GLI ARSOLANI NEL “LIBER VITAE” DI SUBIACO

 

di Nicola Cariello

Il 10 giugno dell’anno 1068, con l’approvazione di papa Alessandro II (1061-1073), veniva solennemente eletto abate di Subiaco Giovanni, figlio del conte Giovanni di Ottone, educato nel monastero di Santa Maria di Farfa (1). Resse l’abbazia per ben 52 anni, in quanto morì il 2 maggio del 1120 (2).

Il monastero di Subiaco aveva attraversato momenti difficili e versava allora in condizioni penose. Secondo il Chronicon (3) «è in tale pessimo stato che appena vi possono vivere i pochi monaci, che vi si trovano, peraltro, oppressi da vicini e da estranei». I compiti che attendevano il nuovo abate sarebbero stati, perciò, molteplici e complessi. Ma, da uomo energico ed esperto quale era, Giovanni seppe mostrare una straordinaria risolutezza. Il Chronicon gli dedica parecchie pagine esaltandone pure le qualità militari, come, ad esempio, in occasione della riconquista di Jenne, indebitamente occupata da un certo conte Ildemondo (4): «L’abate, lo stesso giorno in cui fu occupata Jenne, con molti fanti e cavalieri, salì sul monte Porcaro e fece costruire fortificazioni per assediare Jenne: poi violentemente l’assalì e non molto tempo dopo, con l’aiuto di Dio, la strappò dalle mani degli occupanti» (5). Il suo governo, in sostanza, riuscì a risollevare le sorti dell’abbazia fino al punto di farle attraversare uno dei periodi più rigogliosi della sua storia (6).

Nello stesso tempo il monastero sublacense toccava non soltanto il culmine della potenza feudale, ma probabilmente anche di quella culturale, come notano gli studiosi (7). Le chiese venivano splendidamente decorate e le biblioteche erano di nuovo piene di libri, scritti e miniati nello scriptorium del monastero stesso a cura di provetti copisti provenienti da Farfa o da altri centri scrittorî (8). E proprio tra i preziosi oggetti con i quali l’abate andava arricchendo gli edifici monasteriali il cronista menziona anche «un mobile per raccogliere i libri, scolpito con meravigliosa maestria» (9).

Nell’intento di costituire un patrimonio librario che fosse degno di figurare accanto a quelli esistenti nei grandi centri benedettini, come Farfa e Montecassino, Giovanni non solo ordinò di copiare i classici della letteratura antica e di quella religiosa che circolavano nei monasteri, ma fece comporre, specificamente per Subiaco, libri liturgici, dei manoscritti, cioè, comprendenti i riti che doveva osservare la comunità monastica giorno per giorno secondo minuziose regole scritte alle quali non si poteva derogare. Gran parte di quella produzione libraria andò dispersa (10). Tra i manoscritti che sono pervenutI fino ai giorni nostri il più notevole risulta indubbiamente il Sacramentarium Sublacense, contenuto nel codice Vallicelliano B 24. Il cronista lo ricorda espressamente: «Fecit … sacramentorium 1 coopertum argento et auro» (11).

Il primo studioso che lo notò fu lo storico Jean Mabillon, che lo descrisse accuratamente, avendolo ammirato a Roma nella Biblioteca Vallicelliana nel corso di una visita effettuata nel luglio del 1685 (12). Nel Museum Italicum scrive: «Non parvi momenti est aliud Sacramentarium Sublacensi monasterii, nunc Vallicellianae bibliothecae, in quo etiam habetur vetus Necrologium: qui codex anno M.LXXV. scriptus est, praecipiente Johanne abbate, ut docet inscriptio in haec verba. Anno ab Inc. Domini nostri Jesu Christi M.LXXV. Indict. XIII praesidente Gregorio VII. Papa in cathedra apostoli Petri anno II ob honorem Dei & amorem beati Benedicti sanctissimi abbatis & beatissimae virginis Scholasticae, hunc Sacramentorum libellum, jubente domno Johanne gloriosissimo abbate ex monasterio Sancti Benedicti, qui ponitur in Sublaco, ob memoriam sui nominis, remediumque suae animae, a quodam Scriptore, nomine Wittone, exaratum est» (13).

L’abate Giovanni, pertanto, volle che fosse compilato con ogni cura e senza risparmio quel Sacramentario per Subiaco, affidandone l’incarico a un esperto copista, Guittone, forse proveniente dallo scrittorio farfense. Lo scriptor appose la sua firma alla fine del lavoro, nel 1075. Custodito da una ricca copertina decorata d’oro e d’argento, il manoscritto, composto di 99 carte, benché non ci sia pervenuto integro, rappresenta comunque un documento di eccezionale importanza (14). Impreziosito anche da interessanti miniature, il Sacramentario contiene l’Ordinario della Messa, le Messe votive, il Santorale, il Proprio del Tempo, altre Messe votive e Orazioni diverse. Le messe hanno termine, comunque, alla carta 97v, perché alla carta 98 sono esposte delle formule di benedizione, mentre alla carta 99 si trova il rituale Ad monachum faciendum, che è rimasto interrotto. Benché la maggior parte degli studiosi, a partire dal Mabillon, abbia sempre considerato il Sacramentarium la parte più ragguardevole del codice Vallicelliano B 24, è da notare che in tempi più vicini a noi sono state prese attentamente in esame anche le restanti carte comprese nel codice, alludendo alle quali lo storico francese del XVII secolo parlava in modo sbrigativo di vetus Necrologium. In realtà, se è vero che il Sacramentario, in considerazione del suo tema, ricevette le cure più assidue sia sotto l’aspetto della scrittura che dal punto di vista estetico, perché anche visivamente apparisse la sua importanza, agli occhi degli storici non meno rilevanti sono i contenuti delle carte (da 100 a 200) che formano la seconda parte del codice. Vi si trovano: il cosiddetto Liber Vitae, che occupa le carte 100-116, un giuramento prestato in occasione di un contratto datato 1219 (carta 117), frammenti di officiatura monastica (carte 118-121) nonché i Sermones Willelmi Francigeni (carte 122-200) (15).

In questa miscellanea il testo che senza dubbio attrae maggiormente l’attenzione dello studioso è proprio il Liber Vitae, che si apre con i nominativi dei monaci di San Benedetto e Santa Scolastica noti al momento in cui Guittone provvide alla compilazione del registro (16). L’elenco iniziato dallo scrittore subito dopo aver terminato di comporre il Sacramentario venne continuato da altri in tempi successivi: la lista dei nomi che riempie queste carte, a partire da quelli degli abati e dei monaci succedutisi nel tempo a San Benedetto e Santa Scolastica, è molto lunga, essendo stata redatta nel corso dei secoli XI e XII, fino ai primi del XIII, vale a dire entro il lasso di tempo che intercorre tra il 1075 ed il 1219 (17).

Oltre i nomi dei monaci e degli abati, il primo dei quali è il famoso Giovanni che aveva dato incarico a Guittone di compilare il sacramentario ed al quale lo scrittore, come si è visto, non lesina le lodi (18), l’elenco comprende i nominativi di laici, sia di rango elevato sia di umili origini. Tra i più importanti vi figura il nome dell’imperatrice Agnese, vedova di Enrico III e madre di Enrico IV, la quale, appresa la fama del monastero sublacense, vi si sarebbe recata appositamente per conoscere di persona i religiosi che vivevano in quel cenobio e, accolta con tutti gli onori, avrebbe dimostrato concretamente la sua munificenza (19).

In realtà, però, benché l’imperatrice Agnese appaia nell’elenco del Liber Vitae di Subiaco alla carta 103r, l’unica menzione della sua presenza in quel monastero risulta dal Chronicon suddetto. A parte tale indicazione, poi, nessun’altra fonte ricorda la sua presenza a Subiaco, mentre risulta, invece, che tra il 1072 ed il 1073 si sarebbe recata a Montecassino (20). Soprattutto interessante per noi, però, è il singolare elenco di nomi che si trova alla carta 108v, trascritto dal ricercatore tedesco Thomas Frank (21):

«GYRALDUS CUM TOTA FAMILIA SUA.

MILO CUM TOTA FAMILIA SUA. AZZO CUM TOTA FAMILIA.

BEN(EDICTUS) CUM TOTA FAMILIA SUA ET OMNES HOMINES

IN CASTRO ARZULE HABITANTES. BEN(EDICTUS).

IOHANNES. MARIA. SUSANNA. IOHANNES. SPANO.

MARIA GYBURGA. INGA CUM TOTA FAMILIA SUA.

OTTO. IOHANNES. MASSO. ANASTASI. STEPHA

NIA CUM TOTA FAMILIA SUA. OTTO. MARIA.

IOSEPPUS. SIGELGAITA. RUBBERTUS.

IOSEPPE. IOHANNES. IOHANNES. GILIELMUS.

ALUARA. CANDO PRESBITER. ALBERICO. IOHANNES.

MAROTTA».

In sostanza, mentre la consueta elencazione (nobili e nobildonne, cardinali, vescovi, monaci, preti o semplici laici) concerne singoli nomi di individui, in questo caso viene preso in considerazione un intero gruppo di persone (tutti gli abitanti del castello di Arsoli). I quali – sottolinea lo stesso Frank – potrebbero essere, a seconda dell’interpretazione alla quale si faccia ricorso, o soltanto i quattro capifamiglia indicati nelle prime righe, cui fa seguito l’indicazione generica di “tutti gli abitanti” senza altra specificazione, o, in una seconda ipotesi, si tratterebbe proprio delle persone i cui nomi vengono espressamente citati ad uno ad uno fino alla fine dell’elenco. Non si può escludere né l’una né l’altra possibilità.

Ci si può chiedere, a questo punto, per quale motivo venissero creati questi elenchi e che significato avesse l’inclusione in una lista del genere. Prima di tutto è da tener presente che queste registrazioni di nominativi seguono al Sacramentario, il codice liturgico, cioè, contenente preghiere, formule e benedizioni, spesso legate all’invocazione di nomi di vivi o di morti. «Il nome per la mentalità medievale – scrive un altro studioso tedesco (22) – assolve a una funzione che trascende quella del semplice riconoscimento. Il nome è, molto di più, una componente costitutiva della persona, così che tra il nome e il nominato sussiste un rapporto essenziale. Perciò è importante durante la preghiera pronunciare il nome giusto, così che la benedizione e il frutto della intercessione raggiunga veramente colui che è nominato». Più in generale, nelle comunità medievali, la memoria dei morti o di coloro che non erano presenti alla celebrazione collettiva svolgeva una funzione sociale in quanto, attraverso la citazione dei loro nomi, si otteneva che partecipassero alla vita reale (23). In tal modo la memoria produceva la presenza delle persone liturgicamente nominate e la comunità si allargava al di là della cerchia di coloro che erano presenti fisicamente. In altre parole, la commemorazione era un elemento costitutivo della comunità o, meglio, creava la comunità. «La memoria fonda la comunità», scrive uno storico italiano (24).

L’iscrizione in un Liber Vitae, onde ottenere la salvezza dell’anima e l’imperituro ricordo dei familiari e di tutti i membri della propria comunità, divenne così un’aspirazione molto sentita. Si può dire che presso ogni abbazia fossero presenti questi “libri della vita” che assicuravano l’immortalità. Non soltanto a Subiaco, Farfa o Montecassino, ma un po’ dovunque in Italia ed in Europa. In particolare, però, proprio a Subiaco l’abate Giovanni aveva fondato una “onesta congregazione” nella quale entrarono a far parte insieme sia religiosi che molti pii nobili. Avevano una regola, per cui dovevano quotidianamente cantare dei salmi alla messa, intonare litanie e così via. Ogni giorno, inoltre, come nelle messe per i defunti, dovevano offrire pane e vino “per le anime dei cristiani” (25). Questo tipo di sodalizio, assai simile ad una confraternita (26), comportava perciò l’obbligo, da parte dei laici che vi partecipavano, di provvedere con donazioni alla salvezza delle anime, mentre sui monaci incombeva l’onere di osservare le prescrizioni liturgiche. I donativi «pro remedio animae» assicuravano l’iscrizione nello speciale registro del “libro della vita” ovvero l’elenco delle persone che dovevano essere nominate nel corso delle celebrazioni liturgiche. Naturalmente, quando la lista arrivò a comprendere centinaia di nomi, divenne impossibile citarli tutti, per cui si ritenne sufficiente ai fini salvifici la semplice iscrizione nel registro.

Queste fratellanze tra religiosi e laici costituivano, tra l’altro, dei collegamenti vitali tra il monastero sublacense ed il territorio circostante. Gli abitanti del castello di Arsoli entrarono in massa nel libro della vita, senza alcuna esclusione (27). Lo scambio fra doni materiali, compresi i possedimenti immobiliari, da una parte e le preghiere dall’altra, rafforzava i legami della comunità laico-religiosa e diveniva il fondamento stesso di quella società, la cui cultura si ispirava sostanzialmente ai principi del monachesimo feudale.

D’altronde, nel periodo in cui tutti gli arsolani vennero inseriti nell’elenco del libro della vita ultraterrena, il castrum Arzule necessariamente doveva mantenere stretti rapporti con l’abbazia di Subiaco, poiché era incluso nell’ambito dei territori soggetti alla dominazione sublacense. Sorto come piccolo insediamento intorno ad un edificio religioso (28), infatti, il castello di Arsoli era stato occupato dal conte Rainaldo dei Marsi, il quale però l’aveva restituito all’abbazia di Subiaco già alla fine del X secolo (29). Nel 1051 appare ancora nell’elenco dei possedimenti sublacensi (30) e lo stesso abate Giovanni, poi, stando alla narrazione del Chronicon (31), avrebbe assegnato dei beni a favore della chiesa di Santa Maria di Arsoli. Appare ragionevole, quindi, pensare che i coloni che ad Arsoli lavoravano le terre di proprietà dell’abbazia di Subiaco e che frequentavano l’antica chiesa di Santa Maria abbiano usufruito di questo scambio tra beni materiali e promesse spirituali per tentare di attingere la beatitudine celeste.

Con il risultato di avere, quanto meno, trasmesso a noi la memoria dei loro nomi. 

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1– La data esatta, però, è controversa. A differenza dell’Egidi (P. EGIDI, Notizie storiche in I monasteri di Subiaco I, Ministero Pubblica Istruzione, Roma 1904, p. 211) e del Federici (V. FEDERICI, La biblioteca in I monasteri di Subiaco II, Ministero Pubblica Istruzione, Roma 1904, p. XXX) che propongono l’anno 1068 quale data dell’elezione dell’abate Giovanni, il Morghen (Chronicon Sublacense 593-1369 a cura di R. MORGHEN, Edizione Monastero di S. Scolastica, Subiaco 1991, p. 35) l’antepone al 1065. Il Mirzio, a sua volta, (C. MIRZIO, Cronaca Sublacense, Tipografia A. Befani, Roma 1885, p. 171) propone il 1062. Tale incertezza è dovuta al fatto che il Chronicon riferisce semplicemente che Giovanni fu eletto al tempo di papa Alessandro II. Circa i codici contenenti il Chronicon sublacense cfr. R. MORGHEN (a cura di), Chronicon Sublacense (aa. 593-1369), in “Rerum Italicarum Scriptores”, Nicola Zanichelli ed., Bologna 1927, tomo XXIV-parte VI, pp. VI-XI.

2– Secondo il Morghen, tuttavia (Chronicon Sublacense ecc., cit., ibidem) a reggere le sorti dell’abbazia di Subiaco si sarebbero succeduti il padre ed il figlio, entrambi di nome Giovanni ed entrambi monaci farfensi.

3– Cfr. Chronicon Sublacense, ecc., cit., p. 35.

4– Secondo il Morghen il castello di Jenne sarebbe stato affidato all’abate di Subiaco nel 1082. Cfr. Chronicon Sublacense, ecc., cit., p. 40.

5– Cfr. Chronicon Sublacense, ecc., cit., pp. 40-41. T. DI CARPEGNA FALCONIERI (voce “Giovanni” in Dizionario biografico degli Italiani” Treccani, 2001, volume 55) sottolinea che “più che uomo di chiesa fu condottiero e signore feudale”, tanto che riuscì nel 1074 ad imporre definitivamente la dominazione abbaziale alla stessa Subiaco.

6- “Niuno dei suoi predecessori era riuscito a condurre il monastero all’alto grado di di ricchezza e di potenza cui egli lo fece salire” scrive l’Egidi (P. EGIDI, Notizie storiche ecc., cit., p. 92). Si può dire che Giovanni è uno dei personaggi che occupano maggiore spazio nel racconto cronachistico. “Probabilmente da questo passo – scrive il Morghen – ha inizio quella che è la parte più importante di tutta la Cronaca, la vita cioé del massimo abate sublacense, Giovanni VII, che abbraccia quasi un terzo di tutta l’opera” (cfr. R. MORGHEN ecc., cit., R.I.S., p. XVI).

7– Cfr. S. M. PAGANO (a cura di), Sacramentarium Sublacense, Libreria Editrice Vaticana, SCV 1980, p. 49.

8– Cfr. P. EGIDI, Notizie storiche ecc., cit., p. 100.

9- “Fecit arcile ad recondendum libros sculptum mira pulchritudine” (Cfr. Chronicon sublacense ecc., cit., p. 45).

10– Cfr. in proposito V. FEDERICI, La biblioteca ecc., cit., pp. III- XXXIV.

11- Cfr. R. MORGHEN ecc., cit., R.I.S., p. 16.

12– Jean Mabillon (1632-1707), benedettino francese della Congregazione di San Mauro, è tra i fondatori della diplomatica e della paleografia, intese modernamente come scienze storiche. La sua opera più importante è, infatti, De re diplomatica libri sex (1681).

13- “Assai notevole è un altro Sacramentario, del monastero sublacense, attualmente alla Biblioteca Vallicelliana ed al quale segue un vecchio elenco di necrologi. Si tratta di un codice che è stato scritto nel 1075 per ordine dell’abate Giovanni, come ci spiega l’iscrizione che dice: Nell’anno dell’incarnazione del nostro signor Gesù Cristo 1075, indizione XIII, al tempo del papato di Gregorio VII, in onore di Dio e per amore del santissimo abate Benedetto e della beatissima vergine Scolastica, per ordine dell’illustrissimo signor abate Giovanni del monastero di San Benedetto situato in Subiaco, a memoria del suo nome e per la salvezza della sua anima, fu scritto da un copista di nome Guittone” (Cfr. J. MABILLON, Museum Italicum seu Collectio veterum Scriptorum ex bibliothecis Italicis, Montalant, Parigi 1724, Tomo I, p. 67).

14- Notizie particolareggiate sul codice Vallicelliano B 24, compresa la trascrizione del testo del sacramentario, si trovano in Sacramentarium Sublacense ecc., cit.

15– Sacramentarium Sublacense ecc., cit. , pp. 31-33.

16– Nella carta 101r esattamente si legge: “Incipiunt nomina monachorum congregationis supradicti monasterii Sancti Benedicti et Sancte Scolasticae ab eo tempore ex quo hunc expletum est librum. In primis dominus IOHANNES clarissimus abbas qui studiosissime eruditus vel enutritus fuit in venerabili monasterio sancte Dei genitricis MARIE qui ponitur in Farfa filius vero comiti Ioannis Ottoni. Ipse quidem ut iam dictum est hunc libellum amabiliter a supradicto GUITTONE scribere fecit. Deo gratias”. Vale a dire: “Qui hanno inizio i nomi dei monaci dell’ordine suddetto di San Benedetto e Santa Scolastica dal momento in cui venne ultimato questo libro. Prima di tutto l’illustrissimo signor abate Giovanni, che fu allevato ed istruito con ogni cura nel venerando monastero della Madre di Dio, che si trova a Farfa. Egli è figlio del conte Giovanni di Ottone. Lui stesso, come si è già detto, si degnò di ordinare al suddetto Guittone di compilarlo. Sia lode a Dio”. Cfr. V. FEDERICI, La biblioteca ecc., cit., p. XXXI. Lo Schwarzmaier fu il primo studioso ad approfondire le ricerche in materia (H. SCHWARZMAIER, Der Liber Vitae von Subiaco. Die Klöster Farfa und Subiaco in ihrer geistigen und politischen Umwelt während der letzten Jahrzehnte des 11. Jahrhunderts, in “Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken”, 48 (1968), pp. 80-147.

17- Cfr. V. FEDERICI, La biblioteca ecc., cit., p. XXVII. Secondo il Pagano (Sacramentarium Sublacense ecc., cit., ibidem) assommerebbe a circa 800 nominativi, mentre per il Frank (T. FRANK, I rapporti tra Farfa e Subiaco nel secolo XI, in “Farfa, abbazia imperiale. Atti del Convegno Internazionale 2003” a cura di Rolando Dondarini, Il Segno dei Gabrielli editore, Negarine di S. Pietro in Cariano 2006, p. 226) si tratterebbe di circa 8000 nomi di persone. L’Egidi (P. EGIDI, Notizie storiche ecc., cit. p. 102) parla di circa undicimila persone tra monaci, monache, uomini, donne, fanciulli di ogni luogo e d’ogni età”. Lo stesso Egidi si servì della lista per compilare la serie degli abati sublacensi.

18– Alcuni studiosi, come il Morghen, l’Egidi ed il Federici, lo chiamano, basandosi anche sulla lista del Liber Vitae, Giovanni VII; altri (Mirzio, Carosi, Pagano, Frank), secondo l’elenco tramandato dal Mirzio, Giovanni V.

19– Così, almeno, si legge nel Chronicon sublacense ecc., cit., p. 41: “His diebus venit regina Agnes, audita fama sancti cenobii sublacensis … que honorifice ut regie decebat magnificencie et abbate et cuncta congregatione suscepta, …donavit monasterio pallium optimum et promisit benefacere in reliquum tempus”. Il Mirzio (C. MIRZIO, Cronaca Sublacense, ecc., cit., pp. 190-192) ampliò la notizia fornita dal Chronicon e la arricchì di particolari specificando che l’imperatrice si sarebbe recata a Subiaco poco prima della sua morte, avvenuta a Roma nel 1077. Anche il Bloch (H. BLOCH, Monte Cassino in the Middle Ages, Harvard University Press, Cambridge MA, USA 1986, vol. I, p. 135) ritiene che la sovrana sarebbe stata a Subiaco e la sua visita sarebbe in relazione con l’iscrizione del suo nome nel Liber Vitae. Il Frank (T. FRANK, I rapporti tra Farfa e Subiaco ecc., cit., p. 226) pensa perfino che “La decisione di procedere alla redazione di un “Liber Vitae” dovrebbe essere stata presa in occasione della visita dell’imperatrice Agnese a Subiaco, avvenuta, con ogni probabilità, nel 1074”. Di diverso avviso, invece, l’Egidi (P. EGIDI, Notizie storiche ecc., cit. p. 101, nota 3), secondo il quale “di tale visita non v’è altra memoria che quella del Chronicon, e l’itinerario di Agnese poco vi si presta. Sorge il sospetto che la tradizione della visita nascesse da quella che Agnese fece a Montecassino e dal trovare il suo nome nel Liber Vitae”.

20- Cfr. L. MARSICANUS, Chronica Monasterii Casinensis, in “Monumenta Germaniae Historica”, Scriptores, Hahn, Hannover 1980, tomo XXXIV, pp. 402-403. Agnese di Poitou (1025-1077), seconda moglie dell’imperatore Enrico III, alla morte del marito, nel 1056, assunse la reggenza per il figlio minorenne Enrico IV fino al 1062, quando un gruppo di aristocratici, guidati dall’arcivescovo di Colonia, Annone II, le sottrasse il figlio, divenuto poi imperatore del Sacro Romano Impero. Dal 1065 si trasferì in Italia: visse per un certo periodo nell’Abbazia di Fruttuaria (San Benigno Canavese, Torino) e poi a Roma, dove morì. Fervente cattolica, fu in corrispondenza con l’eremita e teologo Pier Damiani (1007-1072) nonché con il mistico Giovanni abate di Fécamp (fine X secolo-1078), che le dedicò il trattato su “La contemplazione di Dio”. Cfr: C. BARONIO, Annales Ecclesiastici, Barri Ducis L. Guérin etc., Typ. Editores, 1869, Tomo XVII, pp. 197-218; M. MASINI, Maria, lo Spirito e la Parola, Paoline Editoriale Libri, Milano 1996, p. 153.

21– T. FRANK, Studien zu italienischen Memorialzeugnissen des XI. und XII. Jahrhunderts, ed. Walter de Gruyter, Berlin 1991 (tesi di dottorato presso l’Università di Friburgo in Brisgovia, 1989), p. 132.

22– O. G. OEXLE, Memoria und Memorial-überlieferung imfrüheren Mittelalter, in “Frühmittelalterliche Studien”, 10 (1976), p. 84, cit. da G. CARIBONI, La via migliore. Pratiche memoriali e dinamiche istituzionali nel Liber del Capitolo dell’abbazia cistercense di Lucedio, Lit Verlag, Berlin 2005, p. 20.

23– Cfr. G. CARIBONI ecc., cit., pag. 1. La pratica della memoria dei defunti durante le celebrazioni liturgiche venne favorita anche dalla credenza nel Purgatorio, dal quale le anime potevano essere salvate, secondo quanto raccomandava papa Gregorio I (590-604), ricorrendo alle messe di suffragio. Cfr. A. ASSMANN, Cultural Memory and Western Civilization, Cambridge University Press, New York 2011, p. 24.

24- G. CARIBONI ecc., cit., p. 22.

25- “Constituit ut cottidie, ut ad missam defunctorum, omnes panem et vinum offerant pro animabus christianorum”. Cfr. Chronicon Sublacense, ecc., cit., p. 169.

26– T. FRANK (I rapporti tra Farfa e Subiaco ecc., cit., pp. 225-226) osserva che la congregatio istituita a Subiaco non aveva affatto la natura giuridica di una moderna confraternita.

27– Ma secondo uno studioso tedesco “La commemorazione fondamentalmente era sempre valida per la singola persona in quanto tale e non per il gruppo o la comunità nel suo complesso. Ogni membro di una comunità di preghiere doveva di conseguenza essere rappresentato anche in occasione di una commemorazione collettiva, dal suo proprio nome. E questo perché le pratiche commemorative potevano raggiungere soltanto singole anime”. Cfr. K. SCHMID, Mönchtum und Verbrüderung, in “Monastische Reformen im 9. und 10. Jahrhundert”, ed. Raymund Kottje and Helmut Maurer, Forschungen und Vorträge, 38 (Sigmaringen, 1989), pp. 127-128. I cosiddetti libri vitae o libri memoriales, forma di comunità tra vivi e defunti, tuttavia, a causa dell’enorme numero di nomi di cui vennero infarciti, furono infine deposti sull’altare per una commemorazione sommaria e cumulativa È importante notare che la tradizione memoriale divenne un punto di partenza per ricerche storiche, non solo prosopografiche, tanto da dar vita ad una nuova storia sociale del Medioevo. In ordine alle ricerche su questo genere di fonti si distinguono gli studi di Gerd Tellenbach (1903-1999) e della sua scuola.

28– P. TOUBERT, Les structures du Latium médiéval, École française de Rome, Rome 1973, I, pp. 376-377.

29– L. ALLODI e G. LEVI, Il Regesto Sublacense dell’undecimo secolo, Società Romana di Storia Patria, Roma 1885, Documento 184 (febbraio 1000), pp. 224-225.

30– Arsula, infatti, è espressamente menzionata nella tavola di marmo che l’abate Umberto fece collocare quell’anno alla base della torre di Santa Scolastica con tutti i nomi delle località che ricadevano sotto la giurisdizione dell’abbazia sublacense. Cfr. P. EGIDI, Notizie storiche ecc., cit., p. 89.

31- “Fecit in monasterio sacrarium, opere pulchro, ubi concessit ad ecclesiae regimen ea que in Specu bona Dominus dederit ad duas ecclesias scilicet sancti Iohannis in Pescolo positam et sancte Maria de Arzula”. Cfr. Chronicon Sublacense, ecc., cit., p. 171. Ciò sarebbe avvenuto nel 23° anno di amministrazione dell’abate Giovanni, vale a dire verso il 1090.