CHI HA SCRITTO PER PRIMO LA REGOLA?
POLEMICHE NEL MONDO BENEDETTINO A SUBIACO
di Bernardino Ciocari
Non accenna a placarsi la polemica che divampa tra gli studiosi (o i tifosi?) del mondo benedettino, in particolare intorno alla Regola scritta da S. Benedetto. Quasi tutti gli esperti ritengono, ormai, che sia stata scritta prima quella cosiddetta del Maestro, forse l’abate Boboleno, terzo successore di san Colombano a Bobbio (642-653). Ma alcuni studiosi sublacensi resistono e continuano a ritenere scritta prima quella di S. Benedetto. Tra questi, il professor Ciocari. Aequa ha deciso di pubblicare un suo intervento sulla questione, senza che questo voglia significare sposarne l’opinione. (N. d. R.)
Sono stati pubblicati recentemente gli “Acta delle Celebrazioni Benedettine 1999-2001” a Subiaco, nei quali è riportata la relazione del famoso studioso benedettino p. Adalbert De Vogüé sul tema: “La Regola del Maestro e la Regola di San Benedetto in relazione con i primi monasteri” (1).
Il tema in verità è stato appena sfiorato, anzi per quel che riguarda la Regola di S. Benedetto (la parte più attesa, considerati il luogo, l’uditorio e la circostanza) nemmeno una parola; eppure c’era da dire qualcosa di più vicino alla realtà rispetto alla ipotizzata, evanescente presenza della Regola del Maestro. Lo studioso stesso accenna altrove a “La Régle, que Benoit avait donnée a ses fundations” prima di partire per Montecassino (2). Il suo vero scopo sembra essere quello di esporre le proprie idee sulla questione pluridecennale dei rapporti tra le due Regole esaltando quella del Maestro: una Regola che, tre volte più estesa, non è, come si è ritenuto unanimemente per 15 secoli, un ampliamento ampolloso della Regola di S. Benedetto, ma, a questa anteriore, è sua fonte principale, anzi “in qualche modo una brutta copia” della quale S. Benedetto si sarebbe servito per scrivere la sua (3).
Il De Vogüé non accenna a prove, ma si limita a dire che “un consenso quasi generale sembra essersi manifestato in favore” della anteriorità della Regola del Maestro; in compenso sembra volerne proporre una indiretta, ma in certo modo risolutiva, cioè il silenzio cui sarebbero stati ridotti i pochi rimasti fedeli alla vecchia visione: un certo numero di autori più o meno riconosciuti, che, non potendo sostenerlo con argomenti convincenti, giungono a dichiarare il dibattito “senza interesse” (4). E cita come primo esponente di questi autori la docente di filologia Christine Mohrmann, riesumando curiosamente una sua opinione espressa di passaggio nel corso di una lezione sulla “Lingua di S. Benedetto”, tenuta nel 1972 alle maestre delle novizie cistercensi e rimasta sepolta negli Atti del Convegno (5). Certo, se l’intenzione è quella di rafforzare “il quasi generale consenso”, la scelta non poteva essere migliore: la Mohrmann infatti non era una comune docente di filologia, ma “eminente e rimpianta” e il suo nome figura tra gli studiosi che egli (6) ringrazia per i pareri dati per l’edizione critica della Regola del Maestro (7): una testimone quindi molto importante.
Ma è qui che, considerata la fama dello studioso, viene in mente l’oraziano “Quandoque bonus dormìtat Homerus” (talvolta sonnecchia anche il grande Omero) (8): infatti, se si è fortunati ad avere una copia del ciclostilato, si constata che la Mohrmann, lungi dal far sospettare una qualche penuria di “argomenti convincenti”, espone chiaramente una ben motivata teoria diversa dalla sua; e, quanto al dialogo, non dice che è “senza interesse”, ma che, a suo avviso, gli è stato dato troppo spazio, anche perché le sembra scaduto, in questi ultimi anni, al livello di esercitazione di fantasia: “Les discussions sur les relations de la Règle du Maitre et de la Règle de Saint Benoit, ou peut-être l’inverse, devenant, à mon avis, de plus en plus fantaisistes, ont occupè, ces dernières années, une place, que j’oserai dire exagérée dans les études concernant la Règle” (9).
Un giudizio più che severo, distruttivo per un dibattito di critica letteraria e che non può non riferirsi in modo particolare al p. De Vogué, che proprio nel 1972 pubblicava il primo dei tre volumi del commento storico critico (10) della Regola di S. Benedetto e che era già considerato il più autorevole sostenitore della rivoluzionaria tesi avanzata dal confratello e conterraneo p. Genestout. In sostanza, trent’anni prima la Mohrmann rimprovera al p. De Vogüé quello che egli le rimprovera nel 2000.
Un giudizio severo è anche quello di monsignor Michele Tosi, che egli cita solo per dirsi non convinto del luogo (Bobbio) e della data di nascita della Regola del Maestro (sec. VII) da lui indicati (11). Monsignor Tosi, facendogli presente la necessità di un riesame di tutta la questione, accenna alla esigenza che venga fatto, come ha già fatto lui, “con il conforto dell’undecimo grado della scala dell’umiltà di S. Benedetto: Pauca et rationabilia verba loquatur” (il monaco dica poche parole e ragionevoli) (12).
Una critica così severa alle opinioni di uno che, più di ogni altro, si è occupato della questione, tanto da farne il punto terminale di un poderoso programma preparatorio (edizione critica e traduzione francese della Regola del Maestro, edizione critica della Regola di S. Benedetto, definita dal Tosi “un lavoro immenso”) non si concepisce senza una cognizione adeguata delle sue opere, specialmente delle conclusive, cioè dei volumi del commento della Regola di S. Benedetto nei quali, secondo il programma, ha trattato la questione.
Ma un incoraggiamento devono anche averlo avuto dall’analisi della dichiarazione premessa nella prefazione al primo dei tre volumi: “Quanto ai rapporti della Regola del Maestro e della Regola di S. Benedetto non abbiamo concepito il nostro commento come dimostrazione di una tesi, ma come una raccolta di osservazioni fatte giorno per giorno, supponendo senza dubbio, fino a prova del contrario, l’anteriorità del Maestro” (13). Dunque, dopo tanto impegno, riporta la questione all’inizio e in una posizione più incerta e rinunziataria. Padre Genestout, annunziando la clamorosa novità, portò delle prove e credette di essere riuscito a confermarla: lui, suo fedele interprete, dopo aver suscitato tante aspettative, ritiene che non sia nemmeno il caso di provarci, ma che bisogna contentarsi del “generale consenso” in qualche modo ottenuto, lasciando ad altri l’ingrata fatica di provare il contrario.
E’ il caso di dire, parafrasando quanto egli ha detto degli “autori più o meno riconosciuti” che p. De Vogüé, non potendo dimostrare con argomenti convincenti la sua tesi, ricorre alla “inversione dell’onere della prova”. L’abile trovata ha avuto un successo superiore forse alle aspettative; se però può rendere ragione del prossimo di continuare il discorso all’infinito, anche per evitare la dichiarazione del fallimento di una iniziativa non sufficientemente ponderata, si risolve di fatto in una conferma della plurisecolare tradizione, perché, come già dicevano i Padri del Diritto: “Le prove spettano a chi solleva le questioni: Probatio ei qui incumbit”.
Una conclusione così problematica non deve nemmeno essere sospettata dagli scrittori che, pubblicando per qualsiasi motivo su S. Benedetto, generalmente, la diffondono come una certezza non più discutibile, come non sospettano che, almeno una volta, p. De Vogüé dubita che S. Benedetto abbia conosciuto la Regola del Maestro (14). Ciò naturalmente non dispiace a p. De Vogüé, il quale, anzi, ormai padrone del campo, va sempre avanti e promuove la non dimostrata anteriorità alla dignità di una “in qualche modo brutta copia della Regola di S. Benedetto”.
Un altro autorevole benedettino, “semplificando”, così riassume l’opinione comune: “Un quarto della Regola di S. Benedetto è presa totalmente da quella del Maestro, due quarti ne sono fortemente influenzati, un altro quarto sembra non avere alcuna relazione con essa”. Non può meravigliare quindi il successo che sta avendo l’affermazione, trasmessa anche da una importante radio cattolica, che in seguito a questa “problematica è stata ridimensionata la figura di S. Benedetto come iniziatore assoluto”: una affermazione, che oltretutto rivela poca dimestichezza con la sua Regola, nella quale (cap. I) il santo Patriarca presenta l’istituto monastico già così adulto da manifestarsi in quattro specie diverse; e non dice di volerne inventare una quinta, ma solo che intende di organizzarne una, “la fortissima specie dei cenobiti”: ciò che avendo fatto egregiamente gli ha procurato la grande fama.
Per arginare almeno simili uscite, manifestamente arbitrarie, è forse giunto il momento di accogliere l’invito a un riesame dell’intera questione, rivolto dal citato monsignor Tosi al padre De Vogüé, che, pur rimanendo fermo nelle sue convinzioni, non si dice contrario, ma lo considera un evento fisiologico, quando, rispondendogli, lo ringrazia “di avergli ricordato, tra le altre cose, che non bisogna mai disperare di una tesi di storia letteraria. Buona o cattiva, presto o tardi riprenderà vita” (15).
1- M. A. Orlandi (a cura di), Acta. Celebrazioni benedettine 2000-2001. XV Centenario della venuta di S. Benedetto a Subiaco, 2002, Subiaco.
2- A. De Vogüé, La Règle du Maître et le Dialogues de S. Greogoire, 1965, Paris, p. 54.
3- Acta, op. cit. p. 119.
4- Ibidem.
5- C. Mhromann, La langue de S. Benoît, in La Règle de S. Benoît. Seminaire pour Maîtresses cisterciennes, 1972, Laval, p. 26.
6- Acta, p. 120.
7- A. De Vogüé, op. cit., introduzione p. 13.
8- Orazio, Arte poetica, v. 359.
9- C. Mhromann, op. cit., p. 26.
10. A. De Vogüé, La Règle de S. Benoît. Commentaire, t. IV-VI, 1971, Parigi, pp. 184-186.
11- M. Tosi, La presenza della Regula Benedicti nel monastero di S. Colombano a Bobbio, in Archivum Bobiense 3, 1981, pp. 7-58.
12- M. Tosi, op. cit. n,ri X-XI, 1988-1989, p. 101.
13- A. De Vogüé: Quant aux rapports de Benoît avec le Maître, nous n’avons concu notre commentaire comme la demostrations d’une thèse, mais comme un recueil d’observations faites aujour le jour, à mesure que nous avancions. Sans doute avons-nous habituellement supposé, jusque à preuve du indice du contraire, l’anteriorità du Maître. (Commentaire, tomo IV, introductions, p. 13).
14- A. De Vogüé, op. cit. , Vol. V, p. 616.
15- A. De Vogüé, in Collectanea Cistercenses- Revue de spiritualité monastique, n. 150, 1988, pp. 301-302.