UN NUOVO E PIÙ ANTICO ESEMPLARE DELLA “BOLLA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ DI VALLEPIETRA”

UN NUOVO E PIÙ ANTICO ESEMPLARE DELLA
“BOLLA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ DI VALLEPIETRA” (1)

di Adriano Ruggeri

Col nome di ‘Bolla della SS.ma Trinità di Vallepietra’ è conosciuto un interessantissimo testo in cui è descritta – in chiave di narrazione religioso-leggendaria – l’origine del santuario della SS.ma Trinità, ubicato circa 3 km a nord di Vallepietra, all’interno di una grotta naturale (in parte risistemata dalla mano dell’uomo), a 1337 m di quota ai piedi di un’alta parete rocciosa verticale che sembra quasi ‘tagliata’ artificialmente, da cui il nome di ‘Colle della Tagliata’ al rilievo sovrastante il santuario, un’anticima verso est del Monte Autore (1855 m) (2). Come ha ben messo in luce Filippo Caraffa, l’oratorium Sanctae Trinitatis sul Monte Autore costituisce, nel primo o secondo decennio dell’XI secolo, una delle fondazioni di san Domenico di Sora in quei luoghi alpestri ed isolati in cui spesso egli si ritirava in solitudine. Più verosimilmente, aggiungiamo, si deve essere trattato dell’intitolazione alla SS.ma Trinità di una grotta già sede di forme di eremitismo, e la cui frequentazione – quale preesistente luogo di culto pagano dedicato alle acque, così abbondanti in tutta la vallata – risale addirittura alla protostoria (3). Ma in merito alle origini del santuario esistono anche diverse leggende di fondazione (4), di cui la cosiddetta ‘Bolla della SS.ma Trinità’, di cui ci occupiamo in queste pagine, costituisce la versione ‘letteraria’ e ‘dotta’, come è stata definita, in opposizione alla tradizione orale di matrice ‘popolare’ che narra di alcuni buoi rimasti miracolosamente illesi dopo essere precipitati, con l’aratro cui erano aggiogati, dal ciglio del Colle della Tagliata, e ritrovati sullo stretto ripiano alla base del precipizio in adorazione della SS.ma Trinità apparsa nella grotta (5).
La ‘Bolla’ è stata pubblicata per la prima volta nel ‘Numero Unico’ del 1927 dedicato al santuario della SS.ma Trinità di Vallepietra, e nuovamente nel 1943 da Corrado Mezzana (6), il quale fornisce anche alcune brevi notizie in merito al testo da lui ripubblicato (7). Secondo quanto egli riferisce, D. Salvatore Mercuri, abate della SS.ma Trinità e parroco di Vallepietra dal 1880 al 1925 (8), lesse nella casa Costa di Vallepietra una “lacera pergamena listata in oro” andata in seguito distrutta a causa di un incendio (si vedrà tra breve che non poteva trattarsi dell’esemplare originale). Di essa, però, lo stesso abate rinvenne, nel marzo 1887, due copie “tra le carte del defunto D. Luigi Tozzi” (9): l’una, piena di lacune “corrispondenti alle parole o ai righi che non si potevano più leggere nell’originale”, fu da lui trascritta e successivamente conservata da D. Salvatore Mercuri junior (10) ed è quella utilizzata per le edizioni della ‘Bolla’ del 1927 e 1943 (11); l’altra copia, datata 1735, sarebbe stata trascritta dall’abate Graziosi, o da D. Giuseppe Graziosi (12), “che però aveva riempito le lacune e corretto gli arcaismi del testo”. Qui si è senz’altro in presenza di un possibile refuso ed anche di un’inesattezza da parte del Mezzana: prima di tutto, se chi ha redatto la copia era un abate, si doveva trattare di D. Giocondo (e non Giuseppe) Graziosi di Vallepietra, successo al card. Fulvio Astalli nel 1721 e morto il 6 febbraio 1731 (13); in secondo luogo, se veramente tale copia si deve al Graziosi, essa non può risalire al 1735 (anno in cui era abate D.
Tiberio Astalli, successo al Graziosi nel 1731), ma a qualche anno prima (1725?). Vedremo che in questo stesso periodo (1722) fu redatta anche un’altra copia del testo originale della ‘Bolla’.
L’edizione del 1943 (14) deriva dunque da un esemplare non datato conservato tra le carte di D. Luigi Tozzi (ma non necessariamente da lui redatto), trascritto da D. Salvatore Mercuri, di cui si approfondiranno più avanti i possibili legami filologici con gli altri esemplari noti o documentati. Si tratta, però, di un’edizione incompleta, perché verosimilmente incompleto era l’esemplare posseduto da D. Luigi Tozzi: più in particolare, si tratta solamente della prima metà del testo originario, tramandatoci da una pergamena cinquecentesca sinora sconosciuta che quasi sicuramente costituisce l’esemplare originale, e che in questa sede si pubblica integralmente per la prima volta (15).

La pergamena originale
La pergamena contenente l’intero testo della ‘Bolla della SS.ma Trinità di Vallepietra’ si conserva nell’Archivio Savorgnan di Brazzà, tra le carte della famiglia Astalli confluite nell’Archivio Piccolomini (16), la qual cosa dimostra che l’esemplare visto da D. Salvatore Mercuri nella casa Costa, distrutto da un incendio, era solamente una copia, per quanto redatta in una forma che potremmo definire ‘solenne’ (si trattava infatti di una pergamena “listata in oro”).
Perché proprio nell’Archivio Savorgnan di Brazzà? Come è noto, nel 1620 il feudo di Vallepietra era passato ad Orazio Caetani (1580-1670), che lo aveva acquistato dai fratelli Muzio e Carlo Benedetto Caetani, suoi nipoti. Nel proprio testamento Orazio nominava erede Tiberio Astalli, suo nipote per parte della moglie Porzia Astalli, il quale poté entrare nel possesso del feudo solo dopo nove anni, al termine di una lunga vertenza giudiziaria coi Caetani. Gli Astalli furono signori di Vallepietra dal 1679 al 1757 quando, con la morte di Tiberio Astalli, la famiglia si estinse e ad essi successero – nel possesso del feudo di Vallepietra, unitamente a quello di Sambuci – i Piccolomini nella persona di Pietro Testa Piccolomini, che aveva sposato (1765) Laura Astalli, una delle tre
sorelle ultime eredi di questa famiglia (17). Quanto detto consente di ricostruire il complesso percorso archivistico che ha interessato la pergamena, che può essere schematicamente sintetizzato attraverso le seguenti tappe: a seguito del matrimonio di Laura Astalli con Pietro Testa Piccolomini una parte dell’archivio Astalli (con le carte relative ai due feudi sopra menzionati) confluisce in quello Piccolomini; i Testa Piccolomini si estinguono con Giuseppe, che non ebbe figli dal matrimonio con la cugina Elisabetta Maccarani; alla morte di questa (1865) si estingue anche la famiglia Maccarani e l’archivio Piccolomini, con quello Maccarani, perviene alle nipoti Giacinta e Laura Simonetti, figlie di Filippo Simonetti e di Maddalena Maccarani, sorella di Elisabetta; Giacinta Simonetti sposa il conte Ascanio Savorgnan di Brazzà, famiglia di origine udinese ma trapiantata a Roma; nel 1955 la contessa Olga Schilling, vedova di Ascanio Savorgnan di Brazzà (nipote del precedente) dona l’archivio – con tutti i nuclei familiari in esso confluiti (tra cui parte dell’archivio Cenci e, tramite l’eredità Simonetti, quello Piccolomini con le carte Astalli) – all’Archivio Capitolino (18).
E questa è già una prima risposta. Ma, facendo un passo indietro, ci si può ancora domandare: perché la pergamena era nell’archivio Astalli? A questo proposito bisogna ricordare che la chiesa della SS.ma Trinità – cui la ‘Bolla’ è intimamente connessa (l’apparizione della Trinità sul Monte Autore costituisce, sia pure in chiave leggendaria, il ‘momento’ fondante della chiesa, con la definizione dei suoi diritti e privilegi, il tutto affidato alla solennità della ‘Bolla’) – era di patronato dei marchesi Astalli, signori di Vallepietra, ai quali spettava, secondo quanto disposto da Orazio Caetani nel 1658, per sé e per i suoi successori, il diritto di nomina degli abati della chiesa, carica che, a volte, venne ricoperta anche da membri della famiglia stessa: nel 1731, per esempio, Tiberio
Astalli (marchese di Vallepietra) rivestiva anche il titolo di abate della SS.ma Trinità (19). E ciò, per l’appunto, giustifica la presenza della pergamena nell’archivio di famiglia. Per quanto riguarda la datazione, la ‘Bolla’ può essere ragionevolmente attribuita al quarto o quinto decennio del ‘500, e per la precisione al pontificato di papa Paolo III (1534-1549), cui si allude – nella parte inedita (riga 38) – come se fosse il pontefice effettivamente in carica all’epoca della redazione del testo. Si devono dunque correggere sia l’opinione del Caraffa, che dà poca importanza alla composizione, destituendola di ogni valore e definendola “un racconto fantastico, inverosimile, pieno di anacronismi, scritto probabilmente da un ecclesiastico del luogo” (e qui potrebbe essere nel vero, come si vedrà nella seconda parte), e comunque una “compilazione molto tardiva” (20); sia quelle del Mezzana e del D’Onofrio, che – al contrario – assegnavano il testo, il primo, dubitativamente, alla fine del Trecento (21), il secondo addirittura alla prima metà del medesimo secolo, ritenendo che l’espressione ‘anno del centurione’ – per lui da intendere nel senso di ‘anno del centenario’ – riferita al Giubileo (riga 18), potesse essere giustificabile solo quando era ancora stabilito che l’anno santo (secondo le intenzioni di Bonifacio VIII, che nel 1300 aveva indetto il primo) fosse celebrato ogni cento anni. Quando invece, verso il 1340, fu stabilito che il Giubileo si celebrasse ogni cinquanta anni, è chiaro che esso non poteva più essere definito con l’espressione di ‘anno del centurione/centenario’ (22). La datazione entro la prima metà del Trecento è stata poi recentemente accolta dall’Orlandi (23).
Da parte nostra, senza aver la pretesa di risolvere in modo definitivo una questione indubbiamente complessa, e sulla base degli espliciti riferimenti ad altri pontefici della prima metà del XVI secolo antecessori di Paolo III (riga 38), saremmo propensi a ritenere la ‘Bolla’ una composizione cinquecentesca, non potendosi naturalmente escludere collegamenti a filoni tradizionali – scritti o tramandati oralmente – anteriori quali, per esempio, quello relativo all’origine ‘micaelica’ della sorgente fatta miracolosamente scaturire dall’Angelo (che poi è l’arcangelo Michele) tra gli aridi monti di Vallepietra (riga 7), un motivo comune a molti altri luoghi di culto rupestri (24). Oppure una copia, o rielaborazione, cinquecentesca di un testo anteriore con una seconda parte aggiunta ex novo in fase di redazione da parte dell’ignoto autore, in quanto si avverte indubbiamente un sensibile cambiamento di tono e di stile a partire dalla lunga serie di enumerazioni (righe 25-35) e – in modo ancora più netto – nella lunga requisitoria finale nei confronti della Chiesa mondana e corrotta (righe 38 e seguenti). Peraltro, la datazione cinquecentesca del testo, o quanto meno della pergamena, comporta necessariamente che essa poteva aver fatto precedentemente parte dell’archivio Caetani del ramo titolare del feudo di Vallepietra, ed essere poi pervenuta come munimen alla famiglia Astalli. Sempre nell’archivio Piccolomini, infine, si conserva una copia della pergamena redatta direttamente dall’originale nel 1722 (25), come esplicitamente annotato alla fine (c. 59r): “L’originale si conserva in casa Astalli, di carta pecora, né vi ha titolo, ma è di antico carattere ed a pena s’intende, ed il signor marchese Filippo Astalli la fece copiare al meglio <che> si potè in occasione che entrò padrone del feudo di Vallepietra, lasciatoli dal signor marchese Camillo suo padre l’anno 1722 del mese di gennaro”.

Legami filologici tra i vari esemplari della ‘Bolla’
A questo punto – prima di esaminare più da vicino la pergamena – sarebbe interessante indagare l’origine dell’esemplare posseduto da D. Luigi Tozzi, trascritto da D. Salvatore Mercuri e servito come base per le edizioni del 1927 e 1943, effettuando anche una breve disamina di tutti gli altri esemplari attualmente disponibili e di quelli menzionati da Corrado Mezzana, per tentare di ricostruire a grandi linee i legami filologici tra ciascuno di essi. Si tratta, lo ricordiamo: della pergamena originale, della copia del 1722 (discendente direttamente dall’originale), della “pergamena listata in oro” di datazione sconosciuta andata distrutta da un incendio (che sappiamo a sua volta trattarsi di copia), dell’esemplare dal Mezzana riferito al 1735 (ma si veda sopra per questa datazione), e, per l’appunto, dell’esemplare non datato, e con varie lacune, posseduto da D. Luigi Tozzi (26), che è quello che ci interessa maggiormente.
Cominciamo dagli esemplari menzionati da Corrado Mezzana. In primo luogo, non è assolutamente detto che i due rinvenuti tra le carte di D. Luigi Tozzi, ossia quello del 1735 e quello poi trascritto da D. Salvatore Mercuri – ben diversi l’uno dall’altro (il primo contiene aggiunte e correzioni assenti nel secondo) – fossero entrambi copia della pergamena “listata in oro” andata distrutta: proprio per tale motivo non è ovviamente più possibile alcun confronto per formulare delle ipotesi; come largamente improbabile sembra essere anche la possibilità che il secondo derivi dal primo, per gli stessi motivi: in quanto presenterebbe, in caso positivo, gli stessi riempimenti e correzioni cui accenna il Mezzana.
È da escludere anche che l’esemplare di D. Luigi Tozzi possa discendere – direttamente o tramite qualche altra copia non pervenutaci – dalla copia del 1722: non solo perché questa, trovandosi nell’archivio Astalli, poteva non essere disponibile per un’eventuale trascrizione, ma perché – ad un confronto tra l’uno e l’altra – si rilevano differenze di alcune parole non imputabili a difficoltà o incertezze di lettura, in quanto esse sono chiaramente leggibili, senza possibilità di errore, nella copia del 1722, dimostrando dunque l’estraneità di questa nei confronti dell’esemplare posseduto da D. Luigi Tozzi (27). Restringendo ulteriormente il campo delle ipotesi, allora, questo potrebbe derivare: a) direttamente dalla pergamena originale; b) da un altro esemplare non pervenutoci ma discendente dall’originale (che – al limite – potrebbe essere stata anche la pergamena distrutta da un incendio di cui sopra). Non è tanto sulle parole che avvicinano o allontanano l’esemplare in parola all’originale che bisogna ragionare (28), quanto piuttosto sulle lacune di una o più parole presenti nell’edizione del 1943 (e quindi nel detto esemplare) (29), che corrispondono perfettamente a parti della pergamena originale effettivamente illeggibili, o leggibili con difficoltà, a causa di alcune macchie e soprattutto delle ripiegature (30): una circostanza che potrebbe, appunto, suggerire una stretta relazione tra la pergamena e l’esemplare di D. Luigi Tozzi (31).
Rimane un mistero (né siamo in grado di fornirne una spiegazione plausibile), infine, il motivo per il quale questo esemplare, e cioè – lo si ribadisce – quello che ha dato origine all’edizione sinora nota, sia privo non solo dell’incipit iniziale, ma anche totalmente mutilo di tutta la seconda parte (ben venticinque righe, su cinquanta, della pergamena originale), interrompendosi bruscamente all’inizio dell’enumerazione dei Dieci Comandamenti, a meno di non voler intravedere – nell’ignoto estensore della copia – la volontà di non tramandare un testo aspramente critico nei confronti della Chiesa, ritenuto forse troppo ‘forte’ e sconveniente.

Descrizione della pergamena
Si tratta di una grande pergamena (lunga 67,5 cm, alta 53,5 cm), scritta nella direzione del lato maggiore per un totale di cinquanta righe; sul verso non compare alcuna scritta. Essa è ripiegata tre volte nel senso della lunghezza (orizzontalmente) e tre volte in quello dell’altezza (verticalmente). A causa di ciò si sono originate diverse lacerazioni sia in corrispondenza degli incroci tra le piegature orizzontali con quelle verticali (che saranno di volta in volta segnalate nelle note al testo della ‘Bolla’), sia – in qualche caso – lungo tratti più o meno ampi delle piegature orizzontali, la qual cosa rende difficoltosa, e a volte impossibile, la lettura e la conseguente trascrizione di parte, o tutte, le righe che si trovano in corrispondenza delle piegature stesse. Inoltre, a causa della ripiegatura orizzontale superiore, l’inchiostro rosso della frase iniziale si è sovrapposto sulla prima decina di righe del testo scolorendosi e macchiandole, rendendo, anche in questo caso, più difficoltosa la lettura; lo stesso dicasi per la parte finale della ‘Bolla’ (a partire circa dalla 30a riga) dove, a causa della ripiegatura del quarto inferiore, l’inchiostro rosso della frase di chiusura si è sovrapposto al testo (32). Solo nella parte immediatamente al di sotto della piegatura centrale, in corrispondenza circa della riga 22 (33), a parte le lacerazioni, le parole sono più nitide e, più in generale, l’inchiostro meno stinto. In tutti i casi citati si è fatto ricorso, per la trascrizione del testo, alla copia del 1722, che molto spesso ha consentito di integrare le parti mancanti o illeggibili, sebbene sia il caso di ricordare come in questa operazione si corra comunque il rischio di propagare possibili errori presenti nella copia stessa.
Per quanto riguarda il testo vero e proprio – redatto con una scrittura che tenta di imitare una grafia più antica, apparentemente trecentesca (34), quasi a voler conferire maggior antichità alla pergamena e ai suoi contenuti – esso ha tutte le pretese (ma solo quelle) di essere un privilegio solenne, una ‘Bolla’ per l’appunto, con tanto di protocollo iniziale ed escatocollo finale, nel quale si afferma trattarsi di privilegio concesso addirittura da san Pietro e confermato da tutti i suoi successori. Occorre invece precisare che, in realtà, non si tratta di un documento nel senso diplomatico del termine, prodotto da una cancelleria nei modi e nelle forme dovute, e che non ha alcuna somiglianza con le vere e proprie bolle pontificie, né presenta i caratteri intrinseci di un privilegio papale (35): giustamente il Mezzana la definisce la “cosiddetta ‘Bolla’ della SS.ma Trinità di Vallepietra”, e il D’Onofrio ‘Pseudo-Bolla’, termine in queste pagine volutamente riportato sempre tra virgolette. Siamo invece di fronte ad una composizione letteraria, ad una vera e propria narrazione, presentata come tale al lettore sin dal “In nel tempo …” iniziale con cui si introduce l’azione, con descrizione di fatti e dialoghi tra i personaggi; il tutto in una lingua italiana dal tono popolare (36), caratterizzata da alcune particolarità linguistiche quali la doppia -nn- in luogo della -n- (‘eranno’ invece di erano; ‘sonno’ invece di sono), o la doppia –llin luogo della –l (‘angelli’ invece di angeli, alle righe 9, 20, 21; ‘ciello’, nel protocollo), gli articoli ‘el’ in luogo di ‘il’ (diversi ‘el quale’ invece di ‘il quale’; ‘el povero prigione’, riga 28; ‘el toccare’, riga 29 etc.) ed ‘e’ invece di ‘i’ (‘e sette doni’, riga 30; ‘e dì della domenica’, riga 31, ed altri). Tra le particolarità grafiche segnaliamo alcuni casi di concrezione di articoli, o preposizioni, alle parole cui si riferiscono (37).

Criteri di edizione (38)
Quella che segue non ha la pretesa di essere un’edizione critica rigorosa e sarà dunque fornita di un apparato critico ridotto, nel quale – lungi dal segnalare tutte le divergenze rispetto all’edizione di Corrado Mezzana, in quanto sono piuttosto numerose – si sono indicate solamente quelle più rilevanti, quelle che hanno consentito (come sopra discusso) di definire il legame tra la copia da lui utilizzata e la pergamena originale. Analogamente (e per lo stesso motivo), non si segnaleranno tutte le numerose differenze tra questa e la copia del 1722, tranne qualche caso particolare (39), indicando sempre, invece, il ricorso alla copia nei casi di lettura difficile, o impossibile, del testo a causa di macchie, lacerazioni e ripiegature della pergamena.
Per la trascrizione ci si è regolati come segue:
- si è normalizzato il testo per quanto attiene accenti ed apostrofi, assenti nell’originale a parte rari apostrofi, segnalati in nota (40); quest’ultimi introdotti anche nei casi di concrezione sopra riferiti;
- sono stati trascritte con l’iniziale maiuscola le parole Santo/a/i/e, Apostoli, Angelo/i, quando si tratta di sostantivi, indipendentemente da come figurano nel testo originale;
- si è cercato di inserire un minimo di punteggiatura – scarsa nell’originale – secondo i criteri moderni per dare più respiro (e senso) al testo, e alle sue varie parti, e per consentirne – nei limiti del possibile – una lettura più fluida, per quanto nella parte finale, nell’accavallarsi delle invettive contro la Chiesa, risulti più difficile dare un senso di continuità logica alle varie parti del discorso;
- sono stati indicati tra virgolette (“ ”), preceduti dai due punti, quelli che sembrano essere i dialoghi all’interno del testo (41);
- si sono indicate tra [ ] le righe della pergamena, con numerazione progressiva, per facilitare il reperimento delle varie parti cui si fa riferimento nel presente testo e, soprattutto, nella seconda parte; si è anche indicato dove inizia la parte inedita.
Segni utilizzati:
A) nel testo:
( ) = scioglimento dei compendi, il più delle volte indicati, nella pergamena, con piccoli puntini sopra le lettere, anziché – come di consueto – con un breve trattino (42);
[ ] = integrazioni di lettere o di una o più parole scarsamente leggibili in quanto sbiadite o stinte, oppure illeggibili per lacerazione e/o piegature della pergamena, integrate, salvo diversa indicazione, con l’aiuto della copia del 1722;
[....] = parti di parole non trascritte in quanto illeggibili e mancanti anche nella copia del 1722; i puntini corrispondono all’incirca (per quanto si può desumere) alle lettere che non è stato possibile leggere;
[***] = parti costituite da più parole non trascritte perché illeggibili, e mancanti anche nella copia del 1722;
< > = integrazioni di lettere chiaramente mancanti nel testo, per le quali non è indicata l’elisione con segni abbreviativi, oppure ‘saltate’ all’estensore del testo.
B) nelle note:
A = copia del 1722, in Archivio Storico Capitolino, Archivio Savorgnan di Brazzà-Archivio Piccolomini (cfr. nota 16);
B = edizione in C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità sul Monte Autore, Anagni 1943, pp. 109-112.
(Fine prima parte)
__________

1- In questa prima parte si pubblica l’intera ‘Bolla della SS.ma Trinità di Vallepietra’, con alcune notizie in merito alla pergamena originale che ne conserva il testo. Nella seconda parte saranno presi in esame – in una panoramica generale – i contenuti della ‘Bolla’ ed i numerosi spunti di riflessione che essa offre.
2- Sul santuario della SS.ma Trinità di Vallepietra segnaliamo in particolare: C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità sul Monte Autore, Anagni 1943; C. D’ONOFRIO, La SS. Trinità sul Monte Autore, in “Rassegna del Lazio”, XII, num. 11-12 (nov.-dic. 1965), pp. 63-80; F. CARAFFA, Vallepietra dalle origini alla fine del secolo XIX. Con un’appendice sul santuario della Santissima Trinità sul Monte Autore, Roma 1969, pp. 217- 253; F. MERCURI, La Trinità di Vallepietra, Subiaco 1999; W. POCINO, Abbazie, cattedrali e santuari della Provincia di Roma, Roma 2000, pp. 103-108, con la bibliografia precedente, e i recenti Nessuno vada nella terra senza luna. Etnografia del pellegrinaggio al santuario della SS.ma Trinità di Vallepietra, a cura di F. Fedeli Bernardini, Provincia di Roma, 2000; F. FEDELI BERNARDINI, Un centro di documentazione a Vallepietra sulla festa della SS. Trinità, in “Aequa”, 4 (2000), pp. 17-21.
3- F. CARAFFA, S. Domenico di Sora e l’origine del santuario della SS.ma Trinità sul Monte Autore presso Vallepietra, in “Alma Roma”, XIX (1978), fasc. 3-4, pp. 31-37; A. RUGGERI, Un plurisecolare ‘segno’ sul territorio: la Petra Imperatoris al confine fra Stato Pontificio e Regno di Napoli, in Cabrei e Catasti tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie (Atti del Convegno di Studi. Civitella Roveto, 23 settembre 2000), Civitella Roveto 2005, pp. 108-110. Per le presenze precristiane, una caratteristica comune a molti altri santuari montani collegati a sorgenti ritenute miracolose: C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità, cit., pp. 41-43; A. CIANGHEROTTI, Lettura diacronica di un culto antico attraverso la rilettura dei testi e delle visite pastorali dal XVI al XX secolo, in Nessuno vada nella terra senza luna, cit., pp. 21-22, con una rapida sintesi sulle origini e storia del santuario.
4- Intendendosi con tale espressione la “narrazione di avvenimenti prodigiosi, verificatisi in località più o meno determinate, i quali diedero l’avvio alla costruzione di un edificio sacro, e quindi alla instaurazione di un culto” (G. PROFETA, Le leggende di fondazione dei santuari. Avvio di un’analisi morfologica, in “Lares”, XXXVI, fasc. 3-4, 1970, p. 245).
5- Per le caratteristiche delle due leggende di fondazione, v. C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità, cit., p. 25; C. D’ONOFRIO, La SS. Trinità, cit., pp. 75-76; F. CARAFFA, Vallepietra, cit., p. 220; F. MERCURI, La Trinità di Vallepietra, cit., p. 17; W. POCINO, Abbazie, cit., p. 105; A. CIANGHEROTTI, Lettura diacronica, cit., p. 25; F. FEDELI BERNARDINI, Il ‘pellegrinaggio dei semplici’. Il Monte e la foresta sorrisero, in Nessuno vada nella terra senza luna, cit., p. 37.
6- C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità, cit., pp. 109-112. Essa è stata recentemente ripubblicata (dall’edizione del Mezzana) in F. FEDELI BERNARDINI – A. TACCHIA, No’ sapevo chi sando chiamà, me so’ ‘nzinocchiata… Frammenti di leggende di fondazione e di miracoli, in Nessuno vada nella terra senza luna, cit., p. 145.
7- C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità, cit., pp. 43, 109 nota 1.
8- C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità, cit., p 48 (ma indica il 1926); C. D’ONOFRIO, La SS. Trinità, cit., p. 74; A. CIANGHEROTTI, Lettura diacronica, cit., p. 23.
9- D. Luigi Tozzi fu cappellano dell’altare della Madonna del Rosario nella chiesa parrocchiale di Vallepietra dal 1853 al 1884; nel 1836 aveva trascritto il ‘Pianto delle zitelle’ (F. CARAFFA, Vallepietra, cit., pp. 108, 249 nota 25).
10- Parroco di Vallepietra almeno sino alla fine degli anni ‘60 (F. CARAFFA, Vallepietra, cit., pp. VIII, 140).
11- Il Caraffa precisa (p. 220 nota 16) che la trascrizione pubblicata dal Mezzana, ossia quella redatta da D. Salvatore Mercuri, “è conservata nell’archivio parrocchiale di Vallepietra”.
12- Questi i nomi che si leggono, rispettivamente, alle pp. 43 e 109 nota 1.
13- F. CARAFFA, Vallepietra, cit., pp. 236-238.
14- Nelle pagine che seguono si farà riferimento a questa edizione, non essendo stato possibile reperire quella del 1927, alla quale riteniamo debba comunque essere conforme.
15- Dell’esistenza di questo sconosciuto esemplare della ‘Bolla della SS.ma Trinità’, rinvenuto nel 2001, si è data informazione preliminare in A. RUGGERI, Un plurisecolare ‘segno’ sul territorio, cit., p. 118, nota 77.
16- ARCHIVIO STORICO CAPITOLINO, Archivio Savorgnan di Brazzà – Archivio Piccolomini, busta priva di segnatura in quanto l’archivio è in corso di riordinamento da parte della dott.ssa Elisabetta Mori, che ringrazio per avermi consentito di prenderne comunque visione; un sentito ringraziamento va anche alla dott.ssa Paola Pavan, direttrice dell’Archivio Capitolino, che ha consentito la pubblicazione della pergamena. Per lo stesso motivo di cui sopra, non è possibile fornire la collocazione archivistica degli altri documenti conservati nell’archivio Piccolomini cui si avrà occasione di riferirsi, in particolare una copia della ‘Bolla della SS.ma Trinità’ risalente al 1722 (si veda nota 25) e la Notizia dell’Apparizione della SS.ma Trinità nel Monte di Vallepietra Diocesi di Anagni.
17- F. CARAFFA, Vallepietra, cit., pp. 27, 101-105, 116-117.
18- Per queste complesse vicende si vedano: E. MORI, Archivio Savorgnan di Brazzà, in G. SCANO, L’Archivio Capitolino, in “Archivio della Società Romana di Storia Patria”, CXI (1988), pp. 438-439; EAD., L’archivio capitolino e l’acquisizione di archivi familiari: analisi di un percorso, in Il futuro della memoria, Atti del Convegno internazionale di studi sugli archivi di famiglie e di persone (Capri, 9-13 settembre 1991), Roma 1997, pp. 772-774, 778-780.
19- C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità, cit., pp. 47-48; F. CARAFFA, Vallepietra, cit., pp. 106, 117, 229, 234. Per la serie degli abati: C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità, cit., p. 48 e – più precisa – F. CARAFFA, Vallepietra, cit., pp. 229 e ss. Sull’erezione della chiesa della SS.ma Trinità in abbazia ritorneremo nella seconda parte del presente lavoro.
20- F. CARAFFA, Vallepietra, cit., p. 220.
21- C. MEZZANA, Il santuario della SS.ma Trinità, cit. p. 43, dove tuttavia precisa che mons. Angelo Mercati, cui aveva sottoposto il testo della ‘Bolla’, l’aveva invece giudicata “tarda creazione fantastica”.
22- C. D’ONOFRIO, La SS. Trinità, cit., pp. 70 nota 10, 76.
23- M. ORLANDI, La Valle dell’Aniene nell’antichità, in XV centenario della venuta di S. Benedetto a Subiaco (ACTA, a cura di M. A. Orlandi), Subiaco 2002, p. 27: “Bolla della SS. Trinità di Vallepietra, tanto discussa per l’autenticità diplomatica, riconducibile tuttavia sostanzialmente alla prima metà del 1300, per i numerosi elementi che vi si riscontrano”.
24- Più difficile pensare il contrario, ossia che la tradizione ‘micaelica’ sia insorta solo sucessivamente, in seguito alla composizione della ‘Bolla’. Sul rapporto luoghi di culto rupestri-sorgenti-arcangelo Michele torneremo nella seconda parte.
25- Si tratta di un fascicoletto di 8 carte scritte, la cui numerazione, però, è compresa tra c. 52 e c. 59, segno che faceva parte di un volume con una propria cartulazione da cui esso è stato estratto.
26- Tralasciamo la copia redatta da D. Salvatore Mercuri, in quanto sappiamo con certezza che deriva da quest’ultimo.
27- Cfr. note 2, 5, 6, 9, 11 12 e 15 al testo della ‘Bolla’.
28- Per alcune divergenze cfr. note 6, 9, 10, 11 e 12 al testo della ‘Bolla’.
29- Riguardo alle quali è lo stesso Mezzana (p. 109 nota 1) che specifica corrispondere alle parole e/o alle righe “che non si potevano più leggere” in quello che lui riteneva essere stato l’originale.
30- Cfr. note 3, 8, 13, 14, 17, 21 e 24 al testo della ‘Bolla’.
31- Non essendo stato possibile prendere visione di questo esemplare, non siamo in grado di stabilire se si trattasse di copia ottocentesca o anteriore, la qual cosa – peraltro – implica il discorso connesso con l’accessibilità o meno all’originale, che nel XVIII secolo poteva, ipoteticamente, trovarsi a Vallepietra, nell’archivio della famiglia Astalli; mentre nel XIX – ma da quando? – a Roma, nei vari archivi confluiti l’uno nell’altro, come in un gioco di scatole cinesi, sino a quello Savorgnan di Brazzà, e pertanto verosimilmente meno disponibile per un’eventuale trascrizione.
32- Si segnala in particolare una macchia rossastra sul margine destro della pergamena, lunga circa una decina di cm, dalla 33a alla 39a riga (cfr. nota 34 al testo della ‘Bolla’).
33- La riga 22 è così rovinata che più di metà di essa manca anche nella copia del 1722 (cfr. nota 24 al testo della ‘Bolla’), segno che – in questo tratto – la pergamena originale doveva essere già piuttosto rovinata sin da allora, tale da risultare illeggibile.
34- Molto comune, per esempio, l’uso di lettere onciali, in particolare per le maiuscole.
35- In questo senso, non sembra condivisibile l’opinione del D’Onofrio (La SS. Trinità, cit., p. 71) laddove afferma che la ‘Bolla’ (egli si riferiva naturalmente alla sola parte all’epoca nota) “è redatta in alcuni punti secondo lo stile notarile usato per donazioni e lasciti da parte di privati a enti religiosi (…) ed insieme attinge ad una qualche concessione pontificia a favore del santuario”, perché essa sembra invece discostarsi nettamente da entrambe queste tipologie di documenti.
36- A parte qualche parola qua e là, solo un’unica parte è totalmente in latino: l’intero testo del Credo alle righe 33-35.
37- Cfr. note 4, 29, 30, 31, 32, 36, 40, 53 al testo della ‘Bolla’; per questo fenomeno linguistico e grafico si veda G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino 1970, vol. I, pp. 477-478.
38- Desidero ringraziare Elisabetta Mori dell’Archivio Storico Capitolino per il prezioso e competente aiuto fornito nel corso della trascrizione del testo della ‘Bolla’, e – dopo ben tre revisioni – per il riscontro finale tra trascrizione e testo originale.
39- Cfr., per esempio, note 2, 3, 6, 9, 38 al testo della ‘Bolla’.
40- Cfr. note 16, 20 e 28 al testo della ‘Bolla’.
41- Quelli cioè tra S. Pietro e S. Giovanni ed i due nobili ravvenati (righe 4-6), dell’Angelo (riga 7), del Signore (righe 10-13), ed il lungo discorso finale degli Angeli (da riga 22).
42- Si è sciolto ‘Xpo’ in Chr(ist)o e ‘ctiani’ in ch(ris)tiani; nel testo originale, cioè, si è utilizzato – come nei documenti pontifici – il ‘c’ per rendere ‘Ch’, per quanto la lettera risulti non sempre ben definita, sembrando, il più delle volte, una ‘c’ minuscola.

Il documento

BENEDECTA SIA LA S(AN)CTA II TRINITÀ CHE A FACTO
LA MISERICORDIA SUA SEMIIPRE CON NOI MEDESIMI
ECCE HOMO MISSUS A DEO ASIAIINUS PASTOR OVIUM IO VOGLIO
PER TUTTO EL MONDO SI INTENDE CHE IO PARLO DAL
CIELLO IN TERRA CON L’HOMO FACIA FACIA 1
[1] Il nel tempo che si partì San Pietro et San Giovanni Evangelista, che si partirno dappo l’Assentione della Madona 2, venendo alla volta de Italia, cioè smont[an]do 3 alla spiaggia de Francavilla, dipoi venero per il [2] Regno, cioè da Bruccio, et arrivarno alla montagna, la qual montagna si chiama la Preta Imperiale, donde sparte l’Abruccio 4 et il tenimento delli Romani; et capitando in questo luogo trovorno duoi nobilissimi hu[3]omini li quali eranno della città di Ravenna, et eranno habitat[i] 5 in Roma, per esser loro luminati da Jesù Chr(ist)o n(ost)ro S(igno)re 6; et loro si acorsono che Nerone l’hebbe in disdegno, et così si fugirno in detto monte, apparendo Pietro et Giovan(n)i [4] loro se salutorno l’uno a lo 7 altro et dice(n)do: “Chi sete voi?”, [loro a un tratto] 8 dissero: “Noi semo ch(ris)tiani” 9, San Pietro [rispose] 10 et dice: “Io sono il principe delli [christ]iani” 11; dette queste parole tutti si ingenocchi<o>rno riverenteme(n)te et ringraciavano [5] et ma<g>nificavano l’Altissimo; tra ciò donde quel luogo, [como] 12 tutte quelle montagne eranno sterili, senz’acqua, senza [h]erba et lignami, cioè arbori, a[llora] uno di quelli [Santi] 13, volendo andar per acqua, da lontano San Giovanni coma(n)[6]dò che si fermassero et dice queste parole: “Facciamo oratione tutti di compagnia al n(ost)ro Salvatore”; et [co]sì facciendo l’oratione, allora subito vene l’Angielo de il celo et apparse in mezzo di loro quattro et dattogli a loro refectio(n)e, [7] che portò dal cielo, et donde teneva gli piedi l’Angelo infra loro quattro nacque la fontana; et dice lo Angelo: “State alegri, che domani a questa hora vederete come è fatta la Santa Trinità”. Et così, il giorno seguente a quel’hora, che è sopra scritto [8], si averse il cielo et sopra de essi a mez’aera vidono Deo P(ad)re, che teneva Jesù Chr(ist)o inanzi al

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1- In rosso e in lettere capitali più grandi rispetto al testo, ai lati di un cerchio di diametro di circa 9 cm posto al centro del margine superiore della pergamena e privo, all’interno, di raffigurazioni. Le prime tre righe sono disposte a destra e a sinistra del cerchio, in corrispondenza della sua metà inferiore (il segno II indica la separazione tra le due parti); la quarta e la quinta riga sono al di sotto del cerchio. Come sopra anticipato, tutta questa parte manca in B.
2- A: del Signore; B: della Madonna.
3- A: San Giovanni in luogo di smontando; manca in B.
4- Nel testo: labruccio.
5- A: habitato; B: habitati.
6- A: Salvatore; B: Cre.re.
7- Nel testo: alo.
8- Scarsamente leggibile a causa dell’inchiostro sbiadito ed integrato con A; manca in B.
9- Scioglimento incerto a causa dell’inchiostro sbiadito. A: Noi semo vostri; B: Noi semo Romani.
10- Scarsamente leggibile a causa dell’inchiostro sbiadito ed integrato con A; B: risponde.
11- Scarsamente leggibile a causa dell’inchiostro sbiadito ed integrato con A; B: Apostoli.
12- Scarsamente leggibile a causa dell’inchiostro sbiadito ed integrato con A; B: con.
13- Scarsamente leggibile a causa della ripiegatura verticale destra, ed integrato con A. A rigor di logica, tuttavia, non può essere questa la parola, se a “uno di quelli Santi” – come si legge nel testo – si rivolge S. Giovanni (che è egli stesso uno dei due Santi): il termine doveva invece riferirsi ai due nobili ravennati. B: uno di quelli … per acqua, con indicazione di lacuna.

suo petto, con lui era stato crucifixo, [et in] mezo tra il capo et lo mento di Dio ci era [lo Spirito Sancto che aveva] 14 la forma di columba bianca, et in mezo era la [9] maiestà de il Padre, de il Figlio et de il Sp(irit)u Sancto infra le Angnelli, Archangnelli, Cherubini et Seraphini; et appresso la man dritta de il Salvatore vedono la Madona con tutti li Santi et Sante, cioè quelli che eranno stati liberati dallo [10] Redentore. Subito quella montagna se apperce et crebe uno gran serpente, cio <è> drago, et morendo il drago si distrusse la [notte] 15, et fiorì la montagna in uno instante et nacquero arbori et herba; et parlanno nel’aera 16 la voce del Sig(no)re dice: “Pietro [11] et Giovan(ni), tutti gli miei figlioli hoggi vi dò la benedettione a voi, et al terreno che vi sostiene, et benedico et co(n)cedo la mia [gra]tia in questo monte, tanto quanto ho benedetto il monte di Synai, simile sia qui [a] quelli peccatori che veneran(n)o in [12] questo mo(n)te, voglio che habbino la remissione como che si venessero nel monte di Synai, in Nazareth donde m’en[car]nai, et in Bethlem, et in lo sepulchro dove fui sepelito, et in Josaphat d[ove] fu riposata la mia madre, et in tutti gli luoghi di [.....] 17, et [13] questo luogho voglio che sia il capo di tutti gli tempii che saranno edificati in questo orie(n)te”. Cio è 18 l’apparitione della Santa Trinità che fu in tempo di Nerone la domenica della septuagesima [et] la sacra si è l’ottava della P(en)tecoste, et questa l’ha c(on)firmata papa [14] Silvestro avanti che fu fatta la sacra di San Pietro, et di San Paulo, et di San Giovanni Laterano; et in tempo dell’imperatore Roberto fe’ far una magna abbadia, et là in quelle montagne combattete l’imperatore Roberto con re Absalone de Burgogna. Et [15] in questo luogo è sepelita la madre de Roberto imperatore, et la mogliere, et la figliola; et sempre è stato quello luogo co(n)firmato da vinticinque po(n)tifici santi, cioè San Silvestro, San Gregorio, papa Calisto, p(a)p(a) Bonifacio con altri santi pontifici; et le dette montagne [16] furno dotate della detta abbadia con cinquanta castelli, et di questo luogo papa Silvestro messe la perdonanza simile in Santo Pietro, San Paulo et San Giovanni Lat<e>rano; messe la maledettione [de] 19 Jesù Chr(ist)o, et della Madona, et de San Giovanni Evangelista. Poi ap[17]presso San Pietro malediceva a che offendeva alli servi et serve di detto luogo et a tutte cose a che era fatta violentia, et de’ frutti, et de’ altro. Et in questo luogho è la remissio(n)e tucte le domeniche [dell’an]no, incomminciando tutto lo Adve(n)to, la Quaresima, le Quattro Tempora [18] et le feste com(m)andate, cioè lo Natale, le Epiphania, Pascha maggiore et Penticoste, tutti li festi delli Ap(osto)li, li festi di tutti gli Santi, tutte le feste de la Madona; poi remissione gra(n)dissima per li vivi et per li morti il Iubileo, cioè l’anno del centurione, la remissione medesima [19] che fo fatto a Noè del’Arca 20; novecento miglia anni la remissione, cioè la rede(m)ptio(n)e, pur simile la detta domenica della [res]urrectio(n)e li Ap(osto)lici 21; dodeci miglia anni per ap(osto)lo al peccatore che visita quel monte; vintiquattro miglia anni per tutte le tribù de Israel, per la casa de [20] David. Et che è detto le remissione grande più che non sono li acuy 22 et le petre del detto mo(n)te; questo anno detto gli Angelli per bocca del S(igno)re, et la detta cappella della Santa
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14- Scarsamente leggibile ed integrato con A; la frase manca in B.
15- B: neve; ma la parola, scarsamente leggibile ed integrata con A, sembra essere costituita da cinque lettere
piuttosto che da quattro.
16- L’apostrofo è nel testo.
17- Lettura incerta (Hrlin? Prlin?). A: Palestina; B: in bianco. Considerati i luoghi menzionati immediatamente
prima, il riferimento deve comunque essere – effettivamente – alla regione palestinese.
18- Nel senso di: ‘questa è’.
19- Illeggibile a causa di una piccola lacerazione ed integrato con A.
20- L’apostrofo è nel testo.
21- Ap.lici, scioglimento dubbio; è così riportato anche in A; manca in B.
22- Sic, per aqui.

Trinità è consecrata dalli santi Angeli; San Pietro et San Giovan(n)i sonno testimonii, come doppo lui [21] conferma San Silvestro in tempo in tempo 23 di Santa Elena et Constantino imperatore, et lui renovò gli altri servi in quel mo(n)te donde fu concesso quel luoco alla Congregatione di San Basilio, et era l’officio in lingua greca. Queste parole dissero gli Angelli alli ditti [22] appostoli: “Questo luogho sapiate quando venerà 24 [***] 25 che [***] 26 et sarà abundata la malicia et sarà piena [***] 27 avaricia et invidia et accidia sarà desolata la pa[ce] et [23] tutto il mondo sarà in discordia, et sarà peggior discordia tra quelli principi che saran(n)o moltiplicati in Roma, et in questo luogho venerà il Soldano, cioè il Gran Tartaro, a recevere il b[attes]imo e qui è il capo della renovatione di tutte sorte de lingue, [24] et questo monte, insieme con li tre valli che si demanderan(n)o in quelli termini Valli Sancti, donde se salvaranno di molta generatio(n)e. Voglio che sia questa parte simile al’arca 28 che fece fare a Noè. A Noè le fo fare l’arca 28 de legname per il diluvio, et a questa voglio che sia [25] archa di terra e di pietra, accioché possa resistere alle fiamme del fuoco che mandarò dal Cielo, et tutti gli miei figlioli voglio che intrano in questa arca. Questi sono li dieci Commendamenti della lege:
[Da qui inizia il testo inedito]
non adorare se non un solo Dio; non ricordare [26] il nome de Dio invano; non lavorare il dì della dominica, né dell’altre feste comandate per la Santa Chiesa; ama il padre tuo et la madre tua; non com(m)ettere homicidio; non torre l’altrui 29; non rompere lo santo matrimonio; non far fal[27]sa testimonianza; non desiderare la don(n)a d’altrui 30 in vergogna; non desiderare la robba d’altrui 30. Questi sono li sette peccati mortali: superbia, avaritia, luxuria, ira, gola, invidia, accidia vurgo pigritia. Queste sono le [28] sette opere della Misericordia: visitare lo infermo, dare mangiare allo affamato, dare bere allo assetato, visitare el povero prigione, vestire lo ignudo, albergare lo povero pellegrino, sepelire lo morto. Questi sono li sette sacramenti [29] della Santa Chiesa: batesimo, cresima, penitentia, ordine sacro, matrimonio, eucharistia, olio santo. Questi sono li cinque sentimenti del corpo: el vedere, l’odire 31, el gustare, l’odorare 31, el toccare. Queste sono le tre virtù [30] theologice: fede, speranza, charità. Questi sono e sette doni dello Spirito Santo: sapientia, intelletto, consiglio, forteza, scientia, pietà, timore di Dio. Ed i com(m)andati di dovere: digiunare tutta la quadragesima etceptuati [31] e dì delle dominiche; la vigilia della Natività di Jesù Christo; la vigilia della Penthecoste, cioè lo Sp(irit)o Santo; la vigilia della Assumptione di n(ost)ra Donna; la vigilia di tutti gli Ap(o)stoli excepto San Philippo et Jacobo et San Joanni Evangeli<sta>; [32] la vigilia di San Joanni Baptista; vigilia di San Lorenzo martyre; la vigilia d’Ogni 32 Santi; le quatro tempora dell’an<n>o: mercoledì, venerdì et sabbato della

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23- La ripetizione è nel testo e figura anche in A; manca invece in B.
24- Da venerà sino alla fine della riga 22 il testo corre lungo la piegatura centrale della pergamena, circostanza che – unita alle lacerazioni in corrispondenza degli incroci con le piegature verticali – rende estremamente difficoltosa la lettura di più di metà della riga stessa (circa 38 cm), che manca infatti anche sia in A che in B. È stato tuttavia possibile ricostruire alcuni brani del testo, riportati nella presente edizione intervallati tra le parti illeggibili (cfr. note 25-27).
25- Lacuna di circa 56 mm (cfr. nota 24).
26- Lacuna di circa 98 mm (cfr. nota 24).
27- Lacuna di circa 40 mm (cfr. nota 24).
28- L’apostrofo è nel testo.
29- Nel testo: laltrui.
30- Nel testo: daltrui.
31- Nel testo, rispettivamente: lodire e lodorare.

pri<m>a settim[ana] integra di Quaresima, mercoledì doppo la Penthecosta [33] cioè lo Spirito Santo, mercoledì doppo Santa Croce di sette(m)bre, mercoledì doppo la Santa Lucia. Questi sono i dodeci articoli de la fede: Credo in Deum Patrem omnip[otentem], creatore(m) celi et terre, et in Iesum Christum filium eius [34] unicum D(omi)n(u)m nostrum, qui conceptus est de Spiritu Santo ex Maria Virgine, passus sub Pontio Pilato, crucifixus, mortuus et sepultus, descendit ad Inferos, tertia die resurrexit a mortuis, ascendit ad celum, sedet ad dextera(m) Dei P(at)ris [35] o(mn)ipotentis, inde venturus est judicare vivos et mortuos. Credo in Spiritum Santum et Santam Eccl(es)iam Catholica(m), santor(um) co(mm)u(nio)nem, remissione(m) peccatorum, carnis resurrectione(m), vitam eternam, amen. Indulgentia et remissio(n)e [36] uni(v)ersi et singuli peccatori che veneranno in lo detto monte de la capella de la Santa Trinità de la Petra 33, per una lagrima che spargeran(n)o in servitio de la Santa Trinità habbiano la remissione de qualunche peccato, tanto [quanto se have]sseno 34 ha[37]vuto voluntà de andare al Mo(n)te de Sinay, et in Hierusale(m) al Santo Sepulchro, et in la Val de Josaphat, donde fu resa sa(n)ta la madre de n(ost)ro Segnor<e>, per simile sia fatta la gr(ati)a et de qualunche altro voto de [iuramento habia]34 la santa benedicti[38]one. Paul<o> terzo de questo è stato avisato, Alexandro, Pio, Julio, Leone X, Clemente VII hanno havuto questo amonitorio 35 de questo tenore, ch(e) debbino de cessar l’arme 36 di Pharao(ne), et de Marte, li quali non hanno potuto cognos[39]cere et lore 37 vero S(ign)or<e>, et per questo dico et notifico Adriano Pomirio a’ dodici che sonno stati scismatici sono condemnati in le pene eterne in compagnia con Nembrotto de Babilonia; condemnati sono con quelli che furno sub[40]mersi de Pharaon(e), con quelli che sonno submersi in tempo che fu submerso sotterra 38, con quelli che furno submersi in la ruina che determinar(o) de la profidia del populo hebreo, cioè delasolatione 39 de Jherusalem; et cossì dico et com(m)ando [41] a tutti quelli principi, qualcunche si sia reputato imperatore o re: adesso mando l’homo 40 insieme con lo Gran Cano, el quale venerà dentro la cità di Roma et leverà el Sacrame(n)to dinanzi al patriarchal, et fora de tutte [42] leglieza 41 maiestrale; allora se cognosceran(n)o le vestimenti travisati; ogniono che non se sente da sustenere questo gran fragello, de li doi cose fachino uno pensere: habitan(n)o in Roma, aperire li sepulchri et vivi se sotterreno, o vero [43] se fugeno in el monte dove sono li più terribili deserti; [c]he 42 qua non si invera de dire ‘Io son eccli(esi)astico’, tanto preti quanto fratri, né abbati né vescovi, né cardinale né altro prelato, de poiché non havete addutto el [44] 43 tempo che in la casa de lo [Signore] l’avete fatta casa [de ladri avari] 44, casa de
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32- Nel testo: dogni.
33- A: solamente in luogo di de la Petra.
34- Scarsamente leggibile a causa di una macchia sul margine destro della pergamena ed integrato con A.
35- A: privilegio.
36- Nel testo: larme.
37- Così nel testo, anche se il senso dovrebbe essere ‘el loro’ (come riportato in A).
38- Lettura incerta a causa dell’inchiostro sbiadito. A: sottount.
39- Così nel testo.
40- Nel testo: lhomo.
41- Così nel testo.
42- Da questa riga, e sino alla riga 48 (cfr. note 44, 46, 49, 51 e 54), la pergamena presenta una lacerazione verticale – in corrispondenza dell’incrocio tra la ripiegatura verticale sinistra e la ripiegatura orizzontale inferiore (cfr. nota 48) – alta circa 3,5 cm e larga, nel punto più esteso (riga 44), circa 1 cm; dove è stato possibile, si è integrato il testo con A.

superbia, et [...]lteria, et avaritia, et spelunca de latrone, non si cognosce che sia [la] 45 casa deJesù, né de Maria, et fatta simile a la cità de [45] Babilonia che havete saputo pigliare, et simile vitio che [non]46 veniveno li profeti a le porte che li pigliaveno et ad un carcheravero et fragellaveno cossì spieta[tamen]te 47, che non vengono più presto li huomini de Jesù [46]48 et de Maria, et fatta simile a parlar in che voi li piglia[vate] 49, incarcerate e tormentate ai tormenti secreti, il sangue de li innocenti, che voi spargete non ve [***] 50 ch(e)l sangue del iusto se reverserà sopra [47] de li figliuoli vostri. Ecce, ecce verbum D(omi)ni quod factu(m) [est] 51; penitentia, penitentia, tota ge(n)te che a la fine [..]iunerà <?> lo piangere et io Angelo venturino de [Me]hano 52 dico et notifico de l’advenimento 53 del vero pro[48]pheta magno angelico anciano, el qual venerà in ella [par]te 54 de Europa, et seranno signi magni, cioè tempesta, venti, terremoti, pestilentia per tutto le Regni [de] lo u(n)iverso mondo se io non vego essere obedito de quelli [49] che soprascritta, alantarò 55 mano a la Terra, et cassarò 56 venire dal Cielo in Terra una fiamma de fuoco et forsarò la cità con uno terremoto, che farò che la Terra perderà potestà, che no(n) poterà sustinere casa murata, [50] et insignarò come si beffi li miei servi”.
EL PREVILEGIO CONCESSO DA SANTO PIETRO ET CONFIRMATO DA TUTI LI SOI SUCESSORI CHE CONTIENE LI INDULGENTIE DE LA CAPELLA CHIAMATA LA TRINITÀ DE VALPRETA 57
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43- La riga 44 è in parte rovinata per la presenza di una vecchia ripiegatura orizzontale, non più utilizzata in
quanto quella del quarto inferiore si trova ora in corrispondenza della riga 46 (cfr. nota 48). A differenza della
ripiegatura centrale (cfr. nota 24), qui il testo è più leggibile, ed è stato in qualche punto integrato con A.
44- Cfr. nota 42.
45- Da questa riga, e sino alla riga 47 (cfr. note 47, 50 e 52), la pergamena presenta una lacerazione verticale -
in corrispondenza dell’incrocio tra la ripiegatura verticale destra e la ripiegatura orizzontale inferiore (cfr. nota
48) – alta circa 2 cm e larga, nel punto più esteso (riga 46), circa 2 cm; dove è stato possibile, si è integrato il
testo con A.
46- Cfr. nota 42.
47- Cfr. nota 45.
48- Lungo la riga 46 cade la ripiegatura orizzontale inferiore che impedisce in parte la lettura del testo, integrato
- dove possibile – con A, anch’esso lacunoso per lo stesso motivo.
49- Cfr. nota 42.
50- Cfr. nota 45; in questo punto cade l’incrocio tra la ripiegatura verticale destra ed orizzontale inferiore, ed il
testo è scarsamente leggibile; dopo la lacerazione seguono due parole non chiare (la seconda, forse: niente). La
frase manca anche in A.
51- Cfr. nota 42.
52- Cfr. nota 45; la parola è stata integrata con l’aiuto di A, che riporta Mehana, ma oggi, nella pergamena originale,
‘Me’ non è più leggibile in quanto si trova in corrispondenza della ripiegatura verticale destra e la pergamena
è qui lacera, mentre l’ultima lettera della parola sembra essere una ‘o’.
53- Nel testo: ladvenimento.
54- Cfr. nota 42.
55- Così nel testo.
56- Così nel testo, forse per: lassarò.
57- In rosso e in lettere capitali.