Il Museo di Preistoria di Celano Paludi (AQ)
di Serena Cosentino e Gianfranco Mieli
Nel 1984, durante i lavori per la realizzazione di una azienda ittica nella località Paludi, vennero alla luce evidenze archeologiche (resti lignei e materiale ceramico) a testimonianza di una antica frequentazione dell’area risalente al II millennio a.C. L’anno successivo mentre era in corso l’ampliamento del laghetto artificiale ci si rese conto che il sito archeologico si estendeva a nord del bacino già aperto; cominciarono così le indagini asportando il terreno superficiale con l’aiuto dei mezzi meccanici. Già nel corso della prima campagna di scavo la situazione apparve complessa: la superficie indagata, che è arrivata nel corso degli anni ad occupare una estensione di circa 4000 mq era stata utilizzata almeno dagli inizi della media età del Bronzo (XVIII sec. a.C.) fino all’età del Bronzo finale (XII – X sec. a.C.). Non solo l’occupazione era stata lunga e continua ma soprattutto articolata: si era passati da una destinazione abitativa ad una sepolcrale per poi ritornare ad abitare l’area costruendo capanne del tutto particolari, adatte ad un ambiente quale quello di Celano Paludi: le palafitte. La singolarità del sito archeologico del tutto unico nella regione Abruzzo e avvicinabile nell’Italia centro-meridionale solo a quelli venuti alla luce nel territorio di Bracciano e Bolsena (villaggio del Grancaro, villaggio di Mezzano), indusse l’allora Soprintendente archeologo dell’Abruzzo, Giovanni Scichilone, e il funzionario archeologo che aveva diretto gli scavi, Vincenzo d’Ercole, a presentare un progetto europeo per la realizzazione di una struttura museale adiacente l’area degli scavi e del relativo parco archeologico. Nasce così il Museo di Preistoria di Celano, un moderno complesso del tutto particolare, proprio come particolare è l’ambiente in cui è stato costruito. Mimetizzato nel paesaggio, è ispirato ad un tumulo funerario ovvero alla sola tipologia tombale venuta alla luce nei vicini scavi; il tetto, coperto interamente di terra sui due lati lunghi, rende la struttura visibile solo quando si arriva nelle immediate vicinanze. In primavera il tappeto erboso e fiorito che lo ricopre interrompe piacevolmente la monotonia del paesaggio . La mancanza di fondi impedisce ancora oggi la sistemazione di tutta l’area intorno all’edificio, un’area vasta dal momento che la sola struttura copre una superficie di 5000 mq!
Le potenzialità della zona circostante sono tante trattandosi di un habitat lacustre poco contaminato; la presenza di una vena di acqua sorgiva consente di disporre di acqua potabile anche durante la stagione estiva, ormai diventata sempre più arida. Rigagnoli d’acqua solo in parte canalizzati favoriscono la nascita di specie vegetali, quali l’iris giallo, che nei mesi da maggio a luglio colorano allegramente il paesaggio. Qua e là cannucce di palude disposte a folti gruppi ospitano tra le loro foglie centinaia di piccoli volatili che ad ogni piccolo rumore spiccano il volo interrompendo l’abituale silenzio. Dalla “passerella” , una imponente costruzione in acciaio nata per poter osservare dall’alto la necropoli e il villaggio palafitticolo, si vedono i laghetti artificiali (foto 5) nel maggiore dei quali, ormai area archeologica espropriata, giacciono ancora resti di pali lignei e le strutture in pietra delle sei sepolture a tumulo venute alla luce. Dal tetto del Museo, percorribile in tutta la sua estensione, si può ammirare la maestosità della Serra di Celano, una imponente montagna priva completamente di vegetazione nel tratto più alto, alle cui pendici sorge l’abitato moderno di Celano.
Ma entriamo negli ambienti del Museo e percorriamoli insieme alla scoperta di cosa si nasconde in questo edificio seminterrato. Una delle cose che colpisce sicuramente chi vi entra per la prima volta è la grandezza degli spazi e la loro luminosità dovuta ad apposite aperture realizzate sul tetto: una di queste è circolare ed illumina l’ambiente di ingresso dal quale si accede sia alle sale espositive che alla zona uffici e laboratori. Allo stato attuale è possibile visitare due mostre temporanee: la prima dal titolo “Amore e Morte”, inaugurata nel 1999, rappresenta la concreta espressione di un rapporto di intesa e collaborazione tra la Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo e una società privata, la Edison Gas. Nel corso di lavori per la realizzazione del gasdotto Bussi – Roccasecca sono state attraversate aree di interesse archeolgico; la Edison ha dapprima finanziato gli scavi condotti dal personale della Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo in particolare nei comuni di San Benedetto in Perillis e di Molina Aterno e in seguito l’allestimento della mostra e la pubblicazione di un volume dal titolo “Archeologia e metano. Storia di un metanodotto tra industria e cultura”.
La mostra “Amore e morte” percorre interamente la provincia aquilana attraverso l’esposizione dei risultati di scavi archeologici condotti negli ultimi venti anni; dalla preistoria più lontana illustrata dal complesso dei vasi cinerari della grotta Continenza di Trasacco e risalenti al VI millennio a.C. si passa alle testimonianze rinvenute nella grotta Beatrice Cenci nel territorio di Tagliacozzo e si arriva ad ammirare i reperti metallici e ceramici del sito di Celano Paludi insieme alla ricostruzione del tumulo 6, appartenuto ad una bambina morta all’età di circa dieci anni. La sala 2 è dedicata interamente all’età del Ferro con la necropoli di Fossa, di Forca Caruso, di San Benedetto in Perillis e di Molina Aterno. Il percorso termina nella sala 3, quando si entra nell’età storica, la cosiddetta Era del Diritto; qui i corredi della necropoli di Fossa e di Bazzano esemplificano magnificamente il livello che le produzioni locali avevano raggiunto nell’Abruzzo interno sia nella produzione di vasellame in ceramica a vernice nera e in ceramica comune che nella realizzazione di oggetti particolari, le appliques in osso, che ornavano letti funerari.
Approfondimenti delle età già in parte esposte in “Amore e Morte” sono stati fatti nella mostra “Safin. Tracce di un popolo” inaugurata in occasione del XXXVI Convegno dell’Istituto di Preistoria e Protostoria Italiana, tenutosi in Abruzzo nel mese di settembre del corrente anno.
Dai villaggi protostorici individuati sulla costa adriatica nel tratto tra Vasto ed Ortona, di estremo interesse per la ricostruzione di un aspetto ancora oggi sconosciuto legato ai traffici marittimi nell’Adriatico nell’ambito del II e della prima metà del I millennio a.C., si passa alla ricostruzione tridimensionale della tomba a tumulo 19 di Fossa. Un gruppo di oggetti di ornamento personali tra i più belli rinvenuti nelle sepolture maschili e femminili della necropoli di Campovalano di Campli (TE) e di Fossa sono esposti di rimpetto al tumulo 19: rappresentano l’elevata abilità tecnica raggiunta nella lavorazione del bronzo, dell’osso, dell’ambra e soprattutto del ferro. E’ proprio la capacità di fabbricare complessi ornamenti in ferro la vera novità emersa in Abruzzo dai dati archeologici degli ultimi anni; una capacità del tutto sottovalutata in quanto espressa attraverso un metallo ritenuto oggi poco nobile. Sono in corso analisi specialistiche per accertare la tecnologia che ha prodotto dischi finemente traforati, probabilmente quella della fusione, la stessa utilizzata per il bronzo ma che fino ad oggi si riteneva introdotta solo in età moderna a causa in particolare delle elevate temperature necessarie per fondere il ferro.
Fa bella mostra di sé al centro della sala la ricostruzione della sepoltura principesca numero 2 venuta alla luce nella già citata necropoli di Campovalano di Campli: si tratta di un principe guerriero vissuto nel corso del VII sec. a.C. seppellito insieme al carro da guerra, ad un numeroso servizio da banchetto in ceramica ma soprattutto in bronzo. Questa necropoli rappresenta la sola in Abruzzo ad aver restituito sepolture così ricche del tutto simili alle più famose tombe a tumulo dell’Etruria meridionale. Inoltre, sono stati fatti indossare ornamenti personali a sagome in legno in modo da rendere più comprensibile al visitatore il costume da parata delle donne e degli uomini tra la fine del IX sec. a.C. e il VI sec. a.C.
Vasi in bronzo, alcuni dei quali sicuramente di importazione, si possono ammirare nella vetrina 8: rappresentano l’importanza che il concetto del banchetto funebre ha avuto nella cultura antica, concetto del banchetto che, espresso attraverso alcune forme di vasellame, si collega indubbiamente al mondo greco-orientale attraverso la mediazione della vicina Etruria. Due piccoli cilindri ci riportano alla sfera del sacro e alla sua espressione in età arcaica e in età ellenistico-romana: forme di vasi miniaturizzati, pesi da telaio, taralli, accomunano il santuario di Monte Giove nel teramano a tanti altri luoghi di culto rinvenuti nel resto d’Italia. Il pezzo più raro è sicuramente la figurina maschile ottenuta con una lamina di argento “ritagliata” riconducibile ad un tipo noto dall’area laziale. La stessa religiosità, ma espressa con forme diverse, più elaborate, si osserva nel corso dell’età ellenistico romana: statuette rappresentati donne e uomini, animali insieme a vasellame miniaturizzato ancora una volta si ricollegano ad una espressione cultuale comune all’intera penisola. Meno comune è forse il rito della miniaturizzazione, noto in Abruzzo a Monte Giove e dal santuario di Lucus Angitiae (Luco dei Marsi, AQ).
Gioielli realizzati in oro, in argento, in ambra, in vetro esprimono la ricchezza di alcune signore vissute tra il III e il II sec. a.C.: collane, orecchini, bracciali indossati nella vita così come nella morte caratterizzavano la sfera femminile allora proprio così come ancora oggi. Infine, la ricostruzione di un letto funerario rivestito di appliques in osso e la stele troncopiramidale in pietra chiudono il cammino di questa età più volte menzionata, una età in cui è forte la presenza della cultura romana ma in cui si continua a leggere una altrettanto forte identità locale.
La visita al Museo non termina qui; al contrario da qui si riparte per entrare in un altro mondo, quello di chi lavora per allestire mostre, far vivere musei, ecc. Entriamo negli uffici, nei laboratori e nei magazzini dell’edificio, ugualmente accessibili in presenza del personale. Il direttore del Museo, l’archeologo Vincenzo d’Ercole, è anche il referente di buona parte dei materiali archeologici custoditi in questa struttura; insieme a lui lavorano tecnici, restauratori, architetti della Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo e della BAAS. Pochi gli archeologi impegnati attivamente, ma molti i futuri specialisti del campo: tanti sono, infatti, i giovani laureandi provenienti da varie Università d’Italia e anche dall’estero, alle prese con tesi di laurea su necropoli, abitati, rinvenimenti in grotta, ecc. L’altra novità di questo Museo è proprio legata ai giovani, agli studiosi; disponendo di una foresteria, si può alloggiare proprio all’interno dell’edificio, come in un albergo. La foresteria dispone infatti di ampie camere per ospitare fino a 24 persone e di 4 camere singole, dotate di ogni confort. Completa il quadro idilliaco la presenza di una biblioteca, localizzata proprio nella foresteria, specializzata in archeologia preistorica ma fornita anche di testi a carattere più generale. E’ inoltre prevista la realizzazione di una sala ristoro e di un bar, i cui locali sono già predisposti in un’ala dell’edificio. La sala convegni, dotata di una modernissima strumentazione, ha una capacità di 300 posti a sedere; viene utilizzata sia per conferenze, concerti e altre iniziative non solo necessariamente a carattere archeologico. I magazzini, infine, disposti su due livelli rappresentano il maggior vanto del Museo di Preistoria: i reperti vengono classificati innanzitutto in base alla provincia di appartenenza; pertanto, il primo livello è dedicato esclusivamente alla provincia de l’Aquila ed è sicuramente il più “affollato” avendo, ad esempio, solo da poco tempo incluso i reperti di ben 551 sepolture portate alla luce nella necropoli di Fossa per non parlare di quelli ancor più numerosi della necropoli di Bazzano. Il piano superiore è dedicato alle altre province abruzzesi. La funzionalità del magazzino e gli ampi spazi disponibili facilita non solo la conservazione dei reperti ma anche e soprattutto la fruizione degli stessi da parte degli studiosi. Nel laboratorio di restauro si interviene sui materiali che arrivano dagli scavi di varie località; vengono organizzati stage in collaborazione con l’Istituto Centrale del Restauro e altre figure professionali.
Come appare chiaro si tratta di un museo dinamico, ancora in parte da inventare e costruire, insolito, diverso dai Musei a cui siamo abituati a pensare. Si può visitare ma si può anche “vivere” in modo più completo; per le scolaresche e i gruppi sono previste durante tutto l’anno visite guidate e altre attività didattiche più specifiche, su richiesta; per tutti, la settimana dei Beni Culturali, ad esempio, può rappresentare il momento giusto per conoscere il Museo e le sue iniziative!