LA PASSATELLA A CAPISTRELLO
di Gianfranco Ricci
La modernità avanza ovunque permeando di sé tutti gli aspetti del nostro vivere quotidiano e ampliando, per un verso, orizzonti e opportunità, ma, per l’altro, uniformando comportamenti e culture.
Anche uno dei riti tipici dei nostri paesi, ovvero la passatèlla, sta imboccando lentamente il ramo discendente della sua parabola, incalzata nei bar da nuovi svaghi. Giochi elettronici che, per lo più, sono totalmente privi dell’interazione personale, dell’astuzia e della carica agonistica tipici di un giro di passatèlla. La differenza fondamentale è che il videogame estranea, porta all’isolamento –che è uno dei mali della nostra società – mentre la passatèlla coinvolge, spinge alla socialità. Certo, in tempi di lotta all’alcolismo questo peana su un gioco apparentemente basato solo sul bere potrà sembrare fuori luogo; parimenti però a nessuno sfugge come l’affievolirsi di questa usanza antica non vada affatto di pari passo con la diminuzione del consumo di alcol, che anzi è in continua crescita tra i giovanissimi.
La passatèlla nasce all’osteria
La passatèlla segue regole variabilissime, a volte perfino all’interno dello stesso paese; quelle che riporterò sommariamente più avanti erano in uso fino a qualche anno fa a Capistrello, e per quanto io sappia non hanno ancora subito modifiche sostanziali (1).
Intendiamoci: sto descrivendo un gioco – un rito, un’usanza – che è ancora vivo, si può ancora parlarne al presente; ma è un sole al tramonto, una pianta che non ha germogli.
Fino a qualche anno fa i pomeriggi festivi riempivano i locali di gruppi schierati in cerchio attorno ai tavoli, e la passatèlla del giorno di festa era sacra quanto la processione del Patrono (per qualcuno anche di più!). Oggi le uniche cose che affollano i bar sono le partite di calcio sulle reti pay-per-wiew, e viene quasi da pensare che Orwell abbia fatto un viaggio nel futuro e la storia del Grande fratello non se la sia inventata affatto, ma l’abbia vista con i propri occhi.
In nessun tempo e ambito culturale lo spirito ludico è stato considerato un difetto, o una diminuzione della virilità. Questo valeva anche nell’ambiente contadino nostrano, dove l’uomo ilare e estroverso era sempre ben accetto, portatore di allegria in tempi dove il divertimento era cosa rara. Anche alla base della passatèlla si ritrova una componente ludica, ovviamente integrata e “corretta” da altri fattori: la sfida, il vigore fisico necessario a reggere l’alcol, lo scontro verbale o fisico, che la rendono adatta alla categoria sociale a cui è riservata, ovvero i maschi adulti.
Il gioco nasce e vive nelle osterie, ai tempi non lontanissimi in cui un tavolo, quattro sedie e un litro di vino bastavano a divagare la mente. Una prima annotazione: perché proprio all’osteria e non a casa propria? Il motivo è ovvio: ciascun partecipante deve mettere in gioco una dose di bevanda, pagandola, ma senza avere a priori la certezza di bere. Lo spirito del gioco era (è) proprio bere quanto più possibile, cercando simultaneamente di lasciare a secco (fare ólemo) i propri rivali.
All’inizio non si poneva certo il problema di chi chiamare a partecipare al giro (2), visto che il semplice accesso nel locale era precluso a chi non fosse già stato “ammesso” tra gli adulti, il che avveniva ben oltre i vent’anni (si diventava maggiorenni a ventuno). Le cose cambiarono a partire dagli anni ’60, quando le vecchie cantine di paese cominciarono a servire caffetteria e gelati, e poi a dotarsi di flipper e juke-box che attirarono una clientela inevitabilmente più giovane (3).
I vecchi frequentatori delle cantine, ormai tutte promosse a Bar (le più spocchiose a Caffè), cominciarono allora a guardare bene in faccia chi si accostava al tavolo, giacché non si poteva invitare a remétte un ragazzino: ne andava dell’onore di tutti i partecipanti al giro. Gli adolescenti, se il barista tollerava la loro presenza (il che avveniva raramente), passavano anni appoggiati al muro osservando e analizzando il gioco, e facendo così il muto apprendistato che avrebbe consentito loro di destreggiarsi al meglio quando qualcuno avesse rivolto loro la fatidica domanda: “Che, ci’ó remétte?”
Oggi qualcuno potrà sorriderne, ma quella domanda significava che gli astanti, e quindi per estensione la collettività intera, non vedevano più nell’avventore della mescita “il ragazzo” ma “l’uomo”, per quanto giovane: una vera e propria iniziazione, un’implicita annessione al consesso dei “maggiori” della Comunità, seppure la cerimonia avveniva in un luogo e con celebranti tutt’altro che sacrali.
Non ci può essere passatèlla senza le rivalità personali, le combriccole stabili, e gli “sgarri” occasionali: sono queste cose, unite ai patti che si stipulano nella prima fase del gioco, che danno spessore e sapore ad un rito che altrimenti si ridurrebbe a ben poca cosa. Le inimicizie al giro però sono di solito limitate a quell’ambito, siano esse valvole di sfogo di lievi rancori sotterranei oppure volontario contrappasso a rapporti usualmente cordialissimi (un classico è la rivalità al giro tra consanguinei o tra compari).
Quello che oggi l’osservatore avverte subito è l’innalzamento dell’età media dei partecipanti al gioco; raramente si vedono attorno al tavolo i trentenni (i ventenni manco a nominarli, molti di essi preferiscono altri ”sballi”!), e questo pone in evidenza quanto la passatèlla abbia ormai perso il suo ruolo di “rito di passaggio” dall’adolescenza all’età adulta.
L’altra cosa (questa positiva) che salta all’occhio è la minore conflittualità; sono finiti i tempi in cui i giri scatenavano risse furibonde, segno che se ne mette in risalto soprattutto la componente ludica. Gli inutili cartelli “E’ proibita la passatèlla” sono ancora appesi ai muri, giusto sopra ai tavoli dove si gioca; ingialliti dagli anni, ma mantenuti per obbligo di legge.
Le regole
Tutto muove dalle carte, la sfida a quattro (4) nei classici scopa-briscola-tresette. Questi primi quattro partecipanti al giro, i giocatori appunto, ne saranno gli attori principali e a meno che non vi siano esplicite rivalità, in una passatèlla condotta correttamente nessuno di loro resterà senza bere. La coppia perdente paga la bottiglia o i bicchieri (5) messi in palio, che costituiranno il nucleo del vassoio, centro fisico della passatèlla. Alla bevanda dei giocatori si aggiunge quella dei rimettènti, tutti gli astanti che intendono partecipare al giro. Partecipare al giro è, difatti, considerata una “remissione”, ovvero una perdita quasi certa, anche se per come si svolge il gioco raramente è così, visto che la percentuale degli ólemi è minima: il massimo del gusto infatti è riuscire a “fare secco” uno solo dei partecipanti!
Si apre quindi il giro vero e proprio, dando le carte a tutti e conteggiando i punti della primiera. Le carte vengono scoperte a turno, ed in questa fase si stringono patti: chi non ha ancora scoperto il suo punto, “chiama” chi ha mostrato il punto più alto chiedendogli di legarsi a lui per una carica o semplicemente per una bevuta (6). Chi ha il punto più alto diventa il padrone, e spetta a lui assegnare le altre cariche, tenendo presenti sia i suoi consueti sodali, che quanti lo abbiano chiamato durante il giro. Le cariche classiche, oltre al padrone, sono: sótto, guastaccóncia, mòrte e mericòrdo.
Il sótto è quello che per primo consente o nega la bevuta. Chiunque sia invitato dal padrone a bere, infatti, prima di togliere il bicchiere dal vassoio dovrà “chiamarlo” e ottenere esplicitamente il suo consenso. Il guastaccóncia può sottrarre la bevuta ad un partecipante per passarla ad un altro, oppure e sé stesso (“Te guàsto e bevo ì”), mentre la mòrte può sottrarre la bevuta ma solo per suo vantaggio. Entrambe, però, possono decidere di rimettere in gioco il bicchiere dopo averne assaggiato il contenuto. Il mericòrdo di solito non influenza il gioco, limitandosi di tanto in tanto a bere un bicchiere senza dover essere invitato (“Quisto me glio recòrdo”). Non è inconsueto, però, che chi riceve questa carica spiazzi il giro “ricordandosi tutto”. In questo caso, solo il padrone può dividere la bevanda con lui.
Una situazione del genere si verifica dopo qualche giro particolarmente acceso, e fa il paio con un’altra: il padrone espòtico (cioè, dispotico), che, in pratica, si beve tutto concedendo qualche bicchiere ai suoi amici più stretti, senza assegnare alcuna carica e senza invitare nessuno.
Ma questi sono casi limite: normalmente un giro di passatèlla ben condotto è un continuo equilibrismo tra gesti consueti o dovuti, parole date, e continua vigilanza affinché una bevuta non cada in mani sbagliate. Quando il padrone “invita tutti”, infatti, un suo avversario può benissimo dire: “Bevo io” e lesto tirare il bicchiere fuori dal vassoio, aspettare un momento di confusione per chiamare il sotto e bere prima che questo, o le altre cariche, glielo impediscano. Basta bagnarsi il labbro, e lo smacco è consumato!
Se la passatèlla finisce senza che nessuno resti ólemo, è chiaro che il padrone non ha coperto bene il suo ruolo. Non si può partecipare ad un giro (7) e non avere un avversario da lasciare a secco!
Come ogni gioco, anche questo ha le sue penalità. Per tutta una serie di omissioni (8), che sono considerate più o meno gravi a seconda della esperienza, e quindi della cavillosità, dei partecipanti al giro, si ha un’unica pena: pagare per il giro successivo la rimessa a tutti. Inutile dire che è proprio il continuo sbagliare dei giocatori che… allunga considerevolmente la durata di una passatèlla.
Mogli e madri, memori di tante tristi sbornie dei loro mariti e figli in tempi comunque tristi per ben altri motivi, demonizzano ancora la passatèlla. In realtà, a giocare un intero pomeriggio di solito si beve molto di meno che in due ore passate al bancone di un pub e, forse, si impara anche ad usare l’occasione di una bevuta moderata come una maniera per socializzare. Se della passatèlla, domani, dovesse restare solo qualche memoria scritta o qualche filmato antropologico, personalmente non ne gioirei. E non sono neppure sicuro che, con la sua definitiva scomparsa, i nostri paesi farebbero un passo in avanti.
1- Il periodo in cui ho osservato e cercato di capire a fondo la passatèlla abbraccia gli ultimi anni ’80 e i primi ’90. La mia curiosità di bambino, ovviamente di molto superiore alla attuale, mi spingeva a interessarmene già negli anni ’70, quando mi intrufolavo affianco a mio nonno Carmine che troneggiava nei giri delle vecchie “cantine” di Peppo e di Vergilio in Piazza Centrale.
2- Gli adepti usano in realtà il diminutivo, girìtto, che esprime tutto il loro affetto e… il tentativo di minimizzarne gli effetti di fronte alle mogli!
3- Il processo è proseguito con l’arrivo nei bar dei videogames elettronici, all’inizio degli anni ’80, intrattenimento rivolto prevalentemente ai giovanissimi. Il vero colpo di grazia alla passatèlla però lo stanno dando negli ultimi anni i videopoker, ai quali si sono convertiti molti adulti, vecchi abitudinari del giro.
4- Costringere in poche righe una realtà complessa come un giro di passatèlla è cosa ardua. Invoco la benevolenza dei cultori e degli affezionati ad essa.
5- Ormai da anni la passatèlla si fa con la birra, e la diffusione della birra alla spina ha eliminato l’uso delle bottiglie, per cui i giocatori perdenti pagano quattro bicchieri, e ciascun rimettente paga il suo. La scomparsa della bottiglia ha eliminato il rinfresco del bicchiere, rifiutato o rimesso in gioco. Il rinfresco per un breve periodo è stato sostituito dal gesto del pollice che simulava il versamento della bevanda; oggi un bicchiere è rimesso in gioco semplicemente reinserendolo nel vassoio. Quest’ultimo, quindi, è un elemento fondamentale del gioco, al di là della sua funzione pratica. Non rinfrescare un bicchiere costava al padrone una pena.
6- Quando il giro è molto vasto, la bevuta può essere anche il semplice bagnare le labbra nel bicchiere, e la parola data è stata comunque rispettata. In teoria uno stesso bicchiere rimesso più volte in gioco può quindi assolvere al rispetto di tutti i patti stipulati dal padrone all’inizio del giro.
7- Ironicamente, a chi è designato fin da principio a non bere, si assegna una carica “onorifica”: il “me tè sete”!
8- Omissioni classiche sono la già citata mancanza di “rinfresco” del bicchiere, oppure il bere senza aver prima chiamato il sotto.