CERVARA DI ROMA: UNA EPIGRAFE DEL 1577 DEDICATA AI COLONNA

CERVARA DI ROMA: UNA EPIGRAFE DEL 1577
DEDICATA AI COLONNA

di Artemio Tacchia

Cervara di Roma, minuscolo e suggestivo paese della Valle dell’Aniene, aggrappato alla roccia fino a formare un’unica scultura con la montagna, incuriosisce i visitatori anche per una pietra, questa volta non naturale e rugosa come quelle calcaree ma levigata e scritta circa quattrocentotrenta anni fa, da o per conto di un certo Matteo Greco, fedele suddito dei Colonna, i quali in quei tempi erano padroni di Subiaco e dei castelli abbaziali.
Si tratta di una epigrafe murata  dentro un arco e collocata sopra il portale di una abitazione in via S. Antonio 1, nell’antico quartiere Borgo. E’ rimasta per secoli celata alla gente e agli studiosi, ricoperta dall’inconfondibile patina nera che causano l’incuria e gli agenti atmosferici sul marmo e sulla pietra calcarea. E’ tornata alla luce una decina di anni fa, quando fu ripulita dal proprietario della casa. Così noi l’abbiamo potuta leggere, trascrivere ed, infine, tradurre (1).
L’epigrafe, scritta su una lastra di pietra calcarea locale con bordi irregolari, è divisa in due parti da un piccolo scalino: nella zona superiore c’è scolpita in rilievo una colonna con sopra la corona, stemma della nobile famiglia romana, che interrompe l’anno d’iscrizione e separa il nome dal cognome di colui che la scrisse o la commissionò. Presenta, inoltre, due piccole mammelle con un foro centrale nelle quali, probabilmente, alloggiavano le grappe di ferro per sostenerla. Nella parte inferiore, invece, in otto righe con lettere abbastanza regolari, è riportata la seguente “ode” a questo casato:

1577
MATTeO                            gReCO

VIVA COLONA CHE SEMP     STA    PEDI
MA CUI  POENIA  MAI  FAR  MANCATA  CHE
IHE VALLENE ACCAVAL ET AD PEDI CON SP
ADA IN MANO E CON MAZZA FERRATA SOP
IL DESTRIER CO’ L’ARMATUR IN DOSSO PA
URA NOCE CHE SE NI FACCIA TORTO QUESTO
SI SA DAPRESSO E DALLA IUGIA VIVA In
CARDNA   CO’ CASA   COLOnA

[1577 / Matteo [luogo dello stemma] Greco / E’ viva la Colonna che sempre sta in piedi / nonostante ad essa mai la sofferenza è mancata / ella  va per la valle a cavallo e a piedi con  / la spada in mano e con la mazza ferrata sopra /  il destriero con l’armatura indosso / la paura non la nuoce anche se le si fa un torto questo / dove tu  sei ti è vicino e dalla unione reale/ con la casa Colonna si è in vantaggio] .

I Colonna a Subiaco
Di questo Matteo Greco non si sa nulla. Certamente era cervarolo, visto che  nel 1703 un Francesco Greco, forse suo discendente, è stato priore della potente Confraternita della Portella e che ancora oggi questa famiglia abita in paese. Nel XVI secolo Matteo doveva occupare un posto non secondario nella Comunità, altrimenti questo genere di manifesto propagandistico non sarebbe riuscito ad arrivare fino a noi.  Non tutti, infatti, potevano permettersi di parteggiare in maniera così dichiarata per i Colonna in tempi molto incerti e  insidiosi. Grande era l’odio che nutriva il clero benedettino, infatti, verso l’abate commendatario  e non doveva essere da meno quello dei vessati contadini del posto.
In quegli anni Cervara era un castello appartenente all’abbazia sublacense della quale erano abati commendatari, fin dal 1492, i Colonna. Nell’anno che Matteo Greco fece scolpire l’epigrafe sopra riportata, il cardinale Marcantonio Colonna, governava la Commenda.
Riconciliato col papa, la resse da “principe illuminato” (qualche studioso locale così lo definisce con l’intento di contrapporlo agli altri abati Colonna, in particolare Scipione e Pompeo, acerrimi nemici del papato) dal 1559, morte di Francesco, fino al 1592, abitando nella Rocca sublacense e  mantenendo relativamente tranquilli i centri  soggetti all’abbazia. A differenza dei periodi precedenti segnati da guerre, distruzioni e epidemie, con Marcantonio ci fu una sorta di “rinascita”, pagata, comunque, con salate tasse dalle popolazioni locali.
A Subiaco costruì la chiesa di S. Andrea, fece impiantare la cartiera (1587), edificò il convento dei cappuccini (1575) e quello delle suore (1578), aprì scuole pubbliche, combatté il brigantaggio, terminò i lavori di restauro della Rocca iniziati da Francesco Colonna. In questo “nuovo” clima (che però il successore Ascanio guasterà nuovamente) fu facile anche per il nostro Matteo Greco, pensiamo, collocare sulla sua casa la memoria che esaltava la forza, il coraggio e la benevolenza della famiglia Colonna. Sei anni prima l’ammiraglio Marcantonio Colonna, tra l’altro, aveva sbaragliato i Turchi a Lepanto (1571) e vivo era ancora il ricordo del grande trionfo che gli aveva tributato Roma e che lo Zuccari aveva appena affrescato (o stava ancora realizzando) nel salone della Rocca sublacense.
Questi fatti, pensiamo, bastarono a giustificare l’entusiasmo con il quale il Greco volle sottolineare  la vitalità della casa Colonna a dispetto delle tante sofferenze e sconfitte che anni prima aveva dovuto subire ad opera degli Orsini e sopratutto da parte di papa Clemente VII nel 1526 ( questi, in guerra col cardinale Pompeo, ordinò la distruzione di quattordici castelli tra i quali Subiaco e certamente  Cervara) e il papa Paolo IV che,  nel 1556, fece altrettanto contro  l’abate Francesco.
L’abate Marcantonio, allora, gli sembrò, al pari del suo parente più famoso, un principe autorevole, fiero dentro la possente armatura, maestoso a cavallo o a piedi con le armi (spada e mazza ferrata) sempre pronte ad essere usate contro chi avesse osato minacciare i suoi possedimenti, i suoi amici o ribellarsi alle sue disposizioni. E come lui tutta la casa Colonna. Certo è  che, con questa epigrafe, il nostro Matteo Greco non voleva soltanto dichiarare fedeltà ai Colonna, ma sicuramente mirava ad ammonire gli altri cervaroli, in qualche maniera intimorirli, piegarli ai suoi particolari interessi, utilizzando furbescamente proprio la presunta protezione dell’abate  commendatario.

Una epigrafe utile anche ai linguisti
Al di là dell’interesse storico o della semplice curiosità, questa epigrafe restituisce anche un documento importantissimo ai linguisti. “Il testo – scrive, il prof. Paolo D’Achille – rientra in quella produzione cinquecentesca di epigrafi in versi documentata nel Lazio nelle epigrafi di Carpineto Romano studiate da Sabatini” (2).
Nella Valle dell’Aniene, inoltre, questo testo va a unirsi all’altro più antico di quasi cento anni (1486) facente parte dell’affresco di Desiderio da Subiaco nella cappella di S. Sebastiano presso la chiesolina della Madonna del Riposo a Trevi nel Lazio e che sorprendentemente mostra lo stesso tipo di grafia, la E congiunta all’H e la A inserita nella M. Il che lascia intendere la presenza d’una maniera di scrivere propria di una scuola che operava entro i confini dell’abbazia sublacense.
La forma linguistica, al contrario, li differenzia: quello trebano è un testo “volgare”, ricco di vocaboli locali; quello cervarolo è un “ibrido”, dove prevalgono le forme latineggianti e  influenze letterarie toscane proprie del secolo XVI, definito dagli studiosi “un momento di trapasso non solo linguistico, ma anche di atmosfere culturali”.

1- La notizia della scoperta, avvenuta il 13.8.1996, è stata pubblicata su Hinterland del 24.8.1996 e poi ripresa dai quotidiani della Capitale e dal Tg Lazio della RAI. Ha collaborato alla traduzione dell’epigrafe la dott.ssa Elisabetta Folgori.
2- Rivista Italiana di Dialettologia, a. XX (1996), 15. Lazio, 324, a cura di P. D’Achille.