La voce che freme fra i cretti
del muro muschiato il fragore
del vento impetuoso sui tetti
dei coppi di creta il romore
lontano del tuono fra gole
rocciose il lamento del gufo
sull’olmo la luce del sole
velata dell’acque del Tufo
la voce incavata il belare
dei greggi sull’arsa Piaerta
e dalle Vallocchie il sonare
d’antichi campani e sull’erta
pendice che mena al Crocione
vaganti fantasmi e alla Grotta
del Veglio la sacra canzone
dell’ewige Rückkehr, la rotta
nenia dell’infeconde
figlie del tempo nell’ininterrotta
sequenza dei deliri: tutte sono
attorno all’anima le pie Presenze
e rie che del mio Borgo
la quiete eterna cullano a un oblio
inobliato e inobliabile
dannandolo. Son desto
ai ricordi ai pensari addormentato.
E movendo fra l’Ombre
per le vie che i silenzi
colmano le carezze
che fa il vento alle antiche
pietre del mastio trepido raccolgo
e a mie gote le affido.
Giulio Sforza, 2007