Elia”, “Colle di Belmonte”, “Colle S. Vito”, “Monte Croce”, nel secondo caso oltre a fortificare l’apicale, che costituirà l’arx, le mura abbracceranno l’intera pendice oppure parte di essa come “Casal Civitella” e “Colle Orsini”.

L’assenza comunque di strutture in muratura, chiaramente non esclude, considerando in taluni casi l’abbondanza di tegole e ceramica, la presenza di costruzioni in materiale deperibile per soggiorno temporaneo di uomini ed animali. Dove mancano completamente le tegole bisogna pensare a coperture straminee o in scandule di legno. (62)

Ai castellieri fin qui descritti andrebbero aggiunte quelle alture come “Monte San Fabrizio”, (63) e lo stesso “Monte S. Elia”, nonché, “Monte San Giovanni”, “Madonna dei Bisognosi” e “Monte San Martino”, in cui le trasformazioni operate prima in età repubblicana, con la costruzione o il rifacimento di impianti cultuali – sono infatti visibili resti di podii in opera poligonale, colonne, frammenti di ex-voto – e quindi in età medievale, con chiese e conventi, hanno portato a sconvolgere l’antico assetto ed a rendere poco leggibile la primaria funzione di fortilizi. Non è comunque da escludere che alcuni dei santuari riscontrati per l’epoca romana fossero già esistenti e strettamente legati agli oppida. Infatti resti di edifici cultuali ancora visibili all’interno degli oppida dimostrano che alcuni recinti fortificati fungevano anche da santuari di altura racchiusi da un tememmo che coincideva con le mura di cinta, come potrebbero essere “Monte San Giovanni” e “Monte S. Elia”; oppure poteva avvenire che, come si riscontra nella Marsica, (64) recinti fortificati sorgessero a difesa dei santuari situati lungo i passi.

La ceramica che si riscontra in genere è composta da impasto lucidato a stecca con forme riferibili a grosse olle e forme aperte.  Le anse sono a linguetta, a nastro ed a bastoncello. Le decorazioni sono date dai cordoni applicati con impressioni digitali. Gli orli sono dritti con sommità piatta ed a volta con impressioni digitali. Gli impasti sono grezzi ed anche con inclusioni di mica e calcare, di colore marrone scuro, nocciola chiaro e nero. Confronti si hanno dalla fine del VII agli inizi del V secolo a.C. Peraltro bisogna ricordare che l’uso di tecniche antiquate nella lavorazione della ceramica d’impasto si protrasse a lungo in quest’ambito territoriale, tanto che non è sempre agevole datare molti frammenti di questa ceramica priva di decorazioni, i quali potrebbero addirittura datarsi dall’età del bronzo all’epoca arcaica. (65)

L’economia è ancora prettamente pastorale e non legata alla grande transumanza dell’età romana ma piuttosto ad una transumanza verticale, – che è ancora tipica di queste zone – dalla pianura alla montagna. Doveva comunque esistere – sin dall’età del Bronzo – uno stretto legame tra i castellieri, i pascoli in alto e le aree coltivabili in basso: quest’ultime, come si riscontra anche nella zona del Fucino, (66) erano faticosamente strappate al fianco della montagna, all’esterno dei fortilizi mediante opere di terrazzamento.

Non sembra esserci, a parte l’occupazione o il riutilizzo dell’area con un santuario, una continuità insediativa o funzionale per i siti esaminati, escluso quello di Casal Civitella, oltre l’epoca arcaica o comunque non oltre il IV sec. a.C.. Se passiamo infatti ad esaminare a fondo l’oppidum appena menzionato, possiamo riscontrare materiale fittile che documenta la vita del sito fino all’età imperiale. Al suo interno sono presenti terrazzamenti, frammenti di macine, scorie metalliche – soprattutto ferro – che documentano una probabile attività metallurgica. Com’è noto, il ferro era usato come fluidificante per la fusione del rame sin dalla media età del Bronzo. (67) Per quanto riguarda l’esame dei reperti riferibile all’età protostorica ed arcaica rinvenuto a Casal Civitella possiamo dire che si tratta per lo più di ceramica estremamente fratturata d’impasto rossastro, rosso-bruno, o bruno, compatto, a volte con superfici lisciate o ad ingubbiatura rossastra. Non è raro il materiale d’impasto nerastro o bruno. Provenienti da questa località dovrebbero essere anche i reperti, esposti nell’Antiquarium di Riofreddo, riferiti ad oggetti di bronzo o in ferro, quali fibule, catenelle, spilloni, pendagli e guarnizioni diverse, nonché una daga a stami, che è l’arma principale a partire dal VII secolo fino alla metà del VI ed è associata nelle tombe maschili ad una lancia o coppia di giavellotti. Interessante potrebbe essere l’indagine di scavo nell’area del “sepolcreto”, in località “Colle Raso”, (68) in cui si riconoscono due tombe con orientamento EO, scavate da clandestini: una a fossa con rivestimento in peperino (?) e l’altra che sembrerebbe priva del rivestimento e formata da un semplice perimetro di pietre con un pozzetto o ripostiglio laterale; quest’ultima dovrebbe risalire al VII secolo, mentre l’altra dovrebbe collocarsi fra la metà del VI ed il V sec. a.C.. Le tombe rinvenute nella vicina necropoli di “Casal Civitella”, recentemente scavata dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio, sono invece di due tipi: le une sono formate da veri e propri cassoni in calcare spugnoso, in alcuni casi, soprattutto per le sepolture dei bambini, ricavati in un unico blocco; le altre sono formate da fosse terragne rivestite da blocchi dello stesso calcare. Il corredo è costituito da armi ed ornamenti, quali bulle, anelli con castone inciso, fibule di ferro ad arco leggermente ingrossato, una collana d’ambra ed un ciondolo d’osso.

 

Note

1 – P. Ceruleo, Nuovi contributi alla conoscenza della preistoria della valle dell’Aniene, in “AttiSocTib“, LX, 1982,  p 37.

2 – Idem,  p. 38.

3 – Si segnala il rinvenimento di frammenti di ceramica attribuibile al Bronzo finale e schegge di selci con tracce di lavorazione.

4 – P. Ceruleo, Nuovi contributi alla conoscenza della preistoria della valle dell’Aniene, in “AttiSocTib“, LX, 1982, p. 38.

5 – Idem, p. 39.

6 – M. Pacciarelli, Economia e organizzazione del territorio in Etruria meridionale nell’età del Bronzo media e recente, in “DArch“, n.s., 1982, 4, pp. 69-79.

7 – M. Angle, A. Gianni, A. Guidi, Gli insediamenti montani di sommità nell’Italia centrale: il caso dei Monti Lucretili, in “DArch“, n.s., 1982, 4, pp. 80-91; C. Malone, S. Stoddart, The Gubbio Project: the Study of the Formation of an Intramontane Polity, in “DArch“, s. III, 1986, 4, pp. 201-208.

8 – R. Peroni, Comunità e insediamento in Italia fra Età del bronzo e prima Età del ferro, in Storia di Roma – Roma in Italia, I, Torino 1988, p. 11.

9 – A circa 820 m di quota, il colle è equidistante da Colle Orsini e dall’abitato d’Oricola. Sulla sua sommità non si notano tracce di sostruzioni o fortificazioni, ma si rinviene una discreta quantità di ceramica ascrivibile tra la fase finale dell’età del bronzo e l’epoca arcaica [P.CERULEO, I castellieri della Media Valle dell’Aniene, in "AttiSocTib", LIII, 1980, p. 21].

10 – A 990 m s.l.m. si possono osservare resti di muratura riferibili ad una chiesetta medievale e, sul versante est, i resti di una probabile cinta muraria. Si nota una notevole concentrazione di materiale fittile d’epoca medievale e materiale d’impasto che sembrerebbe risalire all’epoca arcaica [P.CERULEO, I castellieri della Media Valle dell’Aniene, in "AttiSocTib", LIII, 1980, p. 20-21].

11 -  A 836 m s.l.m. si rinvengono i resti di un castelliere di forma ellittica molto regolare. Sono visibili i probabili resti della cinta muraria e di un fossato che, risalendo il colle da Sud, taglia il castelliere in due, sulla sommità sono stati trovati scarsi resti di ceramica d’incerta attribuzione. Non si notano tracce di strutture abitative [P.Ceruleo, I castellieri della Media Valle dell’Aniene, in "AttiSocTib", LIII, 1980, p. 20] .

12 – A circa 560 m s.l.m., sopra Arsoli, si notano tracce di muri in opera poligonale, forse appartenenti ad una fortificazione; dal colle è possibile infatti controllare la valle del Bagnatore e dell’Aniene.

13 – In località Morregare toponimo Casal Civitella, a quota 773 m s.l.m., a 200 m circa dal carraccio del sambuco, dalla Fonte Graziosa, dal fosso dei Pantani e dal torrente rioscuro, si rinvengono i resti di un probabile castelliere. Il colle, che ricorda un rocchetto, è formato da due alture unite da una sella. L’abitato era posto su quella di NE ed una strada lo raggiungeva da Nord dove è localizzabile una porta. Rimane difficile per il momento, individuare appieno le strutture difensive ed abitative. In ogni caso la cinta, che in alcuni tratti doveva essere in opera poligonale non è conservata. Sul versante sud-sud-ovest dove era naturalmente difeso, si può osservare la regolarizzazione della roccia, mentre sul lato Nord, dove è probabile che fosse dotato di una seconda cinta, si pur osservare il taglio della roccia calcarea per la costruzione della cinta muraria. All’interno si notano evidenti tracce di terrazzamenti. L’area è cosparsa di numerosi frammenti di tegole d’impasto rossiccio e d’impasto chiaro, che comprovano l’esistenza di capanne e quindi di un probabile abitato stabile al suo interno. Per quanto riguarda la ceramica possiamo affermare che è formata per lo più da impasto molto fratturato di colore rossastro, rosso-bruno, o bruno, compatto, a volte con superfici lisciate o ad ingobbiatura rossastra, lucidato a stecca, con inclusioni di mica e calcare. Le forme sono riferibili a grosse olle, forme aperte e dolia. Le anse sono a linguetta, a nastro ed a bastoncello. Le decorazioni sono date dai cordoni applicati con impressioni digitali. Gli orli sono dritti con sommità piatta ed a volta con impressioni digitali.

Confronti si hanno dalla fine del VII agli inizi del V secolo a.C. Nell’area si rinvengono anche scorie metalliche, soprattutto ferro, che documentano una probabile attività metallurgica.

Le tombe rinvenute nella necropoli ai piedi dell’abitato, nel lato nord-ovest, recentemente scavata dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio, sono di due tipi: le une sono formate da veri e propri cassoni in calcare spugnoso, in alcuni casi, soprattutto per le sepolture dei bambini, ricavati in un unico blocco; le altre sono formate da fosse terragne rivestite da blocchi dello stesso calcare. Il corredo è costituito da armi ed ornamenti, quali bulle, anelli con castone inciso, fibule di ferro ad arco leggermente ingrossato, una collana d’ambra ed un ciondolo d’osso.

            Tombe.

In località Morregare toponimo Casal Civitella, a 748 m s.l.m., a 100 m circa a sud del punto descritto alla scheda 84, e strettamente collegato al castelliere sopra descritto, in quanto ampliamento e continuità di quello in età romana, si rinviene, lungo un terreno in pendio, un’area alquanto vasta di frammenti fittili, per un’estensione di circa 1000 mq costituita da ceramica a vernice nera, sigillata aretina ed italica chiara, africana, a pareti sottili, argilla sabbiata, vari frammenti d’anfore, tegole d’argilla sabbiata chiara e depurata rosata; nel taglio effettuato in quest’area per lavori – peraltro mai portati a termine – d’allargamento e riattamento della strada vicinale da Cineto a Riofreddo, si sono rinvenute spaccate dalla ruspa due tombe a cappuccina. Necropoli. In località Colle Raso, a quota 800 m s.l.m., a 100 m circa a Nord di Casal Civitella, si sono rinvenute due tombe a fossa con rivestimento in lastre di tufo ed una a pozzetto. Le tombe sono state scavate, direi spaccate, da clandestini visto che le lastre sono state sparse tutt’intorno e così le ossa. La conformazione del terreno che in quel punto sembra livellato artificialmente fa pensare che possano esserci altre tombe.

14 – A quota 838 m s.l.m., a circa 1500 m da Saracinesco si rinvengono i resti di un castelliere di forma ellittica, la cinta muraria è stata in parte distrutta dai lavori del ripetitore, i resti dell’abitato sono scarsi e non si notano resti di terrazzamenti. La ceramica rinvenuta si pur datare dal bronzo finale all’epoca arcaica [P.Ceruleo, I castellieri della Media Valle dell’Aniene, in "AttiSocTib", LIII, 1980, p. 20-21].

15 – A 688 m s.l.m., nella piana carseolana, a 600 m dalla sorgente Acqua Calda, si rinvengono i resti di un piccolo castelliere di forma ellittica (180m x 100m). La cinta muraria che probabilmente doveva essere in opera poligonale di prima maniera è andata completamente distrutta. A nord sono visibili i resti di parte del fossato (m 10), scavato nella roccia calcarea e riempito dal crollo del muro. Lungo tutto il perimetro è comunque possibile osservare una buona quantità di pietrame relativo al crollo della cinta. All’interno si notano possibili resti di buchi di palo di capanne e si rinvengono scarsi frammenti fittili: soprattutto d’impasto grezzo.

Alle falde del piccolo colle si rinviene invece una buona concentrazione di materiale fittile d’età repubblicana (tegole d’impasto chiaro e ceramica varia). Il “castelliere” ha avuto sicuramente funzione d’avvistamento e d’avamposto militare per il controllo del fondovalle e dei valichi di passaggio [P.Ceruleo, I castellieri della Media Valle dell’Aniene, in "AttiSocTib", LIII, 1980, pp. 24-25].

16 – A 800 m circa s.l.m., prospiciente la stazione ferroviaria di Riofreddo, si rinvengono, sulla sommità, i resti di un abitato fortificato su altura a pianta semicircolare, naturalmente difeso sul versante ripido e scosceso verso la Piana del Cavaliere, mentre quello che degrada verso Arsoli presenta tratti di mura in opera poligonale. Addossati alla cinta, nel punto più alto del colle si notano le fondazioni di due ambienti, a pianta rettangolare, uno più grande di circa m 8 x 6 ed uno più piccolo. Il Ceruleo [P. Ceruleo, Nuovi contributi alla conoscenza della preistoria della valle dell'Aniene, in "AttiSocTib", LX, 1982,pp. 36-37] notò pochi metri più in basso, in una spianata rivolta verso la stretta valle dell’Aniene, le fondazioni di una capanna a pianta circolare del diametro di circa tre metri. Nell’area si riscontrano ovunque frammenti d’Impasto grezzo non tornito e lucidato a stecca.

17 – A 450 m circa s.l.m., a circa 200 m dal convento degli Oblati, su una vasta superficie si rinvengono radi frammenti di ceramica d’impasto alquanto rozza forse attribuibile al bronzo finale [P. Ceruleo, Nuovi contributi alla conoscenza della preistoria della valle dell'Aniene, in "AttiSocTib", LX, 1982, p. 26].

18 – A 652 m. s.l.m., a circa 400 m. ad Est del Fosso Cammarano, a 250 m. circa a Nord-est del sito di cui alla scheda n.98, su di un piano del colle, coltivato a granturco, si nota una discreta concentrazione di ceramica d’impasto, forse attribuibile all’età del bronzo nonché frammenti d’argilla sabbiata per un’estensione di circa 300 mq.

19 – D.G. Lollini, La civiltà picena, in Popoli e Civiltà della Italia Antica, 1976, 5, Roma, pp.109-195.

20 – M. Torelli, in Storia di Roma – Roma in Italia, I, Torino 1988.

21 – Plin., Hist., III, 17, 12.

22 – A. Cederna, CARSOLI. – Scoperta di un deposito votivo del III sec. a.C. (Prima campagna di scavo) in “NotSc” 1951, pp. 169-224.

23 – S. Gatti-M.T. Onorati, Carsioli: annotazioni topografiche, in “AttiArch“, Avezzano 1989, p. 443.

24 – C. Letta, I Marsi e il Fucino nell’antichità, Milano 1972, pp. 30-33.

25 – Liv., IV, 57, 7.

26 – A 330 m s.l.m., a circa 150 m. a Nord della via Sublacense ed a circa 150 m. ad est del Fosso Bagnatore, si rinviene un’area di scarsi frammenti fittili molto corrosi ascrivibili ad un periodo compreso tra l’epoca arcaica e quella post-medioevale.

27 – A 620 m. sul livello del mare, a circa 200 m. ad Est del convento omonimo, ormai crollato, ed a m. 150 circa a Sud-Ovest del Cimitero di Riofreddo, in prossimità del bivio della SS n 5 Tiburtina-Valeria e della strada per il Turano, a causa dei lavori stradali d’allargamento in prossimità del bivio Suddetto, e’ stato operato un taglio nel terreno adiacente alla strada che ha evidenziato i resti, abbastanza leggibili, di una probabile capanna; infatti sono stati rinvenuti frammenti d’intonaco di capanna bruciati ed alcuni frammenti molto corrosi d’impasto grezzo non tornito ed un frammento di ceramica poco sabbiata con grossi inclusi. Dalla stessa sezione si rinvennero, a detta del Ceruleo[P. Ceruleo, Nuovi contributi alla conoscenza della preistoria della valle dell'Aniene, in "AttiSocTib", LX, 1982, p. 34], schegge silicee, due raschiatoi, alcune cuspidi di freccia, manufatti musteriani ed un molare di rinoceronte. Nell’area circostante si rinvennero manufatti paleolitici e neolitici [A.M. Radmilli, Esplorazioni paletnologiche nel territorio di Tivoli, in AMST, XXVI n. 1-4, 1953, p. 159; P. Ceruleo, Nuovi contributi alla conoscenza della preistoria della valle dell'Aniene, in "AttiSocTib", LX, 1982, p. 34].

28 – Th. Mommsen, Romische Geschichte, Berlin 1854-1856 (ed. it.: Storia di Roma, Milano 1971-1973, p. 180); K.J. Beloch, Der Italische Bund, 1880, p. 141; J. Marquardt, Romische Staatsverwaltung, I, 2nd ed., Leipzig 1881 (prima ed. 1873-1878), p. 50; B. Nise, Grundriss der Romischen Geschichte, 2nd ed., 1897, p. 46, in I. v. Muller’s Handbuch der Klass. Alterthumswissenschaft, vol. III, 5; Chr. Hulsen, in RE, 3, 1899, s.v. Carsioli, col. 1615; E. Abbate, Guida dell’Abruzzo, Roma 1903, p. 170; g.j. pfeiffer-th. ashby, Carsioli, in “SupPapAmSchRome“, I, 1905, p. 136; Th. Ashby, The Roman Campagna in Classical Times, London 1927 (ed. it., La Campagna romana nell’età classica, Milano 1982, p. 23); f.e. adcock, The Conquest of Central Italy, in The Cambridge Ancient History, Cambridge 1928, vol. VII pp. 581-616 (ed. It.: La conquista dell’Italia centrale, in Università di Cambridge, Storia Antica, Milano 1974, vol. VII, 2, pp. 793-794); G. Devoto, Gli antichi Italici, Firenze 1931 (Quinta edizione) (Ed. 1977, p. 243); G. Saflund, Ancient Latin Cities of the Hills and Plains, a Study in the Evolution of Settlement in Ancient Italy, in “OA“, I, 1934, p. 75; A.J. Toynbee, Hannibal Legacy, London 1965 (Ed. It., L’eredità di Annibale, Torino 1981, I, p.130, 163); E.T. Salmon, Samnium and Samnites, Cambridge 1967 (ital. Torino 1985, pp. 256, 272); E.T. Salmon, Roman colonization under the Republic, London 1969, pp. 59-60; F. Coarelli- A. La Regina, Abruzzo Molise, Roma- Bari 1984, p. 60.

29 – Liv., X, 2; Diodoro, XX, 104-105.

30 – Champy [capmartin de chaupy, Decouverte de la maison de 1769 campagne d'Horace, III, Roma 1767-69                        pp.222-224] come altri pensa che Livio si sia ripetuto semplicemente sovrapponendo due fonti che seguivano due diversi sistemi cronologici.

Tommaso Passeri [T. Passeri, La Colonia Carseolana in agrum Aequicolanorum, ossia Arsoli nella sua origine, Roma 1883] parla di due Carsioli distinte fondate a quattro anni di distanza, una nel territorio dei Marsi e l’altra nella valle dell’Aniene, dove oggi sorge Arsoli, chiamata la Carsioli degli Aequicoli, dato che le due popolazioni erano separate da una catena montuosa; ma tale ipotesi e’ da scartare.

Adcock [F.E. Adcock, The Conquest of Central Italy, in The Cambridge Ancient History, Cambridge 1928, vol. VII pp. 581-616 (ed. It.: La conquista dell'Italia centrale, in Università di Cambridge, Storia Antica, Milano 1974, vol. VII, 2, p. 794]  sostiene che se la fondazione del 298 non è una mera duplicazione di quella del 302 a.C., allora questa rivela un’avanzata più a Nord, a Carsulae. E’ da escludere anche questa ipotesi.

La Sordi [M. Sordi, Roma e i Sanniti nel IV secolo a.C., Rocca San Casciano 1969] fa un’analisi completa del problema prendendo in considerazione l’incongruenza della cronologia nella tradizione liviana e in genere nella tradizione storiografica romana relativa soprattutto al IV sec. a.C.; la Sordi non concorda con coloro che propongono spostamenti cronologici notevoli nella collocazione degli avvenimenti, in quanto ritiene che tali spostamenti operati almeno in parte dagli annalisti non siano avvenuti in modo arbitrario, ma abbiano di contro ragioni precise e per ciò si hanno duplicati o triplicati nella tradizione liviana, almeno fino agli inizi del III sec. a.C., quando cessano le interpolazioni cronologiche nei testi.

La Sordi fa notare che Livio parla due volte della fondazione di Carsioli al 302 a.C. ed al 298 a.C., tuttavia dimostra che l’anno di fondazione è in realtà il 305 a.C., basando tale affermazione sulla cronologia di Velleio. Secondo Velleio, infatti, la fondazione di Interamna avvenne 13 anni dopo l’episodio delle Forche Caudine, vale a dire nel 317 a.C. (319 vulg.); dopo dieci anni, nel 307 a.C. (308 vulg.) furono dedotte le colonie di Sora e di Alba, seguite dopo due anni, quindi nel 305 a.C. (306 vulg.), da quella di Carsioli. Inoltre la fondazione riferita da Livio al 302 a.C. è contemporanea all’arrivo di Cleonimo in Italia e quella del 298 a.C. all’alleanza dei Romani con i Lucani; eppure questi due avvenimenti, che in Livio non sembrano avere connessioni, sono il primo conseguenza del secondo ed entrambi relativi alle ostilità fra Romani e Tarantini: ora, tenendo conto che Diodoro pone l’arrivo di Cleonimo al 302 a.C. e che sempre allo stesso anno fa risalire numerosi altri avvenimenti relativi al confitto con Taranto, la Sordi fa osservare che non è possibile che tali avvenimenti siano avvenuti in così breve tempo e che quindi Cleonimo sia arrivato piuttosto qualche anno prima, vale a dire nel 305 a.C., dato che Carsioli sembrerebbe essere stata fondata nello stesso anno. D’altra parte, come già detto, Livio che fa risalire le fondazioni di Alba e Sora al 303 vulg. e Carsioli al 302 vulg. e/o al 298 colloca, come Diodoro ed i Fasti Trionfali, le vittorie sugli Ernici nel 306 vulg. e quelle sugli Aequi, sui Marsi e sui loro vicini nel 304 vulg.. La Sordi, invece, ritiene che le vittorie sugli Aequi e gli Ernici non possono essere posteriori al 307 a.C. e quelle sui Marsi ed i loro vicini al 305 a.C., perché la cronologia di Velleio, come già detto, pone la fondazione di Alba e di Sora nello stesso anno, al 307 a.C., nonché quella di Carsioli al 305 a.C.; considerando quindi che Alba e Sora furono fondate nello stesso anno è evidente che le vittorie sugli Equi e gli Ernici dovettero essere tutt’al più contemporanee tra loro e non certo posteriori al 307 a.C. La fondazione di Carsioli sarebbe avvenuta in realtà solo nel 305 a.C. e ciò fa pensare che la sottomissione dei popoli appenninici abbia richiesto circa due anni e la deduzione della colonia avrebbe segnato la resa definitiva dei Marsi. Ricordiamo che tale datazione fu già proposta nel 1832 [L'arte di verificare le date, Venezia 1832, tomo IV, parte prima, p. 442].

Il Letta [C. Letta, I Marsi e il Fucino nell'antichità, Milano 1972, p.82 n. 154], pur ammettendo che in Livio ci siano probabili duplicazioni riguardo alla guerra con gli Equi, pensa ad una falsificazione operata a gloria della gens Valeria, soprattutto per la menzione del dittatore M. Valerio Massimo presentato come artefice delle vittorie sui Marsi, e porta a riscontro di ciò diversi autori [H.Nissen, Italische Landeskunde, II-III, Berlin-Leipzig 1883-1902, II, p. 454 sgg.; K.J. Beloch, Romische Geschichte, Berlin-Leipzig 1926, p. 368, 403, 422; Philipp, in RE, XIV, 2 (1930) c. 1978; E.T. Salmon, in Oxford Class. Dict., c. 541].Il Letta [C. Letta, I Marsi e il Fucino nell'antichità, Milano 1972, p.81] ritiene infondata l’osservazione degli studiosi che hanno voluto vedere una confusione tra Equi e Marsi, nell’opposizione a detta di Livio di questi ultimi alla fondazione di Carsioli, visto che la colonia era fondata in territorio equo; infatti, sostiene che, pur essendo state sottratte agli Equi Alba e Carsioli, queste costituivano due posizioni chiave che, insieme a Sora isolavano i Marsi verso Ovest e ritiene quindi plausibile la tesi della Sordi [M. Sordi, Roma e i Sanniti nel IV secolo a.C., Rocca San Casciano 1969, pp. 71, 78, 81 sgg.] per cui la fondazione della colonia di Carsioli avrebbe segnato la resa definitiva dei Marsi. In conclusione, potremmo quindi pensare che la fondazione della colonia latina di Carsioli, programmata alla fine della seconda guerra sannitica, pur osteggiata dai Marsi [K.J. Beloch, Romische Geschichte, Berlin-Leipzig 1926, p. 422; G. De Sanctis, Storia dei Romani, Roma 1907, II, p. 324 n. 146]  avvenne, come previsto, secondo la tradizione liviana, nel 302 a.C., – anche se considerassimo il 305, basandoci sulla cronologia di Velleio, tali considerazioni non cambierebbero – anno in cui, M. Valerio Massimo sbaragliò i Marsi che avevano osteggiato la fondazione della colonia, e rinnovò agli stessi il foedus concesso.

31 – A.J. Toynbee, Hannibal Legacy, London 1965 (Ed. It., L’eredità di Annibale, Torino 1981, I, p.291 n. 144).

32 – Th. mommsen, Romische Geschichte, Berlin 1854-1856 (ed. it.: Storia di Roma, Milano 1971-1973, p. 180); W. Kubitscheck, De Romanorum Tribuum Origine ac Propagatione, Wien 1882, p. 2; W. Kubitscheck, in RE, I, 1894, s.v. Aniensis, coll. 2208-2209 ; Th. Ashby, The Roman Campagna in Classical Times, London 1927 (ed. it., La Campagna romana nell’età classica, Milano 1982, p. 23; F.E. Adcock, The Conquest of Central Italy, in The Cambridge Ancient History, Cambridge 1928, vol. VII pp. 581-616 (ed. It.: La conquista dell’Italia centrale, in Università di Cambridge, Storia Antica, Milano 1974, vol. VII, 2, p.794); G. Devoto, Gli antichi Italici, Firenze 1931 (ed. 1977, p. 255); L. Ross Taylor, The voting districts of the Roman Republic, in Papers and monographs of the American Academy in Rome, 20, Roma 1960, p. 56; ; A.J. Toynbee, Hannibal Legacy, London 1965 (Ed. It., L’eredità di Annibale, Torino 1981, I, p. 163); E.T. Salmon, Samnium and Samnites, Cambridge 1967 (Ed. It. Torino 1985, p. 272).

33 – W. Kubitscheck, De Romanorum Tribuum Origine ac Propagatione, Wien 1882, p. 22.

34 – L. Ross Taylor, The voting districts of the Roman Republic, in Papers and monographs of the American Academy in Rome, 20, Roma 1960, p. 56.

35 – G. De Sanctis, Storia dei Romani, Roma 1907, II, p. 338 nota 4; K.J. Beloch, Romische Geschichte, Berlin-Leipzig 1926, p. 425; ; A.J. Toynbee, Hannibal Legacy, London 1965 (Ed. It., L’eredità di Annibale, Torino 1981, I, p. 297 nota 71); E.T. Salmon, Samnium and Samnites, Cambridge 1967 (Ed. It. Torino, p. 32 nota 60, p. 272).

36 – Liv. X.1.3; G. Devoto, Gli antichi Italici, Firenze 1931 (ed. 1977, p. 255); L. Ross Taylor, The voting districts of the Roman Republic, in Papers and monographs of the American Academy in Rome, 20, Roma 1960, pp. 56-57.

37 – G. Fatteschi, Memorie istorico diplomatiche riguardanti la serie di Duchi e la topografia de’tempi di mezzo del Ducato di Spoleto raccolte dal Padre D. Giancolombino Fatteschi, Camerino 1801, p. 211 sgg.

38 – G. Colucci, Gli Equi o un periodo della storia degli Italiani, Firenze 1866, pp. 25 sgg.

39 – Chr. Hulsen, in RE, 1, 1896, s.v. Aequi, c. 597.

40 – A. M. Reggiani, Annotazioni sulla Sabina e sul territorio degli Equicoli, in Enea nel Lazio, Roma 1981 (mostra) pp. 56-57.

41 – M. A. Tomei, Ricerche nel territorio degli Equi; la valle dell’Aniene, in “ArchLaz“, IV, 1981, p. 83 sgg.; M. A. Tomei, Gli Equi nell’Alta e Media Valle dell’Aniene, in Enea nel Lazio, Roma 1981 (mostra) pp. 58-59; M. A. Tomei, Nota di topografia storica sul territorio degli Equi: tentativo di identificazione dell’antica Vitellia, “SocTib“, LIV, 1981, pp. 41-43.

42 – Liv., X.3.13.

43 – Liv., II.30.48.53, III.25, III.1.4.6.8.25.66, IV.49.51.53.55.

44 – Liv., III.23.25.27.30, IV.45.

45 – Liv., II.39, III.26.28.30.

46 – Liv., III.23.

47 – Liv., IV.49, VI.2.

48 – Liv., II.39, V.29.

49 – Liv., X.1.

50 – Liv., X.3.13.

51 – Chr. Hulsen, in RE, 1, 1896, s.v. Aequi, c. 597;M. A. Tomei, Gli Equi nell’Alta e Media Valle dell’Aniene, in Enea nel Lazio, Roma 1981 (mostra) pp. 58-59.

52 – Fest. 4M; Sil.Ital., VIII.507; Ptol., III.1.50.

53 – G. Devoto, Gli antichi Italici, Firenze 1931 (ed. 1977), p. 112.

54 – G. De Sanctis, Storia dei Romani, Roma 1907, II, p.340.

55 – E. Abbate, Guida dell’Abruzzo, Roma 1903, p. 276.

56 – Plin., III.106.

57 – G. Grossi, L’assetto storico urbanistico nel territorio del Fucino nel periodo italico, in “Profili di archeologia marsicana“, 1980, nn. 56,57,58.

58 – V. Cianfarani- L. Franchi Dell’orto- A. La Regina, Culture adriatiche antiche di Abruzzo e di Molise, Roma 1978, p. 19.

59 – Chr. Hulsen, in RE, 1, 1896, s.v. Aequi, c. 597;M. A. Tomei, Gli Equi nell’Alta e Media Valle dell’Aniene, in Enea nel Lazio, Roma 1981 (mostra) pp. 58-59.

60 -  G. Lugli, La tecnica edilizia romana , I, Roma 1957, pp. 68-75.

61 – G. Grossi, L’assetto storico urbanistico nel territorio del Fucino nel periodo italico, in “Profili di archeologia marsicana“, 1980, p.153, n. 102.

62 – Quilici 1987 p. 270.

63 – A quota 1018 m., si rinvengono i resti di una chiesa. L’impressione che si riscontra a prima vista è quella della presenza di almeno due terrazzamenti, i cui muri di contenimento non sono visibili a causa del riempimento che forma un leggero declivio staccato ai margini dei probabili terrazzamenti. La presenza della chiesa e dei terrazzamenti, nonché il ritrovamento di una ‘stipe’ votiva – deturpata da clandestini – testimoniano una sicura pertinenza cultuale del complesso architettonico. I materiali votivi frammentari, che si sono stati rinvenuti sparsi sul terreno sono relativi a teste, particolari anatomici e frammenti di ceramica a vernice nera relativi a patere, ciotole e skyphoi. Il materiale si può datare dal III al I sec. a.C.

64 – G. Grossi, L’assetto storico urbanistico nel territorio del Fucino nel periodo italico, in “Profili di archeologia marsicana“, 1980, p. 137, p. 160 e n. 115.

65 – R. Peroni, Per una definizione dell’aspetto culturale “subappenninico” come fase cronologica a sé stante, “AttiAccLinc” Ser. 8, 9, 1959, p. 3 sgg.; De Nino, in NS, 1880 p. 384 n. 48, 33a e fig. 159.

66 – G. Grossi, L’assetto storico urbanistico nel territorio del Fucino nel periodo italico, in Profili di archeologia marsicana, 1980, p. 161.

67 – Italia Preistorica, a cura di Guidi e Piperno, Roma-Bari 1993, p. 441.

68 – Vedi nota 13.