di Annita Garibaldi Jallet
L’arrivo a Riofreddo, per trascorrervi la prima estate, presumibilmente quella del 1893, di Ricciotti e Costanza Garibaldi, e dei loro numerosi figli, crea interesse, curiosità, emozione. Ricciotti, quarto figlio di Giuseppe ed Anita, è già noto per le sue imprese militari. Si é distinto accanto al padre negli ultimi fatti d’arme del Risorgimento, a Mentana e Monterotondo, e nella guerra franco-prussiana. Ricciotti si é anche fatto un nome in proprio, con le sue scelte politiche a favore della democrazia radicale, i suoi contatti con la Comune de Paris, con Marx e Bakunin a Londra. Engels gli ha testimoniato stima, anche per il suo contrasto con Mazzini, maturato dai tempi di Mentana.
Noto anche per la sua vita avventurosa in Australia, dal 1874 al 1881, non rientra nei ranghi in Italia: si rivelerà poco dotato per la vita parlamentare, dove invece eccelle il fratello Menotti, e per l’attività imprenditoriale, ove compromette le già scarse risorse della famiglia. Si ritrova implicato in alcune vicende giudiziarie. Dalla voce “Ricciotti Garibaldi” del Dizionario Bibliografico Treccani, di recente pubblicazione, risulta, finalmente, una rilettura della sua vita che pone un minore accento sugli aspetti negativi, eccessivamente accentuati finora, mentre lui stesso riuscì a fugare la maggior parte delle calunnie: Il Prof. Monsagrati ricorda il grande progetto che lo animava, la spinta ideale, quasi visionaria, alla quale dedicò la sua vita, piegò l’esistenza della consorte e della maggior parte dei suoi figli.
Il personaggio, rivisto con il distacco del tempo, sottratto alle liti della politica e della famiglia, ed esaminato, se é consentito all’autore di questo articolo, con animo migliore, appare anch’esso attorniato dall’aureola del romanticismo che tanto si addiceva al padre. Se il volo dell’aquilotto non ebbe la gittata del padre, lui seppe volare. Seppe anche scegliere una compagna straordinariamente atta a raccogliere con lui la difficile eredità.
A Riofreddo, in ogni caso, si va ad insediare una famiglia dall’ampia notorietà. Tutto il paese ha dato il meglio di se per consentire questo approdo, e contribuito, talvolta con i mezzi di bordo, alla costruzione del grande e imponente edificio che la famiglia chiamerà il Castello di Riofreddo, ed al quale si addice bene il nome odierno di Villa Garibaldi. La cittadina è beneficiata da una celebrità nuova e inattesa. Sulla scelta di Riofreddo, ci sono molte interpretazioni: un bel ricordo del paese, appena intraveduto nella ritirata da Mentana, riscoperto in occasione della inaugurazione della ferrovia Roma-Sulmona. O forse la semplice esigenza di offrire un soggiorno estivo alla numerosa famiglia, con la possibilità per tutte queste giovani bocche di sfamarsi, nonostante le ristrettezze domestiche, con prodotti che la terra, qualche stalla, alcuni animali, oltre ad una generosa mano d’opera, possono offrire. Costanza vi svilupperà l’orto, il pollaio, produrrà miele da offrire, ai visitatori ed ai bambini del paese, latte, vi terrà asino, mucca, cavallo…e fiori, alberi da frutta restituiranno alla famiglia un lusso genuino molto vittoriano.
Ma la famiglia Garibaldi non si trasforma in una bella squadra di gentiluomini di campagna. La vita politica, mondana, pubblica, li accompagna nella nuova dimora dove sono ricevuti protagonisti della vita internazionale, attratti dall’intraprendenza e dalla perpetua inventiva di Ricciotti, e politici italiani che sanno che il nome dell’Eroe dei due mondi ancora pesa presso la pubblica opinione. Sembra, infatti, che proprio per questa popolarità, il Governo non abbia creduto di potere sanzionare Ricciotti per quello che lui stesso chiama i suoi “disastri industriali” e gli abbia consigliato un allontanamento da Roma e comunque dall’attività politica industriale, il cui luogo sarebbe stato individuato in Riofreddo. E altresì vero che durante l’anno 1893 scoppio a Roma un’epidemia di colera che potrebbe anche essere la causa dell’allontanamento della famiglia. ma risulta che a quel momento una parte della casa era già pronta, e dunque l’aria insalubre di Roma non fu la causa della scelta di costruire la grande dimora, mentre spiega probabilmente che la famiglia vi dimorò anche oltre l’estate nei primi anni.
Ricciotti ha 45 anni, la moglie Costanza festeggia i quarant’anni, e non ha chiuso con la costituzione della famiglia, che si allargherà ancora con due nuove nascite. Ma Costanza può già contare sul valido aiuto delle due figlie maggiori, Constance Rosa e Annita Italia, nate rispettivamente nel 1876 e nel 1878 in Australia, cosi come il fratello Giuseppe, detto Peppino, quattordicenne nel 1893, che chiude la triade australiana. Per la verità, un’altra bambina, Irene Teresa, muore poco dopo la nascita nel 1880, ed è tuttora ancora sepolta nella lontana terra.
Dell’Australia, si afferma che per Ricciotti fu terra d’esilio voluta dal padre. Ma ulteriormente, Ricciotti e lo stesso Giuseppe Garibaldi affermarono che la partenza non fu dovuta a qualche intemperanza di Ricciotti, ma ad una scelta libera del giovane, che aveva appena sposato a Londra Harriet Constance Hopcraft. La nuova coppia partì, infatti, poco dopo il matrimonio, celebrato nella Chiesa di Saint James, nel quartiere di Westminster, il 2 Luglio 1874.
La sposa, di religione anglicana, appartiene ad una famiglia benestante. Suo padre, William Hopcraft, e sua madre Elisa Arch, risiedono in una villa nei dintorni di Londra, ad Annerley, nel Surrey, non ancora raggiunta dalla popolazione misera che si sarebbe nei decenni successivi ammassata a Londra, trasformandone i ridenti borghi, poco a poco inglobati, in periferie della prima città industriale del mondo. Assieme a Constance, nata ad Annerley il 22 Agosto 1853, vivono due fratelli, una sorella e due domestici, mentre un fratello maggiore abita un’altra villa poco distante.
Il padre di Constance, William Hopcraft, é un printer, tipografo-editore della City. La professione é importante: tra la tipografia e l’editoria, esercitava un ruolo determinante nella circolazione delle idee, in un periodo di grande sviluppo della carta stampata. La City, il cuore di Londra, era il luogo dove si sviluppava quel fermento di democrazia radicale e repubblicana che attraeva a Londra il giovane Ricciotti. Che sia stato qualche impegno politico a condurre Ricciotti nella famiglia Hopcraft? Passeremo al romanzo. Ma é vero invece che al matrimonio fanno da testimoni due italiani, e che la cerimonia avviene nella parrocchia nella quale risiede lo sposo. Da li ad immaginare un dissenso della famiglia Hopcraft, ed ecco un’altro salto avventuroso.
Due preziose fotografie incorniciate in legno lavorato, che appartengono al Museo Garibaldino di Porta San Pancrazio a Roma, ci rivelano l’immagine dei due giovani, lui scuro di cappelli, con un vezzoso ricciolo sulla fronte, le sopracciglia folte e le labbra carnose, vestito di una preziosa divisa, lei deliziosa giovane – sembra meno ancora dei suoi 21 anni- fiori negli abbondanti capelli raccolti a chignon ed ornati di pizzo, un volto solare, grandi occhi chiari, l’ovale pieno della gioventù. Costanza sposava un giovane romanticamente aureolato dall’avventura, quella del padre ma cui lui non sembrava venire meno (risulta sul certificato di nozze General of Italian Volontary Army e bachelor) con quella rivolta giovanile che tanto piaceva, e portava un nome che faceva sognare gli inglesi “vittoriani”, cosi romantici, cosi seri anche nell’essere romantici, figli di Byron da una parte e di Cobden dall’altra, e comunque tutti convinti sudditi della Regina. Nei rapporti con Garibaldi, aveva dato un distinto esempio.
I documenti australiani ci fanno sospettare la nascita di un primo bambino, chiamato anch’esso Giuseppe, che all’arrivo in Oceania sarebbe già morto. Ma lo stesso documento riporta una data sbagliata per il matrimonio, e nei registri di Londra non si trova traccia di questo neonato. Lasciamo al mistero questo inizio tumultuoso di una coppia per sempre saldamente unita, dove lo spartito fu scritto da Ricciotti, ma nessuna sfumatura della esecuzione rimase estraneo alle straordinarie capacità ed al coraggio della sua consorte. Lei, sempre dal certificato di nozze, risulta senza istruzione. Questo significa che è stata educata a casa, perché Costanza era ampiamente provvista d’istruzione e di cultura.
E molto probabile che la determinazione a fondare una casa a Riofreddo, non solo una dimora estiva ma la vera e propria casa della famiglia di Ricciotti Garibaldi, sia nata dalla situazione nella quale si é trovato Ricciotti alla morte del padre Giuseppe. Negli anni che seguirono la guerra franco-prussiana, Giuseppe tentò di consolidare la posizione dei figli nati dal matrimonio con Anita, e in particolare di creare per Ricciotti un’attività a Caprera, affidandogli lo sfruttamento delle cave di granito dell’isola. Erano d’ottimo rendimento ed avrebbero consentito al figlio di rimanere più vicino al padre, progetto che non fu poi possibile realizzare per almeno due ragioni: il divieto messo dal Governo a concentrazioni d’operai nell’arcipelago della Maddalena, importante postazione militare, e il malanimo di Francesca Armosino, ultima moglie di Giuseppe, coetanea di Ricciotti e madre di giovani figli sui quali intendeva concentrare le attenzioni del padre. Il testamento di quest’ultimo lasciò poco spazio a Caprera ai figli d’Anita, che ne furono rapidamente allontanati, e i vari tentativi di Ricciotti, talvolta violenti, trovarono il loro sbocco nella sentenza del Tribunale di Tempio che lo escludeva da ogni diritto, anche d’uso, sulla casa del padre.
La casa di Riofreddo diventa, di conseguenza, e soprattutto dopo la morte di Menotti e di Teresita, fratello e sorella di Ricciotti, ambedue scomparsi nel 1903, il luogo della continuità della tradizione garibaldina.
Costanza impone nella vita privata quel rigore, quella dignità che accompagnano perfettamente le vedute epiche di Ricciotti. In casa si parla inglese, non solo tra gli sposi ma con i figli, e si pratica la religione anglicana, Ricciotti a parte. Tuttavia Costanza non interpreta rigidamente la sua religiosità, se tra gli ospiti più frequenti di casa Garibaldi a Roma e a Riofreddo ci sono i più noti esponenti della Massoneria, e in particolare il Gran Maestro Ettore Ferrari, particolarmente devoto a Costanza, attento alle sue iniziative d’ordine sociale ed al suo talento artistico. Ma ci sono anche i massimi esponenti della Chiesa anglicana di Roma, che battezzano i nascituri e che intrattengono con Rosa e Italia dei rapporti costanti e approfonditi anche nelle loro ricadute politiche.
Tutto questo non rende facile il rapporto con la comunità riofreddana, tutta intera concentrata sulle attività della pastorizia, dell’artigianato, di tradizione cattolica, con la quale Ricciotti non trova probabilmente molte affinità. Il personaggio centrale della vita riofreddana dei Garibaldi é invece Costanza, che stabilisce, soprattutto con le donne del paese ma anche con tutti quelli che vi esercitano un ruolo sociale, sindaco, medico condotto, forze di polizia e militari di stanza, un rapporto d’intensa collaborazione sempre orientata a beneficio della collettività. A Costanza vanno sempre affiancate le figlie Rosa e Italia, ognuna per i suoi particolari talenti. Artista, archivista, cultrice della casa e del giardino, la primogenita Rosa. Italia dotata di un forte senso dell’organizzazione, e di una forza di volontà non indifferente, attenta a tessere la trama, nei contatti con il mondo ed in particolare con i fratelli quando vi si disperderanno. Si adopera nella raccolta d’ogni tipo di documentazione, testimonianza, cimelio. Dopo la morte di Ricciotti si farà portatrice dell’interpretazione ortodossa di una tradizione che si andava dilaniando tra i risvolti di una vita politica ormai carica d’altre esigenze. Chi meglio di lei e Rosa avevano conosciuto Ricciotti e Costanza ?
Ricciotti visse fino al 1924 in quel luogo alla sua misura (gigantesca casa, ampio parco, boschi e spazio all’infinito sul pendio degli Appennini) considerandosi l’unico interprete, per legge di sangue, della tradizione del padre, e confortato da dieci figli, di cui sette maschi. Essi venivano lanciati nelle sue ultime imprese interventiste, i più grandi già nel 1897 in Grecia, e tutti, donne comprese, tra le dame della Croce Rossa, ancora in Grecia nel 1912 e nelle campagne delle Argonne in Francia nel 1914-1915. La morte di Bruno e Costante sul fronte delle Argonne, cambia per sempre la vita di Costanza.
Concludendo le ” Memorie eroiche ” di Ricciotti Garibaldi, dettate dallo stesso protagonista a G.A. Castellani, l’autore scrive, a proposito di questa tragedia: “Ed ora la pagina gloriosa é rievocata. Ma prima che io mi stacchi d’essa, devo rivolgere la parola ad una donna. Voi, donna Costanza, mostrandomi le due camice rosse Di Bruno e di Costante afflosciate e deposte nell’urna, mi mormoraste con voce afflitta ” Io non ho più sole! ” ed io perplesso davanti alla due reliquie trassi un lieve sospiro e non risposi…Non risposi perché avrei dovuto dirvi troppo e con voce troppo calda e inopportuna in quel momento ed in quel salotto, dove agli antichi ricordi oggi si sono aggiunti i nuovi. Ma quella risposta, donna Costanza, io ve la do oggi, qui, alla fine di queste pagine gloriose.
Perché, o nobile donna, non avere più sole? No, donna Costanza, il vostro sole é sull’Argonna. Fissatelo: esso è bello, fulgido, perenne; fissatelo e indicatelo a tutte le madri che, come voi, videro nascere la vita eterna dei loro figli, là, sulle foreste della Francia.
Si, donna Costanza, io lo so: quelle due camicie smorte, afflosciate e deposte nell’urna, vi riportano col pensiero ai tempi giocondi e pieni di speranza, a quei tempi quando voi avevate i vostri figlioletti sulle ginocchia, a quei tempi quando dalla finestra della modesta dimora di Riofreddo vedevate i vostri bimbi schiamazzare col crocchio dei monelli del paese. Si, donna Costanza, io so che voi, fissando quelle camicie afflosciate, riprovate gli stessi palpiti, le stesse ansie, il medesimo orgoglio che voi provaste quando, dagli adolescenti Bruno e Costante, vedeste sorgere su i giovani saldi, forti, robusti; e so anche che in alcuni istanti voi, nobile donna, siete assalita da sensazioni, nelle quali per un misterioso ritorno del tempo, vi sembra di risentire gli stessi profumi, le stesse musicalità, gli stessi rumori che voi udiste in certi momenti, in cui carezzevole e beata eravate vicina ai vostri due figli…Si, donna Costanza, la mia anima giovane le conosce tutte le vostre sensazioni, i vostri ritorni, si, io lo so tutto il vostro dolore…”
Il Castellani conclude paragonando Costanza a Cornelia, madre dei Gracchi, e ad Adelaide Cairoli. (1) Ma dopo quelle due morti, a pochi giorni di distanza, la famiglia non ritrovò mai la sua spensieratezza e la serenità, e Costanza porterà per sempre gli abiti del lutto.
Annita Italia scrive, sottolineando l’abisso insorto tra l’impegno ideale dell’intervento in Grecia e le condizioni della Grande Guerra : “La guerra ! Noi che l’abbiamo vissuta non potremo liberarcene mai: Noi non possiamo fuggire in un’altra pare del mondo e dimenticarcene perché la sua impronta è nella nostra carne la sua violenza nel nostro cuore come cosa che solo la morte può sopire”. (2)
Dalla truppa femminile aveva disertato rapidamente Giuseppina, l’ultima figlia di Costanza, che sposò Giuseppe Ziluca, e andò a vivere negli Stati Uniti. Invece Rosa e Italia rimasero saldamente legate alla madre, custodi del tempio di una tradizione rinnovata e reinterpretata non solo da Ricciotti ma anche dalla sua consorte. Una tradizione già divergente dal messaggio di Garibaldi, ma dotata di una sua coerenza, di un orgoglio e di una vitalità che si esprime, appunto, anche attraverso la scelta di una casa come quella di Riofreddo. Un castello abnorme, dalla pianta rettangolare buttata lì tra due possenti torri, con l’aggiunta d’antiche stalle riunite ad ala di complemento, una terra dove affiora la roccia e che diventa parco esemplare…il miracolo di Costanza che, nello stile della dimora come nel tipo di rapporto che vi istituisce con i riofreddani e la gente dei vicini paesi, sa restituire alla sua famiglia lo stile ed il gusto particolare delle signore inglesi dell’era vittoriana. Mescolandosi all’impronta meno prolungata ma profonda lasciata da Ricciotti, la casa di Riofreddo ha un sapore inconfondibile, che attraverso la comune cultura inglese dei suoi artefici, riassume il desiderio di ritrovare una parte della magia di Caprera, e di scolpire nella pietra la possente eredità. Essa si traduce in un modo d’essere aristocratico e genuino nello stesso tempo, che mescola le sciabolate di Ricciotti sempre alle prese con la vita, alla linearità del comportamento di Costanza, sicuri ambedue d’essere portatori, sia per cultura sia per nascita, di una ragione di vita superiore, ricevuta in dono e da trasmettere ai figli, agli amici, al mondo circostante, quale dovere verso gli altri e verso se stesso, e quale diritto inalienabile, composto di gioie mordenti e di sofferenze ineffabili.
In un suo bel saggio, Françoise Barret-Ducrocq sintetizza efficacemente quale fosse il ruolo e la posizione sociale della donna vittoriana, e chi essa fosse. (3) Si rimanda a tale lettura, perché emerge un ritratto perfetto di Constance Hopcraft, o Costanza Garibaldi, nome con il quale Lei si presenta sempre dopo il matrimonio, fuorché quando scrive in inglese.
Il regno della Regina Vittoria, che si estende dal 1837 al 1901, lascia la sua impronta non solo sulla politica ma anche sulla cultura dell’Inghilterra, dell’Impero che si va costituendo, del mondo intero. Costanza nasce nel luogo, negli anni e negli ambienti migliori per essere fortemente impressa da quella cultura che arriva al suo apogeo a metà del secolo, é appena adolescente quando Giuseppe Garibaldi compie il famoso viaggio a Londra, nel 1864. Presumibilmente è quello il momento in cui Ricciotti, ospite di un collegio inglese, prende coscienza delle reali dimensioni del padre.
L’impegno sociale delle londinesi le porta nel cuore delle sfide del loro tempo. I grandi cambiamenti dovuti all’industrializzazione, al movimento delle popolazioni poverissime ed analfabete, dalle campagne alle città, ma pur sempre di popolazioni conduce la borghesia ad interessarsi alla categoria miserabile della metropoli con lo stesso animo con il quale guarderanno più tardi alla condizione dei “selvaggi” delle colonie. La filantropia inglese, che si manifesta attraverso la costituzione di migliaia d’associazioni destinate ad aiutare i poveri, produce innumerevoli studi sulla condizione di questa povera gente, le cause e conseguenza dell’indigenza, l’abitato, l’igiene, le abitudini morali. Nella pratica, sono le donne che, dedicandosi sul terreno a sollevare tanta miseria umana, forniscono per cosi dire il materiale per la ricerca, al punto di potere elaborare statistiche attendibili. Si da vita ad importanti Commissioni d’inchiesta da parte dei due rami del Parlamento, a studi sociologici, ad inventari che le Chiese, ed in particolare le varie Chiese protestanti, non mancano di praticare anche tra i loro credenti. Le donne escono da casa per partecipare alla vita della collettività.
Ai codici stretti di comportamento imposti alle giovani delle famiglie borghesi si sostituisce dunque, specialmente nella capitale, una presenza di donne d’ogni età presso gli ambienti meno favoriti, per portarvi il messaggio cristiano dell’altruismo ed esercitarvi il dovere dell’educazione, la propria conoscenza delle cure della salute e dell’igiene. Visitano le case insalubri, le prigioni, le fabbriche, e finiscono con raggrupparsi in associazioni unicamente femminili dove tutte assieme organizzano il loro lavoro dividendosi i quartieri della città, i problemi da risolvere, in uno spirito non caritativo, é importante rilevarlo, ma di riforma sociale, orientato sia all’educazione delle masse, sia all’informazione della classe politica su questi problemi. Contribuiscono allo sviluppo della carità pubblica, all’assistenza solo quando è indispensabile, si appoggiano a parrocchie e comuni, evitando di sviluppare la centralizzazione dell’opera sociale. La loro e un’opera riformista, che non nasconde il suo scopo di evitare la destabilizzazione della società. e di diffondere le virtù di una società borghese, allargandola potenzialmente a chi merita di accedervi.
Il ruolo delle associazioni è fondamentale anche perché nel loro seno si formano donne capaci di gestire e amministrare gigantesche organizzazioni, di assumere personale, di progettare e controllare ricerche, studi, di animare pubblicazioni e tenere pubbliche relazioni che non hanno nulla da vedere con i salotti della borghesia mondana. Significativo anche il fatto che queste donne non si muovono assumendo ruoli maschili, ma definendo una posizione specifica della donna nella società, dove le doti e la cultura degli ambienti femminili colti si sposano con le condizioni di vita totalmente nuove imposte dall’urbanizzazione a dalla massificazione della società. Il rigido moralismo imposto dalla Corte è adottato dagli ambienti borghesi, che tentano di farlo penetrare nel modello di sviluppo proposto al proletariato, lottando contro l’alcoolismo, l’analfabetismo, e, con minor successo, contro la prostituzione. Insegnano il risparmio e l’economia domestica, l’igiene. Mentre molte di queste signore e signorine offrono il loro lavoro, ricche aristocratiche e borghesi, ed anche uomini degli stessi ceti sociali, fanno doni d’immense fortune per appoggiare l’opera delle associazioni filantropiche, doni che sono gestiti da un personale che potremmo dire specializzato. veri e propri funzionari dei servizi sociali ante litteram, con sedi, beni e personale.
Costanza Hopcraft lascia Londra per seguire Ricciotti nei primi anni ’70, quando la maturità delle organizzazioni filantropiche non è ancora raggiunta, ma attraverso la Chiesa anglicana, in Australia come a Roma, non si allontana mai dagli ambienti e dalle idee che hanno accompagnato la sua giovinezza, e che, trasportate a Riofreddo alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, rappresentano una visione del mondo totalmente nuova, ancora estranea alle classi dirigenti italiane, assolutamente carenti di spirito filantropico e di teorie sullo sviluppo autonomo delle popolazioni. A questo si aggiungono le virtù personali di Donna Costanza, e le vicende della vita che ne avevano sicuramente temprato il carattere.
Indicativo di questo stato d’animo è la vicenda degli ospedali di Riofreddo e di La Maddalena, che Costanza crea quasi negli stessi anni. L’ambulatorio di La Maddalena è inaugurato il 5 Novembre 1907. E’ costituito da terreni donati e da edifici concessi, manca d’ogni specie d’allestimento, ma costituisce ugualmente, per la popolazione dell’isola, una nuova speranza. Poco dopo sorge l’ambulatorio di Riofreddo, con lo stesso tipo di gestione, fondata sul volontariato, e sul contributo degli interessati. Ovviamente Costanza intrattiene una fitta corrispondenza con i generosi donatori di qualche obolo o di qualche benda, e con lo stesso tono, sempre per iscritto, s’intrattiene con la Regina d’Italia, con la Regina d’Inghilterra, alla quale fa valere l’ottima posizione di La Maddalena nel Mediterraneo e la folta presenza di inglesi in zona, e la più modesta, e meritoria, volontaria popolana. Quest’opera, nella quale Costanza è sostenuta dalle figlie, viene da lei teorizzata in un opuscolo intitolato La presa di Roma nel 1913. Episodio immaginario dedicato alla dame infermiere della Croce Rossa da Costanza Garibaldi, pubblicato nel 1910. Costanza infermiera volontaria della Croce Rossa, che ha seguito Ricciotti in Grecia nel 1897, vi racconta fatti d’arme tratti da varie battaglie, inscenando le situazioni nelle quali si possono trovare le Dame della Croce Rossa. I fatti si svolgono naturalmente tra Roma e Subiaco. Nella prefazione, Costanza svela il suo progetto, assai vicino a quello dell’esercito volontario garibaldino: Scrive, infatti, “Mi prometto di insistere sulla proposta già fatta nella mia relazione presentata il 13 Novembre alla Commissione speciale di Signore nominata dal Sotto Com. Reg. (si tratta della Croce rossa. N.d.A.) di estendere a tutti, anche ai più piccoli comuni dell’Italia l’istruzione necessaria alle Signore e alle donne per agire in caso di bisogno, come infermiere, non solamente in vista della sua utilità per aumentare le risorse di questa benemerita istituzione, e in caso di guerra o di disastro, ma anche come mezzo educativo della più alta importanza per tutte le Donne Italiane.” (4)
Un progetto d’ampia portata, e assai moderno, che non ha altro respiro di quello delle due iniziative curate da Costanza stessa, ma che testimonia dei suoi ampi interessi e del suo generoso impegno. Costanza, come le figlie, é molto più interessata alle ricadute civili di un’azione educativa che al supporto alle attività belliche. Quando Rosa e Italia si trovarono nell’Argonne accanto ai fratelli, con le loro ambulanze, videro tali atrocità che Annita Italia scriverà nel 1939 le sue memorie-denuncia dove emerge con forza la vena pacifista che impregna il filone anglicano del pensiero vittoriano inglese, assai vicino al cristianesimo sociale vivace sul continente. Ma appare anche, davanti alla tragedia, il senso del dovere, che deve superare ogni personale dissenso, ogni paura, ogni dolore.
Annita Italia, anch’essa eccelsa signora vittoriana. scrive: “Che cosa ha rappresentato per me la guerra? Essa si è svolta intorno a me in tante e tante forme. Essa mi ha preso nel sogno dei miei vent’anni, nella mia casa ove ferveva la vita: Padre, madre, fratelli e sorelle…Ho vestito l’abito della Croce Rossa, volontariamente, e anch’io sono stata attirata nel vortice e non ho più vissuto che per la guerra….”. E definisce, alla vigilia della partenza per la Grecia, il senso del suo impegno, prima del grande ripudio dettato dalla guerra europea e dalla morte dei fratelli: “Avevo conosciuto gli orrori della guerra in Grecia ma avevo anche sentito con sorpresa la riconoscenza di un popolo e nel mio spirito si affacciava una verità, che solo così, solo in aiuto a gente oppressa che si batteva per la propria libertà io mi sarei trovata a posto, il mio posto, quello che mi assegnava la tradizione del mio nonno, quella per la quale si erano battuti mio nonno, mio padre, mio fratello.”(5)
Donne straordinarie, soldati nell’anima. Si rilegge con gratitudine, la bella formula del Dott., Anacleto Bernardini, medico condotto a Riofreddo, che nello stesso 1939 cosi saluta, al termine della relazione sanitaria dell’ospedale di Riofreddo, la sua fondatrice, ormai giunta ad 86 anni: “tutti coloro che beneficano di questa nobile istituzione elevano a Dio una prece perché ancora per molti anni conservi all’affetto dei suoi la venerata esistenza di Donna Costanza Garibaldi.”
Le cure attente delle figlie prolungheranno la vita di Costanza fino al 9 Novembre 1941. In una bella lettera al fratello Sante, impegnato nella Resistenza in Francia in quella chiave antigermanica che faceva parte della tradizione, Italia descrive gli ultimi giorni di Costanza a Riofreddo, la serenità del suo addormentarsi, l’eleganza dell’addio. (6)
Raggiunge Ricciotti e i figli nella tomba del Verano. Ancora oggi vi si trova una corona antica per Bruno e Costante, con questa semplice concisa scritta: “Vostra madre dolente” come a testimoniare la partecipazione personale, con il dono della vita di due dei suoi figli, alla guerra che cambiò il mondo, con il riserbo e la dignità di una grande signora vittoriana.
1 – G.A. Castellani, Da Digione all’Argonna. Memorie Eroiche di Ricciotti Garibaldi, Milano, 1915, pp. 199-201.
2 – A. I. Garibaldi, Una infermiera italiana al fronte francese, A.I.Garibaldi, Roma, 1939, p. 5.
3 – F. Barret-Ducrocq, “La femme victorienne. Agir dans la cité”, in AA.VV., Femmes dans la cité – 1815.1871, Creaphis, France, 1997.
4 – C. Garibaldi, La presa di Roma nel 1913, Tipografia Forense, Roma, 1910, p. 3.
5 – A. I. Garibaldi, Op.cit., p.7.
6 – Lettera di Annita Italia Garibaldi a Sante Garibaldi, Riofreddo, Nov. 1941, Archivio Sante Garibaldi