L’ ETRUSCUS RITUS NELLA FONDAZIONE
DELLA COLONIA DI ALBA FUCENS
di Micaela Merlino
Il presente articolo scaturisce da uno studio di topografia archeologica che sto conducendo nell’ambito territoriale compreso tra le due colonie di Alba Fucens (odierna Massa d’Albe) e di Carsioli (attuale Civita di Oricola), al fine di ricostruire l’assetto topografico, urbanistico e quello della viabilità antica nella zona da me considerata.
Durante lo studio delle facies urbanistiche e architettoniche che gli scavi archeologici, condotti soprattutto dal Mertens sul sito della colonia di Alba Fucens (1), hanno permesso di ricostruire, mi sono imbattuta in una “vexata quaestio” relativa all’area forense della città. Problematica che desidero qui presentare ai lettori, insieme ad alcuni elementi frutto di analisi che ho condotto negli anni passati in merito alla civiltà etrusca, utili, come credo, per una più agevole comprensione della questione trattata in questa sede.
Fisionomia di una città: Alba Fucens al momento della deduzione coloniale (303 a. C.)
“Soram atque Albam coloniae deductae. Albam in Aequos sex milia” (“Furono fondate le colonie di Sora e di Alba. Alba fu dedotta nel territorio degli Equi e le furono attribuiti seimila coloni”): così scrisse lo storico romano Livio (2), riferendosi agli avvenimenti intercorsi nel 303 a.C. I bellicosi Equi erano stati pacificati nel 304 a.C. dopo
una sanguinosissima guerra condotta dal console Publio Sempronio Sofo che, proprio in quell’anno, aveva assediato e distrutto, al comando delle sue legioni e in soli 50 giorni, ben 41 ocres (villaggi d’altura) equi (3). Dopo la resa dei nemici il Senato romano, per assicurarsi il controllo militare del territorio tolto ai vinti, procedette all’esproprio di
quest’ultimo, operazione che prevedeva l’allontanamento degli antichi proprietari indigeni(4), e alla sua razionale riorganizzazione onde poter essere affidato ai nuovi coloni inviati da Roma.
Probabilmente Alba Fucens, colonia romana di diritto latino, fu fondata sul luogo, o nelle immediate vicinanze, di un ocres equo, e ciò sembrerebbe confermato da duepassi dello storico Appiano (5). La colonia doveva comunque trovarsi ai confini del territorio della bellicosa tribù dei Marsi ed era posta in luogo elevato, a circa 1000 m s l m., come si deduce dall’espressione “Alba Marsis finitima in excelso locata saxo” (“Alba [Fucens] si trova presso i confini del popolo dei Marsi ed è situata su un’alta rupe”, che troviamo in Strabone) (6).
Il sito prescelto per la deduzione coloniale fu un lungo pianoro, detto “Piano della Civita”, articolato in tre distinte alture: l’altura di San Nicola a nord, di San Pietro a sud, di Pettorino a est. L’impianto iniziale della colonia, riferibile allo scorcio del IV secolo a.C. e agli inizi del III a.C., dovette prevedere: 1) la cinta muraria in opera poligonale, che si estendeva per circa 3 km. seguendo l’orografia del terreno, descrivendo un percorso all’incirca a forma di losanga allungata; 2) i tracciati stradali intersecantesi tra loro, che delimitavano isolati rettangolari disposti perpendicolarmente alle vie di maggiore importanza (il Cardo e il Decumano Massimi) (7); Via del Miliario era il tratto urbano della Via Tiburtina Valeria (8), che entrava in città dalla Porta Massima a ovest, e usciva dalla Porta posta a sud, mentre la cosidetta Via dei Pilastri era un’altra importante arteria urbana parallela alla precedente; 3) i templi; 4) la grande area del Foro (142 m. x 43,50 m.); 5) infrastrutture di pubblica utilità, quali la rete fognaria. La fascia mediana della città, posta nella porzione nord e compresa tra Via del Miliario e Via dei Pilastri, accoglieva gli edifici più importanti della colonia, quelli destinati allo svolgimento delle funzioni pubbliche cittadine: il Foro, il Comitium, il Diribitorium e la Basilica (9).
L’ Etrusca disciplina: spazio sacro e spazio umano
E’ noto quale importanza abbia avuto la civiltà etrusca nei processi di acculturazionedelle popolazioni pre-romane del suolo italiano. Le ricerche storiche riguardanti gli Etruschi e le indagini archeologiche condotte nelle necropoli e sull’area di alcune dellepiù importanti città etrusche (Caere-Cerveteri, Tarquinia, Vulci, per citare solo le principali città dell’Etruria meridionale costiera) hanno messo in luce il precoce sviluppo politico, economico e culturale che la civiltà etrusca ebbe nel contesto italico già in epoca tardo-villanoviana, rispetto ad altri gruppi etnici ad essa contemporanei, quali non ultimo l’ethnos latino. Fu proprio con la monarchia etrusca che, secondo la tradizione vulgata dalle stesse fonti latine, Roma assurse al rango di grande e magnifica città; per esaltare il ruolo di protagonista che l’umile aggregato di villaggi lambito dalle acque del Tevere venne ad acquistare grazie ai proficui contatti culturali intercorsi tra Latini ed Etruschi in età arcaica (contatti mediati attraverso i tre monarchi etruschi Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo), gli studiosi hanno coniato la significativa espressione “La grande Roma dei Tarquini”. Già nell’antichità la civiltà etrusca fu famosa per le minuziose prescrizioni rituali che, in modo quasi ossessivo, scandivano
ogni atto religioso officiato dai sacerdoti etruschi. Secondo la mentalità di questo popolo, infatti, sia il mondo naturale, sia il mondo degli uomini erano sottoposti in modo ineluttabile alla volontà divina, volontà che bisognava conoscere, interpretare attraverso segni e cercare in tutti i modi di ingraziarsi: “Questi due mondi [umano e divino] sono collegati fra loro intimamente, secondo un principio di partecipazione mistica e di indi-stinzione…Cielo e terra, realtà oprannaturale e naturale, macrocosmo e microcosmo sembrano corrispondersi con palesi e segreti richiami entro un preordinato sistema unitario, nel quale l’orientamento e la divisione dello spazio assumono un’ importanza
fondamentale…” (10). L’uomo, dunque, non era libero di agire nel mondo: per intraprendere qualsiasi azione era necessario sottomettersi alla volontà divina, comportandosi in modo conforme a quanto inderogabilmente stabilito dai “celesti”. Vi erano dunque, tra gli Etruschi, sacerdoti in grado di interpretare i segni mandati dalle divinità: costoro
erano gli aruspici, i quali, attraverso la consultazione delle viscere degli animali sacrificati, o il volo degli uccelli, o l’interpretazione dei fulmini, o l’osservazione di ogni altro “prodigio”, erano in grado di decidere quali rituali bisognava compiere per assicurare il successo di un’ impresa, per placare l’ira degli dèi, o per beneficiare del loro aiuto.
Precise regole rituali gli Etruschi destinavano anche alla fondazione di città poiché lo spazio umano era “metafisicamente” collegato con lo spazio celeste e qualsiasi attività venisse intrapresa entro un’area terrestre, questa avrebbe avuto inevitabili ripercussioni nello spazio sacro degli dèi. Era necessario, dunque, purificare lo spazio entro il quale la città sarebbe stata edificata e delimitare esattamente il medesimo, perché da quel momento in poi dapprima una linea ideale, poi il circuito delle mura cittadine, avrebbe per sempre distinto ciò che si sarebbe trovato intra urbem da ciò che rimaneva extra urbem. Si trattava di due spazi dal valore qualitativo differente: l’uno, spazio purificato, delimitato e consacrato alle divinità, l’altro, spazio ancora scevro dai procedimenti di orientamento e suddivisione.
Lo spazio fatto oggetto di queste pratiche rituali era detto templum, cioè area consacrata seguendo il modello di spazio celeste; quest’ultimo era così immaginato: “L’orientamento è determinato da due punti cardinali, congiunti da due rette incrociate, di cui quella nord-sud era chiamata cardo (con vocabolo prelatino) e quella est-ovest
decumanus…Posto idealmente lo spettatore nel punto di incrocio delle due rette, con le spalle a settentrione, egli ha dietro di sé tutto lo spazio situato a nord del decumanus. Questa metà dello spazio totale si chiama appunto “parte posteriore” (pars postica). L’altra metà che egli ha dinnanzi agli occhi, verso mezzogiorno, costituisce la “parte
anteriore” (pars antica)…” (11). Simile suddivisione si aveva in senso longitudinale del cardo: a sinistra era delimitato il settore orientale (pars sinistra o familiaris, favorevole), mentre a destra vi era il settore occidentale (pars dextra o ostilis, sfavorevole). La volta celeste era poi ulteriormente suddivisa in sedici parti minori “…nelle quali erano le abitazioni di diverse divinità… Le grandi divinità superiori… favorevoli, si localizzavanonelle plaghe orientali del cielo, specie nel settore nord-est; le divinità della terra e della natura si collocavano verso mezzogiorno; le divinità infernali e del fato… si supponevano abitare nelle tristi regioni dell’occaso…” (12).
L’Etruscus ritus nella fondazione di città romane
Le prescrizioni rituali etrusche, riguardanti l’orientamento e la delimitazione dello spazio destinato alla fondazione di città, furono adottate dai romani in modo più diffuso allorquando l’Etruria fu inglobata nell’organismo statale romano. Le operazioni rituali erano affidate ad aruspici etruschi di professione, chiamati appositamente, i quali dove-vano presiedere tutte le fasi dell’auspicium. Questo rito prevedeva un atto preliminare, attraverso il quale il sacerdote doveva “prendere possesso” della vista di tutto il territorio prescelto per la nascita della città e della campagna circostante; è quell’atto che Livio ha sintetizzato nelle parole “prospectum in urbem agrumque capere” : “…[Numa
Pompilio] condotto sulla rocca da un augure…, si sedette su una pietra, rivolto a mezzogiorno. L’augure prese posto alla sua sinistra, col capo velato, tenendo nella mano destra un bastoncino ricurvo, senza nodi, che fu chiamato lituo. Quando, poi, rivolto lo sguardo alla città e alla campagna, e invocati gli dei, ebbe delimitate le zone da oriente
ad occidente, e proclamate fauste quelle verso mezzogiorno, infauste quelle verso settentrione, fissò mentalmente il punto più lontano cui poteva spingersi lo sguardo…” (13). Lo spazio fatto oggetto di “sacralizzazione” veniva distinto qualitativamente in due parti: 1) spazio urbano diviso, attraverso l’utilizzazione di capisaldi costituiti da alberi, dallo spazio campestre; 2) spazio cittadino diviso, all’interno delle mura, in aree destinate a differenti funzioni. La distinzione tra spazio urbano e spazio agreste era ottenuta mediante la delimitazione di una linea ideale detta pomerium etimologia da ricollegare al latino pone murum:“dietro il muro “ o post murum: “ al di là del muro”). Durante
l’auspicio l’augure doveva osservare attentamente il volo degli uccelli e interpretare in senso religioso-divinatorio le traiettorie da essi seguite; tale campo visivo doveva essere preservato nel tempo, per permettere al sacerdote di continuare a trarre questi fondamentali auspicia. Le prescrizioni relative alla fondazione di città erano fissate nei Libri
Rituales etruschi: in essi era stabilito che le mura, le porte, i templi, le are della città, ecosì pure le istituzioni politiche cittadine quali tribù, comizi, centurie, fossero determinate per via divinatoria (14).
Fino a che punto i Romani si attennero alle prescrizioni rituali etrusche nella fondazione di nuove città? “…Anche se il
quadro ideologico di fondo appare fissato dalle procedure dell’augurium, la progressiva “laicizzazione” di queste in epoca medio e tardo repubblicana non condusse all’ossessiva sacralizzazione dei fatti urbanistico-politici…”, così
come era avvenuto in Etruria; tuttavia “…l’aura religiosa…restò, cosicché sappiamo di fondazioni romane fatte Etruscu ritu….” (15). Tra queste fondazioni di colonie romane secondo l’ “Etruscus ritus” sarebbe da annoverare, oltre a Cosa, in Etruria, e a Paestum, in Campania, anche la colonia di Alba Fucens, dedotta in territorio equo.
L’Etruscus ritus ad Alba Fucens?
A sostegno dell’ipotesi di fondazioni fatte dai Romani seguendo l’ars divinatoria etrusca nelle colonie citate sopra, alcuni studiosi hanno addotto una prova archeologica: la presenza di una serie di fosse poste ai lati delle aree forensi. Tali fosse sono state interpretate come pozzi rituali utilizzati “per delimitare gli spazi delle piazze come templa,
onde consentire lo svolgimento dei comizia (preceduti sempre dal rito dell’auspicium) e lo spoglio dei voti nel iribitorium…” (16), così come avveniva nei Saepta situati a Roma presso il Campo Marzio. Gli aruspici sarebbero stati chiamati, dunque, per liberare dagli spiriti nefasti queste aree destinate allo svolgimento di funzioni politico-sociali, spazi che in base a questa procedura diventavano “templa auguralia”: “…la tecnica dell’augurium è stato il primo fondamentale approccio che si è avuto nella preistoria della Penisola al problema dello spazio e gli auguri sono stati a lungo gli unici depositari del sapere tecnico della divisione dello spazio…” (17).
Gli scavi condotti nell’area forense di Alba Fucens hanno messo in luce, nella zona sud-est, uno spazio lungo quanto il lato corto della piazza del foro, che in seguito fu racchiuso da un portico; in questo spazio sono state rinvenute due serie di pozzetti a lastre di cui una originaria, centrale, formata da 4 esemplari, e un’altra più tarda, formata da semplari doppi disposti presso ciascun lato della precedente serie. Si è ipotizzato che tali pozzetti avessero la funzione di delimitare i pontes, oppure le linee, o entrambe, utilizzati per permettere le votazioni del corpo civico; votazioni che si svolgevano attraverso la demarcazione di file diverse (indicate proprio dalla presenza dei pozzetti), destinate alle curie o alle tribù. Se tale ipotesi fosse esatta, l’area in questione dovrebbe identificarsi come il diribitorium. Si è pure ipotizzato, sulla base della prima serie di 4 pozzetti, che in origine le tribù dovevano essere 3, ma che in seguito esse furono portate a 6, poi a 8, a 12 e infine a 13, come lascerebbe intendere la
seconda fila di pozzetti; infatti tra il II e il I secolo a.C. nuovi coloni furono inviati daRoma per rafforzare la popolazione di Alba Fucens. Questo spazio utilizzato per le votazioni, sarebbe stato “inaugurato” secondo i procedimenti dell’”etrusca disciplina”, e ne farebbe fede proprio la presenza dei pozzetti in questione. E’ possibile stabilire un
confronto tra il templum di Alba Fucens e quello di Cosa, colonia romana fondata nel 273 a.C.: gli scavi condotti presso il sito dell’antica città hanno permesso di stabilire che il templum era formato da uno spazio quadrato (m. 7,40 di lato), delimitato da cippi “…con le indicazioni abbreviate della natura dell’augurium proveniente da ciascuna
direzione o spazio celeste, ed originariamente recinto da pali congiunti da tavole lignee o bende di lino…” (18).
Non tutti gli studiosi, però, sono concordi nell’ammettere una tale interpretazione, e propongono ipotesi differenti. Per capire meglio il significato e la funzione dei pozzetti rituali albensi, varrà la pena, in prosieguo, di indagare più approfonditamente la situazione presente a Cosa e in altre fondazioni romane e tornare sull’argomento con ulterio-ri dati da analizzare e discutere.
NOTE
1 – Negli anni ’50 dello scorso secolo, e per circa un trentennio, la Scuola Archeologica Belga dell’Università di Lovanio, diretta da Joseph Mertens, condusse regolari campagne di scavo sul sito di Alba
Fucens. Le relazioni di scavo furono pubblicate su riviste specializzate, mentre nel 1969 furono pubblicate
due monografie sulla città: 1) J. MERTENS Etude topographique d’Alba Fucens, in –Alba Fucens I-, 1969;
2) J. MERTENS, Deux temples italiques à Alba Fucens, in -Alba Fucens II- Bruxelles-Roma 1969. Seguirono
poi altre pubblicazioni curate dallo stesso Mertens, riguardanti le ultime campagne di scavo condotte nel
1978 e 1979. Chiunque si accinga allo studio delle antichità di Alba Fucens non può comunque prescindere
dal “pionieristico” lavoro di C. PROMIS, Le antichità di Alba Fucens negli Equi, Roma 1836, punto di riferimento
fondamentale e propedeutico per ogni nuovo approfondimento in merito alla topografia e all’urbanistica
del sito. Utile per un agevole inquadramento storico-archeologico è la guida di F. CATALLI, Alba
Fucens, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, Roma 1992; si veda anche il catalogo
della mostra svoltasi presso Avezzano (AQ) nel 2002 e dedicata alle antichità di Alba Fucens: A.
CAMPANELLI (a cura di), Effetto Alba Fucens. Rivive la piccola Roma d’Abruzzo, Pescara,Carsa, 2002.
2 – LIVIO, Ab Urbe Condita, X,1.
3 – LIVIO, Ab Urbe Condita, IX, 45, 17.
4 – Non sappiamo con certezza quale sorte fosse riservata agli antichi proprietari indigeni dei fondi; probabilmente
il trattamento variava da colonia a colonia. In molti casi, comunque, essi erano allontanati dalle
loro proprietà, in altri è probabile che venissero in qualche modo reintegrati nel contesto della colonia,
ridotti a volte allo stato di servi impiegati nel lavoro dei campi da parte dei nuovi proprietari.
5 – APPIANO, Bellum Civile, III, 45, 47; V, 30.
6 – STRABONE, V.
7 – Questi tipo di organizzazione urbana era detta “per scamna”.
8 – La Via Tiburtina Valeria costituiva il prolungamento verso le zone interne dell’Abruzzo, fino alla costa
adriatica, della Via Tiburtina, che da Roma conduceva a Tibur (Tivoli). La strada fu probabilmente fatta
costruire da Marco Valerio Massimo sullo scorcio del IV secolo a. C., o nei primi anni del III a.C.
9 – Il Foro era una grande area rettangolare circondata da edifici, che sono stati interpretati come piccoli
templi. Il comitium era il luogo ove si tenevano le assemblee popolari, mentre nel diribitorium si svolgevano
le votazioni. La basilica era un edificio nel quale si svolgevano attività pubbliche; in genere era formata
da una vasta aula, coperta, allungata e divisa in navate longitudinali attraverso colonne o pilastri.
10 – M.PALLOTTINO, Etruscologia, Milano 1984 (7° edizione).
11 – Ibidem.
12 – Ibidem. Esiste un reperto archeologico etrusco assai noto, che riproduce probabilmente la suddivisione
dello spazio celeste in regioni, avendo come base i punti cardinali: è il c.d. Fegato di Piacenza. Esso fu rinvenuto
nel 1877 a Decima di Gossolengo, presso Piacenza (da cui il nome); si tratta di un modello bronzeo
di fegato di ovino, sul quale sono tracciati nomi di divinità posti entro caselle. Lungo i margini del fegato
sono tracciate altre 16 caselle, entro le quali si trovano uno o due nomi divini. Attraverso la consultazione
delle viscere di animali sacrificati (epatoscopia), gli auguri erano in grado di trarre auspicia.13 – LIVIO, I, 18.
14 – FESTO, p. 358 L.
15 – P.GROS-M.TORELLI, Storia dell’urbanistica. Il mondo romano, Laterza, Roma-Bari 1988, p. 128.
16 – P.GROS-M.TORELLI, op. cit., p. 136.
17 – P.GROS-M.TORELLI, op. cit., p. 20
18 – Ibidem.