A. Ciotti. Sulle tracce di Garibaldi, Studi sul Risorgimento in Val d’Aniene
Associazione Culturale “Albatros”, 2008 Castel Madama, (cm 17×24), pp. 208, Ill. b/n e colori nel testo.
Mi trovo nella non facile situazione di dover recensire un saggio del mio ex professore di Italiano e Storia. Il rovesciamento di ruoli – che magari qualche studente giudicherebbe un’occasione imperdibile – in realtà è solo apparente, perchè i debiti verso il proprio insegnante restano a vita e, nel mio caso, coincidono con la riconoscenza che è dovuta ad un maestro che ha saputo trasmettermi l’amore per lo studio unito all’onestà intellettuale.
Il libro che ho tra le mani, Sulle tracce di Garibaldi, rafforza l’idea che il prof. Amedeo Ciotti sia uno storico impeccabile nelle sue ricostruzioni e certamente da tenere ai primi posti sugli scaffali delle nostre librerie. Se poi si è appassionati di storia del Risorgimento, allora il volume pubblicato dall’Associazione Albatros diventa veramente un must. L’edizione – contrassegnata dal logo ufficiale delle celebrazioni per il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi – è un’occasione imperdibile per conoscere le vicende garibaldine nel territorio laziale della Val d’Aniene in un periodo compreso tra il 1849 e il 1867.
Lo studio nasce da una notizia curiosa, un ossario garibaldino nei pressi di Vicovaro che in realtà non è mai stato trovato. La guida del Touring Club, nell’edizione del 1935, pubblicò la notizia accennando ad un presunto scontro tra garibaldini e papalini, senza peraltro indicarne la data. “Incuriosito dalla lettura – scrive l’autore – sono stato più volte sul posto, anche con un decespugliatore e con amici in grado di utilizzarlo, per tentare di rinvenire qualche elemento a conferma di quella affermazione, ma inutilmente”. Dopo un’analisi capillare sulle fonti documentali, l’informazione pubblicata dal Touring Club è apparsa come un classico falso d’autore, nato in epoca fascista per alimentare una mitologia risorgimentale che era ampiamente fiancheggiata dal regime. Il materiale raccolto nel corso di questa estenuante caccia al tesoro è andato ad ingrossare gli otto capitoli del libro, dai quali possiamo conoscere, oltre alla cronaca degli avvenimenti principali (come le vicende legate alla Repubblica Romana e la battaglia di Mentana) anche un interessantissimo affresco sociale delle popolazioni laziali coinvolte dai passaggi dei corpi di volontari garibaldini e di truppe pontificie, francesi, spagnole e borboniche.
Proprio questo eccellente gusto per il dettaglio sociologico rappresenta, a mio avviso, il maggior pregio dello studio del prof. Ciotti, che ci restituisce l’atmosfera surreale nella quale si consumarono gli anni tragici di una vera e propria guerra civile italiana. Scorrendo le molte pagine dedicate ai mille personaggi “minori”, possiamo apprendere di spie pontificie ingenuamente graziate dai garibaldini, di curati in fuga scoperti in abiti borghesi e costretti ad inneggiare alla Repubblica, di osti derubati, di piccoli dirigenti politici campioni del trasformismo. Ma soprattutto emerge una solenne, impenetrabile alienazione del mondo contadino, una popolazione “che durante i combattimenti era rimasta indifferente, muta e avversa”. Sembra quasi di rileggere le pagine sublimi di Cristo si è fermato a Eboli nella descrizione di un mondo senza tempo, assorto nelle piccole grandi difficoltà della vita quotidiana e mai minimamente scalfito dalla grande storia.
La ricerca negli archivi – che ha tenuto impegnato per anni l’autore – ha dato i suoi frutti. Per quanto concerne la ricostruzione della battaglia di Mentana, ad esempio, la documentazione è così capillare e implacabile da sgombrare i dubbi sollevati recentemente da alcuni studiosi sulla reale incidenza dei fucili francesi chassepot. Al riguardo viene citata la memoria del medico che curò i garibaldini nell’ospedale Santo Spirito, laddove si parla di ferite “gravi, trasfosse, prodotte da piccolo proiettile cilindrico-conico (…) riferibili al fucile chassepot”. Il prof. Ciotti poi non fa sconti a nessuno e denuncia i “crimini di guerra” di entrambe le parti: atrocità gratuite, requisizioni e saccheggi alle popolazioni. “Ciò significa – scrive – che dove si trovano soldati possono accadere, se non proprio sempre, tuttavia assai spesso, episodi veramente spiacevoli ed incivili, assolutamente da condannare”.
Dobbiamo quindi ammirare un lavoro che ci offre un quadro documentale di tutto rigore. Grazie ad esso si hanno nuovi, eccezionali elementi per comprendere a fondo un periodo storico così cruciale della nostra storia nazionale e quanto mai attuale. (Antonio Marguccio)