La Pastorella di Riofreddo
di Emilio Di Fazio
Nonostante le grandi trasformazioni socio-economiche che di recente hanno inciso su tutto il territorio nazionale, contribuendo a modificare in modo determinante le forme della espressività popolare, la Valle dell’Aniene conserva ancora alcune pratiche rituali particolari ed originali dal punto di vista della struttura e funzione sociale.
All’interno della vita sociale riofreddana l’espressione musicale ha avuto una sua specifica funzione con forme e modalità proprie di trasmissione di questi saperi. Notevole importanza hanno avuto ed hanno tuttora alcuni eventi rituali particolarmente sentiti dalla comunità di Riofreddo; tra questi, la Pastorella, ancora in funzione e la Messa vecchia gestita dal ceto artigiano ma oggi defunzionalizzata. Entrambe hanno rappresentato in passato due manifestazioni rituali singolari e contrapposte all’interno delle dinamiche sociali del paese con una propria organizzazione e struttura.
I due eventi rituali erano infatti gestiti dai due ceti sociali principali del paese (1); da una parte il ceto “agro – pastorale”, che per tradizione nel paese era protagonista riconosciuto dalla collettività, della messa in scena della Pastorella, cioè della “Sacra Rappresentazione” della natività di Cristo; e il ceto artigiano, anch’esso protagonista riconosciuto dalla collettività, della esecuzione solenne per le festività della Messa Vecchia. Entrambe le due forme musicali devono essere inquadrate all’interno dei processi delle tecniche di trasmissione orale, non esistono parti scritte della Pastorella né della Messa Vecchia.
Allo stato attuale gli studi (2) sulle musiche popolari del periodo natalizio che riguardano il Lazio cominciano ad essere sufficienti per fare un quadro delle modalità e diffusione di questi eventi legati alla Natività.
All’interno dell’area dell’Alta Valle dell’Aniene, a tutt’oggi Riofreddo risulta essere il paese che conserva ancora questa forma rituale, diffusa fino al recente passato anche negli altri centri di quest’area (3). Questo, contrariamente a quanto si sostiene nel paese, e cioè che la tradizione della Pastorella sarebbe di esclusiva prerogativa di Riofreddo. Certo, la persistenza di questo rito, nonostante le grandi trasformazioni avvenute nel paese, mostra una “resistenza culturale” della comunità riofreddana che fa ben riflettere sul valore simbolico attribuito all’evento nella sua più ampia valenza sociale complessiva, tuttora oggetto di indagine da parte dell’equipe di ricerca del nuovo “Museo delle culture Villa Garibaldi di Riofreddo”, inaugurato di recente.
La storia della Pastorella di Riofreddo, ci offre l’occasione per fare il punto della attività e vitalità dello strumento principale del ceto pastorale di quest’area etnico-culturale che va sotto la definizione di “Alta Valle dell’Aniene”: lo strumento che gli studiosi (4) hanno individuato e classificato nella definizione di “Zampogna Zoppa della Valle dell’Aniene”, che, com’è noto, si presenta con caratteri organologici specifici (fattura dei chanters e bordoni, tipologia delle ance), ed una propria autonomia musicale (impianto scalare e modi esecutivi).
Raccontare la storia della tradizione della Pastorella significa allora parlare della attività dei suonatori che si sono succeduti nell’uso della zampogna di quest’area, strumento intorno al quale si riunivano i cantori per la performance natalizia.
A Riofreddo, la presenza di questa zampogna, è documentata dalla testimonianza diretta di tutta la comunità e dei cantori che ricordano l’ultimo suonatore del paese, Giuseppe Sebastiani detto “Della Pietra”, attivo fino agli ultimi anni 60’. Nel paese unanimemente ricordano la sua superiorità nel suonare la Pastorella rispetto ai suonatori che sono succeduti a lui in questo rito, provenienti da altre località del circondario (5).
Dopo questo periodo c’è una brusca interruzione che dura due anni, con l’esecuzione del rito da parte delle sole donne, ma la voglia di riprendere la Pastorella nella tradizionale forma rituale e soprattutto con lo strumento è molto sentita nel paese e grazie alla volontà di un gruppo di appassionati (“Gli amici della Pastorella”(6) l’evento viene riorganizzato con alcune modifiche.
Tra le modifiche più evidenti, rilevate da tutti nel paese, dai suonatori ai cantori e al resto della comunità, l’impatto sonoro percettivo è quello che è al centro di discussione durante le osservazioni fatte sulle differenze musicali. Ciò è dovuto alla introduzione della zampogna cosiddetta “a chiave” con accompagnamento della ciaramella (7), che ormai predomina su tutto il territorio laziale, strumenti con i quali è stato ripreso il rito, poiché non si sono potuti avere a disposizione gli strumenti locali ormai quasi estinti.
La già notevole distanza temporale con le modalità rituali tradizionali che connotavano queste forme rituali nel recente passato, e le trasformazioni riguardanti l’organizzazione, la partecipazione dei cantori e l’accompagnamento strumentale hanno prodotto modificazioni significative sulla struttura dell’evento nel suo insieme. Infatti, alla differenza timbrica (8) dei due modelli di strumenti, si aggiunge anche quella relativa alla diversa tipologia dell’emissione vocale, dandoci una evidente differenza percettiva, che viene spesso fatta notare durante i giudizi relativi alle discussioni che sono venute fuori nel paese sulle differenze che riguardano l’evento.
“Perché noi abbiamo proprio un nostro modo di canto: non è come quello che puoi sentire in televisione, è diverso, è diverso” (Domenico Mari).
Per avere un’idea della tipologia dell’emissione vocale con la zampogna si rimanda all’ascolto del brano n°4 A zampogna eseguito da Antonio Caffari e alle due Pastorelle incise nel CD che si può ascoltare nella postazione dedicata alla parte etno-musicale del “Museo delle culture Villa Garibaldi” di Riofreddo.
Oggi, alla esecuzione e al canto della Pastorella, come abbiamo potuto vedere, partecipano personaggi provenienti da diverse classi sociali presenti nel paese. Ma che la Pastorella fosse in passato a esclusivo uso del ceto pastorale è inequivocabilmente rappresentato dalla presenza della zampogna, strumento pastorale per eccellenza, e dalle testimonianze incrociate di personaggi provenienti dai ceti sociali del passato:
“No, la pastorella era organizzata dai pastori facevano tutto loro, noi potevamo osservare, ma erano loro che la facevano”( Augusto Caffari). “No, quella la facevano i pastori, noi facevamo la messa vecchia”(Luigi Petrocchi, ex fabbro). “La pastorella la facevamo noi, erano tutti pastori, non ci entrava nessuno, quella, a cantare erano solo i pastori, con i doni ecc…” (Querino Conti detto Paparone, ex pastore). “Che scherzi, guai, eravamo solo noi pastori, di discendenza, adesso invece non si capisce più niente” (Giovanni Palma detto Taolone, ex pastore).
“Alla pastorella prima erano tutti pastori jo sonatore sceglieva quatto cantori, tutti pastori” (Antonio Caffari, allevatore ex pastore). “Quella era na cosa più dei pastori, era na cosa che organizzavano proprio i pastori…” (Aurelio Conti ex ciabattino e barbiere).
Questa attività è infatti ancora oggi attribuita universalmente allo stereotipo del pastore (9), che soprattutto durante questo periodo dell’anno assume le connotazioni tipiche: “bontà, semplicità, povertà”, di colui che può avvicinarsi al “povero Gesù”. A queste qualità si aggiungono anche quelle musicali ed iconografiche: tipica del presepe è infatti la presenza del pastore-zampognaro.
La melodia e il testo del canto in uso, più nota con il titolo, Tu scendi dalle stelle è attribuita a Sant’Alfonso Maria De Liguori (10), della sua antica e consolidata presenza nell’area ce lo conferma anche Franz Liszt (11), presente nella Valle dell’Aniene intorno al 1869, il quale ha ripreso ed inserito la melodia in suoi lavori, rispettivamente nell’Oratorio (12) Christus e poi nella raccolta per pianoforte L’albero di Natale. La melodia natalizia tutt’ora in possesso del repertorio zampognaro della Valle dell’Aniene mostra le evidenti contaminazioni e la circolarità dall’alto al basso, dal colto al popolare della melodia (13).
Ecco la disposizione delle voci dei cantori di Riofreddo: tenori, controcanto, bassi. Le prime due voci sono disposte per terze parallele, i bassi intervengono sostanzialmente un’ottava sotto la prima voce, le differenze percepite dai cantori sono effettuate soprattutto osservando le qualità timbrico-vocali e quindi il comportamento del profilo vocale sopra descritto deve intendersi in modo orientativo della prassi vocale descritta; mentre la zampogna produce il sostegno armonico ed interviene alla fine di ogni strofa con semplici abbellimenti sulla melodia del tema.
Significativi dati circa l’arcaicità dell’evento rituale possono essere individuati in elementi extramusicali come la presenza delle “canne tinte”, o “canne col verde”. Si tratta di canne appartenenti alle due tipologie presenti nell’area, cioè la canna comune (arundo donax L.) e quella di bambù, alle cui estremità viene collegato un fascio di foglie verdi di diverse piante sempreverdi che si possono trovare in quel periodo dell’anno. Le “canne col verde” vengono portate in processione durante la “Sacra Rappresentazione” insieme all’offerta dei doni al “bambino”, e rappresentano un elemento costante e di forte identità del rito riofreddano.
Questi elementi vengono spesso messi in relazione ai culti antecedenti ed in particolare ai riti in onore del sole, come attesta la relazione tra l’inizio delle prove del canto il giorno di S. Lucia, solstizio d’inverno, e le modalità del rito con la presenza delle “canne col verde” inizio di un nuovo anno solare collegato alla rinascita delle piante. D’altra parte il rapporto tra le novene e i riti di fine inizio anno legati al sole sono documentati da quasi tutti gli studiosi (14) (Domanda: “Con lo zampognaro vostro come veniva preparato il canto?”Risposta: “Con quello nostro vecchio, quando ero ragazzino facevamo la prove da S. Lucia fino a Natale, tutte le sere” (15). Al di là delle ipotesi formulate dagli studiosi, tutte in varia misura assai suggestive, non si possono che invitare gli amanti di queste tradizioni all’osservazione diretta dell’evento, che per sua natura si svolge in un momento unico, irripetibile, e, a mio avviso, di straordinaria bellezza e suggestione per la partecipazione viva e attiva della comunità riofreddana, che non possono essere descritte in queste semplici parole.
1 – Paola Elisabetta Simeoni; cit. a pag.26: “Il paese è abitato da contadini, da pastori, da artigiani, da commercianti, testimoni di numerose trasformazioni sin da tempi molto antichi. E’ un paese di frontiera, posto lungo la via Valeria, antica strada consolare, ma anche importante tratturo che collega le montagne abruzzesi alla campagna romana”.
2 – Vedi le note nel testo.
3 – Questa tradizione è documentata, con diverse modalità, per altri paesi della valle. Una testimonianza diretta ci viene dal suonatore di zampogna “Arzillone” che ci ha riferito di avere partecipato a riti natalizi analoghi in altri paesi dell’area.
4 – Ettore De Carolis, Il Lazio, 1, Albatros, VPA 8314. Febo Guizzi, Roberto Leydi, Le zampogne in Italia, Ricordi, 1985. Ambrogio Sparagna, Roberta Tucci, La musica popolare nel Lazio, 1990.
5 – Tra questi, in ordine cronologico va ricordato Francesco Splendori detto “Cecco” di Anticoli Corrado, noto suonatore presente in molte incisioni discografiche, considerato dagli studiosi come uno dei più interessanti suonatori di questo strumento, con un repertorio abbastanza vario. Dopo la sua scomparsa è subentrato “Arzillone” che riferisce di essere stato suo allievo e che gli avrebbe venduto uno dei suoi strumenti. Il periodo di attività di “Arzillone” è tra i più lunghi: dura infatti oltre vent’anni.
6 – I cantori degli ultimi anni sono stati: Giorgio Caffari, Antonio Artibani, Tonino Meloni, Vincenzo De Sanctis, Domenico Portieri, Giovanni Roberti, (voci acute) Angelo Mari, Domenico Mari, Luca Verzulli, Ezio Caffari (voci gravi).
7 – Gli strumentisti degli ultimi anni sono stati Mario Caffari (zampogna) e Mario Rainaldi (ciaramella).
8 – Febo Guizzi, “Morfologia e comportamento acustico nei chanters delle zampogne a paro”, in Culture Musicali, n°2, pp. 153-165, Roma, Bulzoni, 1982.
9 – Nico Staiti, Angeli e pastori. L’immagine musicale della Natività e le musiche pastorali natalizie, Bologna, Ut Orpheus, 1997.
10 – Febo Guizzi, Roberto Leydi, Zampogne, Italia, 2, libretto allegato all’LP Albatros VPA 8482, pag. 14: “Autore di questa Novena è Sant’Alfonso Maria De Liguori (Marinella, Napoli, 1696-Nocera dei Pagani, Napoli, 1787). Tu scendi dalle stelle sarebbe stata composto a Nola, nel 1754, dove monsignor Alfonso era stato chiamato per predicare nel periodo natalizio”.
11 – Maria Andreassi, Franz Liszt a Roma e a Tivoli, Associazione culturale “Mondovision 2000” con il patrocinio dell’Assessorato alla cultura della Regione Lazio, p.48: “A settembre Liszt si trasferisce a Villa d’Este dove lavora al motivo dei pastori e dove ha ascoltato e assorbito il motivo tradizionale del canto Tu scendi dalle stelle”.
12 – Maria Andreassi, op. cit.: “Queste pagini de I pastori al presepe tratte dal primo tempo dell’Oratorio Christus, in cui è riconoscibile Tu scendi dalle stelle, composta nel ‘700 da Alfonso Maria De Liguori e divenuta subito una delle più famose canzoni della tradizione popolare religiosa, ne sono una testimonianza preziosa”.
13 – Maria Andreassi, op. cit.: “E dunque ecco spiegato il legame che unisce Liszt, il grande virtuoso del pianoforte, agli zampognari ciociari”.
14 – Nico Staiti: “L’offerta votiva al dio – e in particolare alla Dea Madre – tuttavia è un elemento ricorrente in moltissimi culti legati al tema della nacita e rinascita stagionale. Pertanto, se è vero – e si è cercato di dimostrarlo – che la celebrazione cristiana del Natale affonda le sue origini in culti di carattere stagionale appartenenti alla cultura pastorale, si può ritenere che l’offerta di doni da parte dei pastori alla Dea Madre e al Dio bambino appartenesse ab origine a riti celebrati dai pastori la notte del solstizio d’inverno, e che la consapevolezza del legame che unisce feste tradizionali pastorali e celebrazione cristiana del Natale ricorre quasi subliminalmente lungo tutta la storia delle rappresentazioni della nascita di Gesù”. Vedi anche Paolo Toschi, Invito al folklore: “Ma tutta la vita del pastore non è fatta solo di lavoro, non si riduce tutta a produrre pecorino e ricotta. Due elementi spirituali di altissimo valore concorrono a rendere serena e lieta l’esistenza di quella brava e buona gente: la religione e il canto. All’alba il più anziano si inginocchia a capo scoperto verso la parte ove sorgerà il sole. Lo sentiamo recitare preci e invocare la Madonna del Divino Amore perché abbondante sia il raccolto, prospero il gregge e viva in salute lu patrò” .
15 – Testimonianza di Domenico Mari.