IL CARNEVALE DI ROMA E GLI EBREI DI TIVOLI

di Nicola Cariello

Le prime testimonianze sui giochi di Carnevale celebrati a Roma nella zona di Testaccio sarebbero contenute nel Liber polypticus redatto da Benedetto canonico romano tra il 1140 ed il 1143, una di quelle opere che raccoglievano descrizioni e tradizioni circa le “meraviglie di Roma” (Mirabilia Urbis) di sapore spesso leggendario. Accennando ai giochi di Carnevale (De ludo carnelevarii) che si tenevano di domenica (in dominica dimissionis carnium) il compilatore ricordava che il pontefice stesso si recava sul posto (Dominus papa descendit de palatio et equitat cum prefecto et equitibus usque Testacium), dove fanti e cavalieri si esibivano al suo cospetto (faciunt ludum in conspectu pontificis) in una manifestazione pubblica che prevedeva, oltre ai giochi, una lotta simbolica contro le forze del male (occidunt ursum, occiditur diabolus, id est temptator nostre carnis; occiduntur iuvenci, occiditur superbia nostre delectationis; occiditur gallus, occiditur luxuria lumborum nostrorum…) con l’abbattimento di alcuni animali, come l’orso, le giovenche, il gallo, che nell’immaginario medievale rappresentavano le tentazioni ed il peccato. In tal modo, negando la “carne” (carnem levare), si riaffermava il valore dell’astinenza che avrebbe comportato la Quaresima ormai prossima (1).

Con l’andare degli anni assunsero sempre maggiore rilevanza nel carnevale di Testaccio i giochi della tauromachia (2) ed altri svaghi più o meno cruenti, come quelli consistenti nel far ruzzolare dalla cima del Monte dei Cocci dei carri con degli animali [Ex alto montis eiusdem emittuntur quadrigae seu currus rotarum cum tauris agrestibus et aliis silvestribus animalibus precipitantibus (3)...]. Ormai, nel XIV secolo le celebrazioni carnevalesche erano diventate le “feste del toro” e il Testaccio era il mons de palio: la domenica di Carnevale, infatti, vi si svolgevano i palii equestri e la caccia ai porci ed ai tori lanciati con sei carrette dall’alto del monte. Il ludus maximus di Testaccio era una festa solenne del Comune di Roma, i cui statuti prevedevano minuziosamente l’organizzazione della celebrazione soprattutto sotto l’aspetto finanziario. Nella festività domenicale sfilavano in pompa magna i cortei romani guidati dai caporioni che conducevano i tori incoronati. Tra i lusores, i giocatori scelti tra il popolo dei rioni di Roma, erano designati anche gruppi di uomini che dovevano obbligatoriamente pervenire dalle comunità soggette all’Urbe, come Terracina, Priverno, Sezze, Tuscania, Viterbo, Orte e così via. Nel 1539, come ricorda lo Zappi, “Sua Santità fece intimare alla città di Tivoli che si dovessino li cittadini provedere di otto giocatori al solido et fare comparere in detto gioco alli tanti di tal mese, ma in tempo di carnevale però (4)”. Uno dei giocatori partecipanti, tutti homini giovani honorati della città, li quali forno vestiti all’antiqua, fu lo stesso Zappi, il quale – sottolinea senza false modestie – “cavalcavo un corsieri dello ill.mo et r.mo Cardinal Farnese con sella et li arcioni sopra indorati per essere io stato destinato di portare il standardo”. Il Carnevale era, così, arrivato ad un punto tale di sfarzo da diventare tema di apposite pubblicazioni, quale la stampa anonima del 1545 che ricorda come, alla presenza di una grande folla (Et fu stimato che ci fussero più di sessanta millia persone), si svolsero i giochi della gran caccia, nel corso della quale “furono morti tredici Tori, et furono rovinate giù da Testaccio sei carrozze et sopra ciascuna di esse era un palio rosso et Porci vivi (5)”. Ai cortei solenni e lussuosi e alle “cacce”, inoltre, già da tempo erano stati aggiunti dei palii burleschi o perfino infamanti come quelli dei ragazzi, dei giovani, dei sessantenni, degli asini, dei bufali e degli Ebrei. Questi ultimi, per evitare di partecipare a tali manifestazioni, sborsavano una certa somma che veniva considerata un contributo per i giochi di carnevale: nel 1312, ad esempio, gli Ebrei romani pagarono 10 fiorini d’oro, ma all’epoca di papa Paolo II Barbo, nel 1464, tutte le sinagoghe esistenti nei domini pontifici furono “invitate” a versare il loro tributo (6).

Per quanto riguarda, in particolare, la città di Tivoli, a dimostrazione dell’importanza che veniva annessa a quelle celebrazioni, due capitoli dello statuto comunale, il XIX e il XXXII, dettavano norme specifiche in materia, stabilendo l’entità degli oneri a carico della comunità degli Ebrei per i giochi di Testaccio (7).

Il XIX capitolo dello statuto è intitolato “In nomine Domini, amen. Infrascripta sunt capitula inter communitatem Tiburtinam et Sinagogam hebreorum civitatis Tiburis, quorum capitulorum (tenor) tali est, videlicet”. Vi si legge che, in data 1428, al tempo del pontificato di Martino V, il giorno 6 del mese di aprile, per ordine del nobile Simeone Zachi capomilizia, vennero convocati nell’ufficio del giudice sediale (8) ed erano presenti: il magister medico Saban, Vitalie Elie Mesis, Salamon Elie Vitalis, Mastasius Elie, Vinturello Moise Iudici, Ventura Manuelis De Piolo, Sabatutii Sabati Melutii, Leutii de Palomara e Vinturello de Tibure, in nome e per conto di tutta la comunità degli Ebrei abitanti a Tivoli. Al fine di definire “et radicius extirpare et tollere” tutte le varie controversie insorte ed evitare che in futuro ne nascessero di più gravi tra il Comune e gli Ebrei, si conveniva che costoro, nonché quelli che “in futurum pro tempore erunt et residentiam in ipsa civitate Tiburis facient” erano tenuti a consegnare al tesoriere comunale “per sectem dies ante diem carnis privii florenos quatraginta ad rationem 47 sollidorum provisinorum pro quolibet floreno dandos et distribuendos per dictum commune pro luxoribus Testatie” almeno sette giorni prima del carnevale quattrocento fiorini, in ragione di 47 provisini per fiorino (9), che il Comune avrebbe dato per i giochi di Testaccio; con l’intesa che né il Comune né altri per quel titolo avrebbero potuto pretendere ulteriori prestazioni (ad aliquid cogi et astringi et ab eis vel ipsorum altero exigi non possint sive per commune dictum vel per aliquem de luxoribus suis temporibus ad ludum Testatie …).

Il XXXII capitolo è intitolato “Sequitur census Sinagoce hebreorum quod tenetur solvere Communitati Tiburis quolibet anno tempore Testatie et in festo Omnium Sanctorum prout patet in presenti libro ad cartas 21 et 22 et etiam dativa mille librarum prout infra et presbiterorum sive clero et romano populo”. In sostanza vengono ripetute, se pure in forma più concisa, le stesse prescrizioni contenute nel XIX capitolo e cioè dicta Sinagoga ebreorum curie Tiburis tenetur solvere tempore Testatie quolibet anno Camerario Communis et pro ipso Communi florenos quatraginta ad rationem 47 sollidorum pro quolibet floreno et pro lusoribus Testatie et sectem diem ante carnis privii prout in dictis capitulis. La sola differenza fra questo ed il testo del XIX capitolo consiste nel fatto che nello stabilire il tasso di cambio fisso per i fiorini che doveva versare la comunità ebraica si parla semplicemente di soldi e non specificamente di provisini. Ma è probabile che nell’uso corrente il riferimento a quella moneta fosse sottinteso (10).

Naturalmente, oltre al versamento della somma di denaro per i giochi di Testaccio, la comunità ebraica di Tivoli era soggetta ad altre prestazioni, come, ad esempio, il pagamento di un contributo per la festa di Ognissanti, il versamento di un’imposta speciale per spese militari e così via. A garantire che tutti gli impegni nei confronti del Comune fossero puntualmente onorati era previsto un giuramento particolare, così come lo era quello che dovevano prestare gli Ebrei in giudizio ovvero: Tu iuri per Dio onnipotente Sabaoth lu quale apparse ad Moises nello Rubo et Dio vero Adonai Patre et Dio Eloy de dire la verità de questo che serrai domandato; et se non dici lo vero che Dio te desperda inter le genti et meni in terra delli inimici toy et la toa habitatione se faccia deruta et la terra sette ingiotta como Datan et Abiron et la lepra te prenda como Nahaman sirum et te vengano sopra lo capu tou tucte le peccata toi et de li parenti toi et tucte le maledictioni che in nella legge mosaica et delli propheti so scripte. Et dicat hebreus: amen.

Una situazione discriminatoria che doveva apparire, pur da questi brevi cenni, piuttosto gravosa per i cittadini di religione ebraica. Ma non tragica se paragonata alle situazioni che si sono verificate e che si verificano in tempi più vicini a noi.

1 – Cfr. RAIMONDO GUARINO, Carnevale e festa civica nei Ludi di Testaccio, in “Roma moderna e contemporanea”, Università Roma Tre, 2012, 2, pp. 475-497 e ANDREA LIVINI, Il Carnevale romano: eredità carolingia di un ‘ludus imperialis’ o istituzione cittadina indipendente? in “Festa e politica della festa nel Medioevo – Atti del convegno di studi svoltosi in occasione della XVIII edizione del Premio internazionale Ascoli Piceno (Ascoli Piceno, Palazzo dei Capitani, 1-2 dicembre 2006) a cura di Antonio Rigon”, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 2008, pp. 97-110.

2 – “Dove si fa le feste del toro nel tempo nel tempo di charnasciale “, dal Liber imperialis, XIV secolo: cfr. R. GUARINO, op. cit., p. 476.

3 – Da Polistoria, VI, cap. 41, ibidem.

4 – “Quando Papa Paulo terzo Farnese fece intimare li Tiburtini il gran gioco di Testaccia in la città di Roma dell’anno quinto del suo pontificato”: cfr. GIOVANNI MARIA ZAPPI, Annali e memorie di Tivoli, a cura di V. Pacifici,Tivoli 1920, p. 20.

5 – Feste d’Agone, et de Testaccio, fatte per carnevale, in Roma nel MDXLV sotto Paulo III Pont. Max. Per opinione universale, e de ordine, e de significato, e de ricchezza, e de gratia, più belle che sia state mai più fatte. Presupponendo, che naturalmente, d’ogni tempo, in tutto il Mondo, non se fu più bella festa, che quella d’Agone, in Roma in Campo di Fiore, alli XXI Febraro 1545. Cfr. R. GUARINO, op. cit., p. 492.

6 – Cfr. RICCARDO CALIMANI, Storia degli Ebrei italiani, Mondadori, 2013, vol. I, cap. IV.

7 – Cfr. VINCENZO PACIFICI (a cura di), Codice diplomatico di Tivoli di Antonio di Simone Petrarca, in “Studi e fonti per la storia della regione tiburtina”, Tivoli, Tipografia dei Monasteri di Subiaco, 1920. La redazione delle norme statutarie sulla base della documentazione che ebbe cura di raccogliere il notaio tiburtino Antonio di Simone Petrarca nel XVI secolo ottenne il risultato di sottrarre Tivoli dalla dipendenza del Senato romano. Papa Adriano VI (1522-1523) infatti dichiarò la città direttamente soggetta alla Santa Sede. Simone, figlio del notaio Antonio e anche lui notaio, provvide poi a codificare lo Statuto di Tivoli, che rimase in vigore fino al 1816.

8 – Il capomilizia ed il giudice sediale erano cariche municipali. L’ufficio di giudice sediale veniva esercitato a turno dai dottori di legge tiburtini: era competente nelle cause civili.

9 – Cioè con cambio fisso. Cfr. EDOARDO MARTINORI, Annali della Zecca di Roma – Martino V (11 novembre 1417-20 febbraio 1431) Eugenio IV (2 marzo 1431-25 gennaio 1447), Istituto Italiano di Numismatica, Roma 1918, p. 16.

10 – Il denaro di Provins emesso dai Conti di Champagne tra il 1125 e il 1253 fu moneta di larga circolazione internazionale ed a Roma ebbe corso legale. Fin dal XII secolo divenne moneta dominante nelle transazioni ed era espressamente richiesto con apposite clausole contrattuali. Dal XIII secolo venne sostituito dal nuovo provisino romano, il cosiddetto denaro provisino senatoriale, coniato dalla Zecca romana fino al XV secolo. Cfr. ADOLFO SISSIA-ALESSANDRO GIARANTE, Il denaro provisino romano e le fasi iniziali della zecca senatoriale medievale di Roma, pubblicazione online (www.academia.edu/).